martedì 8 marzo 2022

Tossine, dove si nascondono questi pericoli insidiosi

di Roberto Rey*
Si parla di intossicazione quando si assumono droghe o cibi velenosi; in realtà il corpo umano può intossicarsi frequentemente in modo modesto ma comunque problematico. In questo caso alcune funzioni del nostro organismo vengono compromesse dalla presenza di tossine esogene dovute all'ambiente o di tossine endogene prodotte dal corpo stesso. Difendersi dalle tossine é un compito impegnativo in quanto il rischio é: 1) di respirarle se sono presenti nell'ambiente, 2) di ingerirle se presenti nel cibo e nelle bevande o nei farmaci, 3) di assorbirle attraverso la pelle. Per contrastarle utilizziamo gli organi depurativi: il fegato ed i reni.  Tutto ciò che viene ingerito o viene respirato o viene assorbito, arriva nel sangue e successivamente nel fegato che interviene agendo come un vero e proprio filtro. Il fegato tramite un sistema di disintossicazione che utilizza decine di enzimi, neutralizza le sostanze tossiche e le rende solubili ed infine le espelle attraverso la bile. Il fegato svolge anche altri compiti: elabora le proteine, immagazzina gli zuccheri e provvede alla digestione dei grassi. Al termine del processo digestivo l'intestino scompone gli alimenti per permettere che le sostanze utili vengano assimilate e che quelle da scartare vengano eliminate. Se l'intestino non funziona bene le scorie ristagnano provocando stitichezza e irritazione delle pareti intestinali e si può arrivare al riassorbimento delle sostanze tossiche. É utile quindi bere molta acqua, assumere cibi ricchi di fibre e introdurre cereali integrali. Può inoltre essere utile assumere tisane lassative, massaggiare l'addome e fare esercizi respiratori contraendo gli addominali nell'espirazione. I reni, grazie ad un processo di filtrazione, estraggono le tossine dal sangue e le convogliano alla vescica in modo che vengano eliminate con le urine. L'urea é uno dei principali prodotti di scarto e deriva dal metabolismo delle proteine. Le varie forme di depurazione periodica hanno l'obiettivo di prevenire la sindrome metabolica che può portare al diabete all'ictus cerebrale e alle patologie cardio-vascolari. Gli alimenti ci intossicano se mangiamo troppo e male. Mangiare troppo riduce poco per volta l'energia. I salumi, le carni rosse, i formaggi possono essere fonti di sostanze tossiche, in quanto il fegato trasforma le proteine non utilizzate in urea che viene eliminata attraverso i reni. Se le proteine sono troppe, il rene soffre e non riesce a smaltirle completamente e pertanto aumenta l'azotemia e l'uricemia. Il corpo umano se riconosce dentro di sè una sostanza dannosa per la salute attiva adeguati procedimenti per eliminarla. Attraverso l'intestino, il fegato, i reni, i polmoni e l'epidermide possiamo mantenere "pulito" il nostro corpo. L'obiettivo delle diete, degli integratori e di altre tecniche disintossicanti é quello di permettere una buona depurazione e di eliminare le sostanze dannose che altrimenti ristagnerebbero nel corpo. In conclusione, per ridurre le intossicazioni bisogna diminuire il consumo di cibi che rilasciano residui acidi ed aumentare il consumo di quelli che rilasciano residui alcalìni-basici. Diminuire quindi il consumo di carni rosse, di zuccheri, di cereali raffinati, di cibi fritti e di latticini e aumentare il consumo di verdura, frutta, legumi, mandorle e alimenti proteici derivati della soia. É importante variare il più possibile l'alimentazione quotidiana perchè in tal modo si evita di abusare di sostanze che possono affaticare gli organi di depurazione e si evita la comparsa di intolleranze che favoriscono la formazione di tossine. Le intossicazioni sono le conseguenze dell'assunzione di sostanze e di cibi "velenosi" che possono mettere a rischio la salute. Il corpo umano può intossicarsi in modo più o meno pesante a causa di tossine provenienti dall'esterno o dall' interno del corpo stesso. Senza reagire in modo esagerato dobbiamo occuparci dei problemi del nostro corpo adottando con la dovuta attenzione quei comportamenti che aiutano a recuperare buone condizioni psicofisiche.Talvolta ci intossichiamo a causa di comportamenti scorretti come l'assunzione di proteine contenute in salumi, formaggi e carni rosse; il corpo non è in grado di accumulare proteine quindi se non le utilizza le trasforma in urea. Quando le tossine sono troppe i reni soffrono e non riescono a smaltirle per cui nel sangue aumentano sia le sostanze azotate che gli acidi urici. In conclusione è necessario: 1) Prestare molta attenzione nella scelta degli alimenti. 2) Ristabilire l'equilibrio acido-basico. 3) Perdere peso rapidamente. 4) Diminuire il consumo di cibi che rilasciano residui acidi e aumentare il consumo di cibi che rilasciano residui basici. 5) Ridurre il consumo di proteine animali (particolarmente carni rosse), di zuccheri, di cereali raffinati, di fritti e di latticini. 6) Incrementare il consumo di verdure, di frutta, di germogli, di legumi, di mandorle, e di alimenti proteici derivati dalla soia. 7) Evitare l'abuso di farmaci. PRIMA PARTE

Ecco i 24 alimenti che ci disintossicano naturalmente

di Roberto Rey*
* Gli alimenti disintossicanti da preferire sono: frutta e verdura al primo posto, seguite da cereali, legumi e pesci. Le etichette stampate sulle confezioni riportano gli ingredienti del prodotto e la dichiarazione nutrizionale e pertanto permettono di fare scelte ponderate e corrette; preferire i cibi con pochi ingredienti in quanto in genere sono i più semplici e naturali. Ed ecco l'elenco di 24 alimenti disintossicanti: 1) Le alghe. Sono ortaggi marini. Molte le varietà commestibili, tutte ricche di sali minerali. Ognuna presenta aspetti, caratteristiche nutrizionali e modalità di utilizzo differenti. 2) Carciofi. Molto indicati, contengono sostanze che stimolano l'attività del fegato. 3) Carote. Verdura molto ricca di betacarotene, sostanza che viene trasformata in Vitamina A. 4) Cavolo. Raggruppa molti ortaggi del genere brassicacee che contengono sostanze benefiche molto utili in diete disintossicanti. 5) Cicoria. Ha molte proprietà benefiche. E' una verdura amara molto utile nelle diete disintossicanti (la catalogna, la cicoria riccia e la scarola, sono le varietà coltivate). 6) Ciliegia. Ha innumerevoli proprietà benefiche, soprattutto se mangiata al mattino a digiuno o un'ora prima di andare a tavola. 7) Cipolla e aglio. Veri farmaci da cucina non solo per la vitamina C e il potassio ma per vari effetti protettivi e depurativi. 8) Farro. Si distingue dal frumento perchè è più ricco di proteine e di sali minerali. Contiene glutine e quindi va escluso per i celiaci. 9) Germogli. Ideali per il consumo a crudo. Sono depurativi. In commercio si trovano facilmente i germogli di soia. 10) Insalate. Essenziali in ogni menù depurativo apportano acqua e fibre. 11) Lenticchie. Legumi ricchi di proteine utili per limitare la presenza di proteine animali. 12) Limone. Ricco di proprietà depurative. 13) Mandorle. Abbassano il colesterolo totale e l'Ldl colesterolo. 14) Mela. Meglio se biologica e se mangiata con la buccia. 15) Miglio. I chicchi decorticati hanno un buon tenore di proteine e non hanno Glutine. 16) Orzo. Cereale nutriente, ricco di sali minerali. 17) Pesce. Ottimo per il contenuto di omega 3 che riduce il colesterolo nel sangue. 18) Piselli. Legumi ricchi di proteine, vitamine, sali minerali 19) Ribes. Poche calorie. Depurativo del sangue. Contiene antocianine che hanno potere antiossidante e protettivo nei confronti di malattie coronariche e tumori, hanno inoltre azione antinfiammatoria e antinfettiva. 20) Riso. Quello integrale è un'ottima fonte di oligoelementi soprattutto di selenio. 21) Semi di girasole, di zucca e di chia. In una dieta equilibrata non dovrebbero mancare. Quelli di girasole sono un vero integratore naturale di vitamine e sali minerali. 22) Tofu. Derivato della soia, che è un vegetale ottimo dal punto di vista nutrizionale, viene utilizzato come secondo piatto per il suo alto contenuto in proteine. É alternativo alla carne, consigliato a chi desidera non fare uso di prodotti animali e desidera ridurre l'apporto di colesterolo. 23) Uva. Frutto disintossicante perchè conserva anche quando è maturo un notevole contenuto di acidi organici che svolgono una benefica azione alcalinizzante sull'organismo. 24) Yogurt. A differenza del latte e dei suoi derivati, che sono sconsigliati in una dieta disintossicante, ha il merito di avere fermenti lattici che svolgono importanti azioni depurative e protettive. I comportamenti che devono essere evitati in quanto possono favorire/aggravare le intossicazioni sono: mangiare molto più del necessario (diventa evidente quando con l'attività fisica non si riesce a smaltire quanto ingerito). L'eccessivo accumulo di proteine prodotto da salumi, formaggi e carni rosse che non riesce ad essere smaltito e tali sostanze rimangono nel circolo sanguigno aumentandone l'azotemia e gli acidi urici. Le regole del Benessere. Introdurre gli alimenti nella dieta con la consapevolezza delle loro proprietà in modo da sfruttare al meglio le sostanze nutritive che contengono. Prima considerazione: Ridurre al minimo le calorie vuote. Tre categorie di cibi apportano molte calorie e poche sostanze nutritive vitali: lo zucchero, i cereali raffinati, i grassi. Lo zucchero favorisce carie, obesità e arteriosclerosi e non ha valore nutritivo. Si trova in quantità elevate anche in cibi non sospetti come nelle bevande gassate e il ketchup (una lattina di bibita gassata contiene l'equivalente di 7 cucchiaini di zucchero); quello integrale è meno dannoso di quello raffinato perchè contiene sali minerali ma contiene un eccesso di calorie. I cereali raffinati come farina e riso forniscono amidi con scarse quantità di fibre, proteine, sali minerali e vitamine. Molto meglio quindi sostituire le farine raffinate con quelle di tipo 1 e preferire il riso e gli altri cereali, in forma integrale e in chicco. I grassi sono essenziali per il nostro organismo. In particolare l'olio extra vergine di oliva è il condimento più adatto in quanto contiene in rapporto ottimale acido linoleico. Per mangiare sano è importante conoscere gli alimenti e privilegiare quelli antiossidanti e disintossicanti. Gli alimenti da preferire sono quelli più naturali che sono semplici, coltivati con pochi fertilizzanti chimici e con poche aggiunte di conservanti e additivi. Al primo posto dobbiamo mettere la frutta e la verdura, seguiti dai cereali, dai legumi, dal pesce e da alcuni latticini arricchiti con fermenti e altre sostanze benefiche per l'organismo. Non bisogna dimenticare che lo stato di benessere raggiunto si può mantenere con una periodica depurazione. Per disintossicare il nostro corpo ci vogliono mediamente 3-4 settimane e non è corretto reagire aggredendolo. La corretta scelta degli alimenti aiuta il nostro organismo a depurarsi. É importante adottare comportamenti molto corretti e salutari che possono giovare al corpo e allo spirito in modo da ritornare alla normalità seza particolari forzature. *Medico, presidente dell'associazione Più Vita in Salute SECONDA PARTE

lunedì 7 marzo 2022

Quasi 4,5 milioni con malattia renale cronica

La malattia renale cronica colpisce circa il 10% della popolazione adulta nel mondo e in Italia i pazienti che ne soffrono in forma media o grave sono quasi 4,5 milioni. Numeri in costante aumento a causa dell'invecchiamento della popolazione e che potrebbero crescere nei prossimi mesi come effetto 'rimbalzo' dopo lo stop subito dalle visite specialistiche durante la pandemia. Eppure, un italiano su due ammette di non sapere chi sia lo specialista dei reni (46%). A mettere in luce il gap conoscitivo su questa condizione sono i risultati della survey Bridge the knowledge gap, promossa dalla Società Italiana di Nefrologia (Sin) presentati in una conferenza stampa in vista della giornata mondiale del Rene che si celebra il 10 marzo. Dalla ricerca su un campione di oltre 1.000 italiani tra 18 e 70 anni emerge che solo il 13,4% pensa di sapere cos'è la malattia renale cronica, mentre poco meno della metà della popolazione (48.8%) ammette di averla solo sentita nominare. Ben 7 su 10 non hanno mai fatto visite specialistiche per il controllo dei reni. Pochissimi sanno che questi organi controllano ormoni specifici e che influenzano anche la pressione, così come il fatto che il loro funzionamento può risentire dell'utilizzo di alcuni farmaci. Solo il 38% sa che a curarli è il nefrologo, mentre moltissimi confondono questa figura con l'urologo. Veri e propri vuoti di conoscenze riguardano i giovani mentre non ci sono diversità tra regioni del nord e del sud. Questi dati, spiega Piergiorgio Messa, presidente Sin e professore ordinario di Nefrologia all'Università degli Studi di Milano, sono “in linea con quello del ritardo diagnostico che si registra per la malattia renale cronica, per cui è evidente che ci si preoccupa della salute dei reni non in un'ottica di prevenzione o di intervento precoce, ma quando ormai la malattia è in uno stadio avanzato tale da richiedere la dialisi o il trapianto. Le malattie renali danno raramente segnali riconoscibili e per questo vengono spesso scoperte per caso, in fase ormai avanzata, in occasione di esami svolti per altri motivi”.

Compagnia San Paolo accelera l'innovazione nella sanità

E' stato presentato il completamento del reparto di Nefrologia e Gastroenterologia all’Ospedale torinese Regina Margherita, sostenuto nell’ambito dell’iniziativa sperimentale “Hospeedal – Acceleriamo l’innovazione della sanità”. Un’iniziativa nata per favorire la collaborazione tra pubblico e privato nella realizzazione di progettualità complesse orientate alla riqualificazione di reparti ospedalieri, con particolare attenzione alla transizione digitale del sistema sanitario, al fine di sostenere l’innovazione e il miglioramento tecnologico volto alla qualità del servizio e al benessere del paziente. Per la prima edizione dell’iniziativa sperimentale, la Fondazione Compagnia di San Paolo ha selezionato gli interventi da supportare affinchè, partendo da un bisogno espresso dal sistema sanitario pubblico, fossero in grado di concorrere al raggiungimento dei seguenti obiettivi: incremento della capacità di trattare i pazienti e conseguente riduzione delle liste di attesa; creazione o rafforzamento di hub clinici e di competenze in grado di aumentare la capacità di attrazione della struttura e agire sul saldo tra mobilità attiva e passiva; aumento del livello di digitalizzazione e di capacità di trattamento dati (anche in riferimento a iniziative di telemedicina) dei reparti/servizi/processi. Hospeedal ha riguardato interventi su reparti ospedalieri pubblici operanti nell’ambito della salute delle donne (sia ostetrica, sia ginecologica) e dei bambini (nella fascia 0-18 anni) realizzati da fondazioni, associazioni e altri enti del Terzo settore che svolgono funzioni di supporto agli ospedali di aziende sanitarie della Regione Piemonte, sia attraverso lo svolgimento di una significativa azione di sensibilizzazione e responsabilizzazione della cittadinanza, sia tramite un’ampia attività di fundraising. “La Fondazione Compagnia di San Paolo - ha dichiarato Alberto Anfossi, il Segretario generale –sostiene azioni che permettano al sistema sanitario di introdurre nuovi modelli organizzativi, migliorando l’efficienza delle risorse e offrendo un’assistenza di alto livello, anche grazie all’innovazione tecnologica. Per tale ragione abbiamo selezionato, attraverso l’iniziativa sperimentale Hospeedal, il progetto promosso da Forma-Fondazione Ospedale Infantile Regina Margherita Onlus: con la creazione di un reparto congiunto di Nefrologia e Gastroenterologia - struttura di eccellenza in Piemonte dedicata alla cura dei bambini che necessitano di trapianti di rene, fegato e combinati rene-fegato- le competenze sono state unificate, ottimizzando le risorse sia umane sia tecnologiche, a beneficio di tutti gli operatori, ma soprattutto dei piccoli pazienti e delle loro famiglie”.

domenica 6 marzo 2022

I gravi danni della malattia cronica delle gengive

Dal diabete alla pressione alta, dall’artrite ai problemi cardiovascolari fino addirittura all’Alzheimer, al parto prematuro e al Covid in forma grave, la malattia cronica delle gengive, la parodontite, è collegata al rischio di sviluppare diverse malattie: “ci sono solide evidenze scientifiche che legano la parodontite a qualcosa come 50 diverse patologie” ha detto Francesco D’Aiuto, della University College London e della Società Italiana di Parodontologia e Implantologia (SIdP). Lo scrive l'Ansa, aggiungendo che molte malattie hanno una componente infiammatoria e la parodontite è caratterizzata da un processo infiammatorio gengivale cronico. diretta conseguenza di un infezione batterica. “Una associazione tra problemi cardiovascolari e diabete con la parodontite - ha spiegato D’Aiuto sulla rivista Nature - è ormai documentata particolarmente bene”. Lo stesso specialista ha precisato che sulla base di dati clinici raccolti finora si stima che la malattia delle gengive aumenti il rischio di malattia cardiaca futura del 10-15% (un aumento equivalente a quello associato ad altri fattori di rischio come lo stress, oppure il fumo passivo). L'Ansa riferisce inoltre che un lavoro pubblicato di recente sul Journal of Periodontology da Thomas Van Dyke del Forsyth Institute, in Massachusetts (Usa) evidenzia che soffrire di parodontite potrebbe addirittura raddoppiare il rischio di avere un infarto o un ictus o un altro evento cardiovascolare. E anche per il diabete diversi studi documentano ormai in modo esaustivo il nesso con la parodontite. Il collegamento è biunivoco, nel senso che una malattia favorisce l’altra. Le più recenti evidenze scientifiche, inoltre, negli ultimi anni hanno collegato la parodontite a condizioni quali l’Alzheimer e l’artrite reumatoide. “Alcuni studi stanno via via confermando un possibile legame di causa ed effetto tra parodontite e malattie e questo fa sperare in un futuro dove il controllo della salute parodontale diventi parte integrante delle cure mediche”, ha concluso D’Aiuto, sottolinenado che però molto resta da scoprire sui meccanismi in atto.

sabato 5 marzo 2022

I consigli dell'Oms per non rischiare di perdere l'udito

Oltre un miliardo di persone nel mondo di età compresa tra i 12 e i 35 anni rischia di perdere l'udito a causa dell'esposizione prolungata a musica e ad altri suoni ad alto volume. E' l'allarme lanciato dall'Oms (Organizzazione mondiale della Sanità), in occasione della Giornata mondiale dell'udito. L'Oms ha denunciato che i problemi di udito possono tradursi in conseguenze gravi sulla salute fisica e mentale, sull'istruzione e sulle prospettive occupazionali. Ma una larga parte dei casi di perdita dell'udito potrebbe essere evitata mettendo in atto alcune misure di prevenzione. Per questo, l'Oms ha elaborato nuove raccomandazioni, rivolte sia ai singoli che ai gestori di attività in cui viene riprodotta musica amplificata. “In situazioni come discoteche, bar, concerti ed eventi sportivi il rischio dipende anche dal fatto che non vengono offerte opzioni per un ascolto sicuro”, ha spiegato Bente Mikkelsen, direttore del Dipartimento Oms per le malattie non trasmissibili. Le nuove raccomandazioni mirano a preservare l'udito garantendo comunque un suono di alta qualità e un'esperienza di ascolto piacevole. L'Oms suggerisce ai gestori di locali pubblici un livello sonoro medio massimo di 100 decibel; il monitoraggio in tempo reale e la registrazione dei livelli sonori mediante apparecchiature calibrate da parte di personale designato; l'ottimizzazione dell'acustica del locale e dei sistemi audio; la messa a disposizione al pubblico di dispositivi di protezione personale dell'udito; la possibilità di accesso a zone tranquille per far riposare le orecchie; la formazione del personale e l'informazione. Alle singole persone, poi, l'Oms consiglia di mantenere basso il volume dei dispositivi audio personali; di utilizzare auricolari/cuffie ben adattati e, se possibile, in grado di eliminare il rumore; di indossare i tappi per le orecchie nei luoghi rumorosi; di sottoporsi a regolari controlli dell'udito.

venerdì 4 marzo 2022

Perché volano i consumi di legumi

Volano i consumi di legumi che, nell’ultimo decennio, sono aumentati del 47% - dai piselli ai fagioli, dai ceci alle fave fino alle lenticchie - sulla spinta di una vera e propria svolta green nelle scelte di acquisto dei consumatori. E’ quanto emerge da una analisi Coldiretti su dati Istat in occasione della Giornata mondiale dei legumi, istituita dall’Organizzazione delle Nazione Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao) come un’opportunità per aumentare la consapevolezza dei benefici dei legumi per la salute e per contribuire a sistemi alimentari sostenibili. La pandemia Covid ha accelerato la tendenza a mettere nel carrello della spesa cibi più salutari, riportando sulle tavole prodotti come i fagioli, che in passato erano chiamati non a caso “carne dei poveri”, perchè da sempre contribuiscono a garantire una corretta alimentazione anche a chi non può permettersi la carne. Sul fronte nutrizionale, infatti, i legumi sono un’ottima fonte di proteine e di fibre alimentari, utili, fra l'altro, per regolare le funzioni intestinali e per il controllo dei livelli di glucosio e colesterolo nel sangue. Contengono sali minerali, come ferro, calcio, potassio, fosforo e magnesio, vitamine del gruppo B e, quando sono freschi, anche vitamina C. “E dal punto di vista ambientale – ha sottolineato la Coldiretti – le piante di legumi hanno un importante ruolo nella difesa della fertilità dei suoli, grazie alla loro capacità di fissare l’azoto al terreno, consentendo così la riduzione dell’uso di concimi chimici e contribuendo alla difesa delle acque e dell’ambiente”. I legumi più diffusi in Italia sono i fagioli, i piselli, le lenticchie, i ceci e le fave, oltre alle cicerchie, i lupini e la soia. E il Belpaese può contare su molte produzioni tipiche di qualità riconosciute dall’Unione Europea come i fagioli di Rotonda, di Atina, di Sarconi, di Sorana, di Cuneo, vallata bellunese, oltre alle lenticchie di Castelluccio e a quelle di Altamura. Le coltivazioni nazionali di legumi sono diffuse su oltre 150mila ettari, ai quali se ne aggiungono 273mila seminati a soia; ma soffrono della pressione di importazioni di prodotti a basso costo e ridotta qualità, magari favorite dagli accordi commerciali. La produzione nazionale si è così drasticamente ridotta rispetto al passato, accentuando la dipendenza dall’estero, nonostante una ripresa degli ultimi anni. In piena pandemia da Covid, le importazioni di legumi in Italia hanno superato i 400 milioni di chili, in crescita del 2% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, con un balzo del 16% per i piselli. Il risultato è che tre piatti di fagioli, lenticchie e ceci su quattro che si consumano in Italia oggi, sono stranieri, provenienti soprattutto da Paesi come gli Stati Uniti e il Canada, dove vengono fatti seccare con l’utilizzo del glisofate in pre-raccolta, secondo modalità vietate in Italia. Infatti, oltre il 90% delle lenticchie consumate in Italia sono straniere, soprattutto americane e canadesi. E la dipendenza dalle importazioni è all’incirca della stessa percentuale anche per i fagioli, che arrivano in gran parte dall’Argentina e dal Nord America, mentre è del 70% per i piselli e di più del 50% per i ceci. Tra i grandi esportatori di legumi in Italia ci sono anche il Messico, diversi Paesi del Medio Oriente e la Turchia, attraverso la quale avvengono spesso triangolazioni. “Occorre assicurare che tutti i prodotti che entrano in Italia e nella Ue rispettino gli stessi criteri – sostiene la Coldiretti - garantendo che dietro gli alimenti, italiani e stranieri, in vendita sugli scaffali ci sia un analogo percorso di qualità che riguarda l’ambiente, il lavoro e la salute. Ma occorre anche rivedere il meccanismo degli accordi che favoriscono l’arrivo di prodotti stranieri sulle nostre tavole, garantendo che vengano applicati tre principi fondamentali: parità delle condizioni, efficacia dei controlli, reciprocità delle norme”. Con l’82% dei consumatori che, secondo l’indagine Coldiretti/Ixè, preferisce comprare prodotti italiani per sostenere l’occupazione e l’economia nazionale in un momento particolarmente difficile per il Paese è necessario – conclude Coldiretti – arrivare a una chiara indicazione di origine in etichetta che non è ancora obbligatoria per i legumi secchi o per quelli in scatola. Per non cadere nell’inganno del falso Made in Italy, perciò, è necessario privilegiare legumi che esplicitamente evidenziano l’origine nazionale in etichetta, come avviene per Dop e Igp.

domenica 27 febbraio 2022

Ecco la strategia per tenere allenato il cervello

di Gabriella Bruschi*
Allenare la mente: chi fa selezione del personale per le aziende lo sa bene. Contano certamente le competenze tecniche per ricoprire un certo ruolo, ma altrettanto importati sono le abilità cognitive. Capacità di concentrazione, attenzione, memoria, lucidità, resistenza sono le principali abilità necessarie per eseguire al meglio il proprio lavoro. Abilità che solo per il 20% sono da attribuire al proprio Dna, mentre per il rimanente 80% dipendono dalla capacità di ciascuno di saperle stimolare e irrobustire, a prescindere dall’età. “Sempre più aziende vanno alla ricerca di personale con specifiche caratteristiche cognitive per svolgere un dato lavoro” dice Giuseppe Alfredo Iannoccari neuropsicologo, docente di Scienze Umane all’Università Statale di Milano e presidente dell’associazione Assomensana. Ogni lavoro ha bisogno di abilità cognitive specifiche. Dal lavoratore addetto al controllo di un prodotto finito, al manager che deve focalizzarsi su più settori contemporaneamente. Lo stesso vale per un insegnante che deve sintetizzare e rendere semplici argomenti difficili, magari in smart working, per uno studente che deve preparare un esame, per chi deve esporre un progetto in un convegno. Le abilità cognitive si possono migliorare e con esse anche il rapporto con la vita? “Gli studi scientifici più recenti hanno evidenziato una grande novità: le attività cognitive si possono incrementare, migliorare, stimolare con le adeguate strategie ottenendo eccellenti risultati a qualsiasi età” dice Iannoccari. “E d’altro canto, migliorare le proprie abilità consente di avere maggiori soddisfazioni nel proprio lavoro, aumentare l’autostima, in generale rendere migliore il proprio rapporto con la vita”. Bisogna pensare al cervello come un muscolo: sappiamo bene che allenandoci in palestra il bicipite migliora. La stessa cosa avviene per il cervello: va allenato, stimolato, irrorato perché possa avere la migliore performance possibile nel presente e anche nel futuro”. Qual è l’approccio migliore per migliorare le abilità cognitive? “Innanzitutto per stimolare la nostra mente occorre non smettere mai di imparare, di cimentarci in nuove cose e attività” risponde Iannoccari. “I neuroni così stimolati, continueranno a produrre quelle sostanze chimiche che ne incrementano il volume e la tonicità consentendo loro di lavorare meglio, a qualsiasi età”. Se al contrario le abilità cognitive non vengono stimolate, alla lunga si sperimentano situazioni frustranti che possono portare depressione, isolamento, timore di non essere all’altezza. “Si crea in sostanza un circolo vizioso: meno mi impegno a fare, meno imparo e meno riesco a fare. Ma se faccio meno, il mio cervello meno si attiva e si arriverà alla cosiddetta “inflazione mentale”: è come pensare di lasciare il capitale sotto il materasso senza farlo fruttare, nel tempo verrà eroso dall’inflazione e diminuirà. Se invece lo si mette a frutto potrà aumentare”. Che cosa fa rallentare il cervello? “In tutte le professioni sono sempre gli schemi automatici a fare da freno. Se si ripete di continuo una medesima attività, non si attiva nulla nel cervello: dal pianista che replica sempre lo stesso spartito, al contabile che rivede gli stessi conti, all’operaio che esegue sempre la medesima mansione, fino a chi gioca sempre allo stesso gioco di carte o fa lo stesso allenamento sportivo. Cambiare le regole, modificare gli schemi: è la strategia per un cervello in ottima forma? “Modificare gli schemi, apprenderne di nuovi, provare le varianti, sperimentare nuovi giochi, cambiare le regole: sono tutte azioni che fanno uscire dalla “confort zone” del cervello e smuovono i neuroni”. L’attività cerebrale non è necessariamente legata al solo fattore anagrafico. Eravamo tutti convinti che la vita fosse una curva a campana, ascendente fino a un certo punto e poi discendente. Oggi, invece, la vita è considerata una crescita continua, ricca di successivi apprendimenti e opportunità. Ciò è testimoniato dal numero sempre crescente di persone lucidissime, molto colte e piene di progetti nuovi anche oltre i 90 anni. Dunque il tema è proprio qui. Che cosa hanno in comune le attività cognitive di un 30enne e quelle di uno di questi senior? “Il fattore più importante -che soprattutto è un atteggiamento e uno stato mentale- è la curiosità: essa è il motore per capire cose nuove, sperimentare nuove abilità che, una volta acquisite, aprono la strada ad altre nuove, e così via allargando sempre più gli interessi”. Chi invece ha un atteggiamento rinunciatario, a 30 come a 90 anni, nei confronti di ciò che gli è sconosciuto, nuovo o apparentemente difficile, è destinato a peggiorare rapidamente: la rinuncia nuoce gravemente alla salute. La curiosità consente invece di raccogliere gli stimoli e portarli alle altre abilità: alla memoria, considerata la regina di tutte le attività cognitive, all’attenzione, alla concentrazione. Ci sono ben 17 tipi di memoria diversi – spiega Iannoccari – quella per i nomi, quella per i volti e quella per i numeri, ma anche quella procedurale (l’abilità di sapere come fare le cose), la prospettica (ricordarsi di fare una cosa più tardi), semantica (ricordare che significato hanno i termini e a che cosa servono gli oggetti). Ci sono persone molto dotate su alcuni fronti, ma meno in altri. Un po’ come accade per gli sportivi: chi eccelle nella maratona non è detto che abbia le medesime performance nei 100 metri. Ognuna di queste può essere stimolata con trucchi, esercizi e strategie anche divertenti che Assomensana ha messo a punto nei corsi di Ginnastica Mentale che si svolgono in più di 30 province italiane. Alcuni sono molto semplici: si potrebbe per esempio iniziare con l’abbandonare o limitare le cosiddette “protesi mentali” costituite da agende e rubriche elettroniche e ricominciare a imparare a memoria alcuni numero di telefono e memorizzare appuntamenti e compleanni, suggerisce Iannoccari. Oppure si può evitare di frammentare troppo l’attenzione spostandosi continuamente dall’attività principale allo smart phone o ai social: si potrebbero creare dei “Tech-break” nel corso della giornata in cui concentrare queste attività. Altro meccanismo utile al cervello è la narrazione verbale: raccontarsi, raccontare episodi, ripetere trame di film o di romanzi sono tutte attività che tengono allenato il cervello. Infine il suggerimento di sperimentare qualsiasi tipo di attività nuove: uno sport, un viaggio, un corso, un hobby, uno strumento musicale, un gioco, persino provare a usare la mano non dominante nei piccoli gesti. “Sono tutte attività collaterali all’attività lavorativa principale, ma che diventano sinergiche con essa e la migliorano” conclude Iannoccari. E’ da poco uscito il suo nuovo libro sul tema: “I 10 pilastri per un cervello efficiente” edito da Franco Angeli. * Per gentile concessione di Firstonline, autorevole giornale web di economia e finanza diretto da Franco Locatelli e presieduto da Ernesto Auci

sabato 26 febbraio 2022

Premiato brevetto torinese contro la metastasi del cancro

È stato premiato all’Expo di Dubai come migliore brevetto italiano nella sezione Life Science and Healthcare nell’ambito dell’Intellectual Property Awards 2021. Si tratta di un complesso chimerico specifico per le cellule tumorali sviluppato da Lorena Quirico, Francesca Orso e Daniela Taverna del Dipartimento di Biotecnologie Molecolari e Scienze per la Salute, del Centro per le Biotecnologie Molecolari dell'Università di Torino. Il progetto è stato finalizzato a cercare terapie più efficaci per la cura del cancro oltre che maggiormente focalizzate sul tumore. Una delle principali cause di mortalità legata al cancro è la formazione di metastasi in organi distanti da quello dove il tumore ha avuto una sua prima origine. Questo perché, purtroppo, le attuali terapie non sono sufficienti a eradicare la malattia e sono spesso devastanti per l’organismo, che viene quindi debilitato dalla terapia stessa. Il team guidato da Daniela Taverna ha sviluppato un complesso macromolecolare che comprende molecole di natura diversa capaci di esercitare azioni differenti. Il complesso chimerico è composto da due porzioni: una sequenza chiamata aptamero, in grado di riconoscere selettivamente un antigene presente in grande quantità sulle cellule tumorali unita a un piccolo RNA non-codificante, il miR-148b, con funzione anti-metastatica. Tale complesso ha mostrato una elevata capacità di bloccare la metastatizzazione, che è ancora oggi la causa principe della mortalità per cancro. Il complesso chimerico è stato oggetto di brevettazione nazionale e internazionale ed è stato premiato a Dubai, in seguito al concorso organizzato dal ministero dello Sviluppo Economico (Mise) - Direzione Generale per la Tutela della Proprietà Industriale – Ufficio Italiano Brevetti e Marchi, in collaborazione con Netval. Un importante riconoscimento che mostra ancora una volta come sia cruciale la ricerca svolta nelle Università pubbliche, enti pubblici di ricerca nazionali e a Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs) per le ricadute che questa può avere in termini di avanzamento tecnologico in ambito sanitario.

Quegli antiossidanti che ci preservano dai radicali liberi

di Roberto Rey*
Gli antiossidanti svolgono un ruolo importante nell’ambito della prevenzione in quanto ostacolano la formazione dei pericolosi radicali liberi e cercano di neutralizzare quelli già costituiti. Una dieta variata e ricca di frutta e verdura consente di integrare e rafforzare le naturali difese antiossidanti e preservare così lo stato di salute dell’organismo. É importante mantenere in equilibrio la bilancia ossidativa su cui pesano da una parte i fattori di rischio (radicali liberi) e dall’altra i fattori di protezione (gli antiossidanti). Una dieta ricca di frutta e verdure o integrata con antiossidanti offre evidenti benefici su alcune forme di neoplasie (polmone esofago, stomaco, colon, retto, ovaio, mammella) e sulla prevenzione primaria delle malattie cardiovascolari. I fattori protettivi antiossidanti sono: 1. Carotenoidi: alfa e beta carotene, licopene, luteina, che sono abbondanti in carote, peperoni, pomodori, melone, nonché in broccoli e in vegetali a foglia verde. 2. Flavonoidi: abbondanti in tè verde e nero, olio di oliva, vino rosso, arancia rossa e fragole. 3. Oligoelementi: il Selenio, abbondante in spinaci, broccoli, cavoli, cipolle e funghi; lo Zinco, abbondante in spinaci e cavoletti di Bruxelles. 4. Le vitamine C, E, A e quelle del gruppo B. La vitamina C è abbondante in agrumi, pomodori, broccoli, cavoli e fragole; la vitamina E abbonda in olio di oliva, asparagi, avocado e cereali integrali; la vitamina B in ortaggi verdi e cereali integrali.  Le fonti alimentari più utili e benefiche come Aantiossidanti sono: al primo posto mirtilli, cavolo verde, barbabietola, prugne nere, fragole; al secondo arancia, cavoletti di Bruxelles, pompelmo, kiwi; al terzo spinaci, pomodori, cetrioli, albicocche, cipolle, melone. Ecco, perciò, alcune semplici “regole” nutrizionalmente corrette: assunzione abbondante di frutta e verdura; assunzione ridotta di latticini contenenti elevate percentuali di grassi saturi; evitare cibi preconfezionati contenenti grassi saturi; attenzione alla cioccolata, assumerne solo piccole quantità di nero fondente al 70-90%; attenzione alle torte commerciali; friggere di rado e a fiamma bassa e mai riutilizzare l’olio; moderazione nel consumo del caffè (meglio se decaffeinato). Inoltre: ridurre drasticamente il burro e utilizzare olio di oliva extravergine; incrementare l’apporto dei prodotti della pesca, ricchi di omega 3 e di omega 6; privilegiare le carni bianche rispetto alle carni rosse (bene coniglio e tacchino); adottare dieta normolipidica con prevalenza di grassi mono e poli insaturi, lievemente iperproteica, meglio la soia e altre leguminose; incrementare cibi integrali e non raffinati. Non esagerare nel consumo di pane e derivati o di primi piatti (pasta, riso ecc,). L’Università di Boston ha fatto uno studio per quantificare il potere antiossidante dei vari cibi del mondo vegetale. A tal fin é stato attribuito loro un valore ORAC (capacità assorbente ossigeno), valore della capacità di azione antiossidante. Essenziale anche l’attività fisica regolare senza la quale le difese organiche contro i radicali liberi possono affievolirsi. Allo stesso modo é efficace, per l’anti invecchiamento, un’appropriata alimentazione che fornisca all’organismo almeno 5.000 U di antiossidanti al giorno. * Medico, presidente dell'associazione Più Vita in Salute

lunedì 21 febbraio 2022

Ecco le regole per evitare il mal di schiena

di Roberto Rey*
La colonna vertebrale è la struttura cardine su cui noi organizziamo ogni posizione che assumiamo nella vita quotidiana. Il dolore alla schiena, che a sorpresa ci blocca per qualche giorno, è spesso dovuto a: accumulo di tensioni o errori di postura o scarsa attenzione nei confronti delle posizioni scorrette che assumiamo durante le varie attività giornaliere. Per evitare la comparsa di eventi acuti è bene rispettare alcune indicazioni di corretta postura: a) non rimanere troppo a lungo nella stessa posizione, in quanto l’immobilità sulla sedia causa tensioni muscolari che nel lungo periodo possono portare a contratture dolorose da una parte e a debolezza dall’altra. La schiena durante la posizione seduta è sollecitata sia nella zona lombare che in quella cervicale e questo spiega perché è consigliabile fare, ogni due ore, regolari intervalli, finalizzati all’allungamento della colonna dorsale oppure fare una breve camminata. In ufficio è utile stare seduti su sedie che consentano di appoggiare le braccia e non obblighino a pesare solo sulla regione lombosacrale. b) Non accavallare le gambe. É un’abitudine che fa distribuire in modo non armonico il peso del corpo. c) Quando si è alla guida di un’auto non ci si deve insaccare sul sedile, ma fare in modo che i fianchi abbiano una posizione più alta di quella delle ginocchia in modo da non gravare troppo sulla zona lombare. É bene appoggiarsi allo schienale e al poggiatesta in modo che la schiena sia ben dritta durante la guida. Se il viaggio è lungo è bene fare una sosta ogni 2-3 ore, per camminare e rilassare la muscolatura delle gambe, delle braccia e delle spalle. Le tre principali cause del mal di schiena sono: 1. Il sovrappeso; 2. La scarsa attività fisica; 3. Le posture scorrette. A queste possono aggiungersene altre che, incidendo sugli equilibri posturali, finiscono per causare problemi di tipo muscolare, tendineo e articolare. Una causa importante sono anche le calzature non adeguate quindi: a) scartare i tacchi alti (sono tollerati quelli inferiori a 4 cm); b) utilizzare calzature comode, a pianta larga in modo che il peso corporeo sia distribuito su tutta la pianta del piede; c) l’uso di calzature non adeguate dovrebbe essere solo occasionale. Una ricerca che ha coinvolto più di 5.000 persone affette da mal di schiena per problemi collegati alla colonna vertebrale, ha dimostrato un legame tra i dolori collegati alla colonna, soprattutto a livello lombare e il fumo della sigaretta. Il motivo sembra legato a due ragioni: 1. Il fumo aumenta la produzione di tossine e di radicali liberi che fanno invecchiare precocemente i dischi intervertebrali; 2. Il fumo produce danni ai polmoni con conseguente minore ossigenazione del sangue. Altre condizioni meno importanti e meno frequenti che possono concorrere a creare problemi alla colonna sono: a) La miopia. In assenza di occhiali con lenti correttive lo sforzo di mettere a fuoco e accomodare, può portare lentamente a mettere in tensione alcuni muscoli a livello cervicale e dorsale. b) Oltre ai problemi di vista, come causa del mal di schiena dobbiamo aggiungere quelli della masticazione, dovuti al cattivo allineamento tra arcata superiore e inferiore. c) Anche stress e psiche hanno un ruolo importante; infatti, il dolore lombare è più frequente tra coloro che soffrono di depressione e di disturbi d’ansia e tra coloro che hanno problemi sul lavoro e vivono situazioni di disagio sociale ed economico. d) L’inclinazione del collo provocata dal telefono cellulare determina un carico aggiunto sopra la spalla e il deltoide. La spiegazione del collegamento tra le varie situazioni è quella per cui le tensioni muscolari finiscono per incidere sul distretto lombare provocando disturbi di ogni genere, probabilmente perché mente e corpo vengono penalizzati dalla frustrazione. Il tratto lombare è evidentemente quello su cui incidono maggiormente le tensioni muscolari. La mente è la centrale operativa mentre il corpo è l’esecutore che mette in atto ciò che gli viene comandato e non sempre il risultato finale è il migliore in termini di salute e benessere. * Medico, presidente dell'Associazione Più Vita in Salute

domenica 20 febbraio 2022

Il "nemico" Glaucoma, grande rischio per i parenti

di David Ciacci e Francesca Jonsson*
Il glaucoma e l’ipertensione endoculare non ben trattata rappresentano la seconda causa di cecità al mondo dopo la cataratta ma, a differenza di quest’ultima, la perdita visiva associata al glaucoma è irreversibile. In Italia sono circa 800.000 i pazienti accertati, equivalenti al 2.5% della popolazione, con una prevalenza maggiore al nord d’Italia. É una patologia oculare che può presentare diversi quadri clinici, nella maggior parte dei casi accomunati da un aumento della pressione intraoculare (> 20 mmHg). L’aumento della pressione all’interno del bulbo oculare è dovuta a una aumentata produzione o a un ridotto assorbimento del liquido che normalmente circola all’interno del segmento anteriore dell’occhio, l’umor acqueo. L’aumento pressorio, a carico del segmento anteriore dell’occhio (lo spazio compreso tra la cornea e l’iride) può esser presente fin dalla nascita come nel glaucoma congenito, può manifestarsi improvvisamente con un attacco acuto di glaucoma con grave dolore e annebbiamento visivo, oppure può insorgere in maniera subdola e lenta, come nella maggior parte dei casi in corso di glaucoma cronico ad angolo aperto o glaucomi secondari ad altre patologie (ad esempio eccessivo uso di cortisone). Il glaucoma primario ad angolo aperto rappresenta la tipologia più comune, rappresentando il 75% dei casi. È una patologia caratterizzata da una pressione intraoculare > 20 mmHg e da danni secondari ischemici al nervo ottico, con conseguente perdita del campo visivo. Il meccanismo per il quale un rialzo pressorio porti al danneggiamento delle cellule nervose della retina rimane ancora sconosciuto, ma è stato ipotizzato un danno di tipo meccanico, da compressione e un danno ischemico, legato alla compressione dei vasi sanguigni. Esiste una variante del glaucoma ad angolo aperto, ossia il “normal tension glaucoma”, conosciuto come glaucoma a bassa pressione, nel quale la pressione intraoculare è normale, ma la patologia progredisce con danni del campo visivo e perdita progressiva della vista, in pazienti asintomatici che non sanno di avere la patologia. Esistono diversi fattori di rischio che aumentano la probabilità di sviluppare il glaucoma, come l’età avanzata, il sesso maschile, la razza nera, la presenza di patologie vascolari sistemiche e la familiarità. I parenti di primo grado di un paziente con glaucoma hanno un rischio fino a nove volte superiore alla popolazione generale di sviluppare tale patologia; ciò nonostante, oltre il 50% delle persone nei Paesi sviluppati non è a conoscenza di esserne affetto. Da questi presupposti deriva l’importanza fondamentale di una diagnosi precoce, di uno stretto follow-up dei pazienti affetti dalla patologia e una scrupolosa attività di screening dei familiari stretti. * Centro oculistico Chiros (Torino)

Ideato dispositivo per prevenire le fratture ossee

Un gruppo di studenti ha ideato un dispositivo innovativo e un algoritmo per comprendere e prevenire le fratture ossee. Nel corso della vita, infatti, circa il 40% della popolazione italiana incorre in una rottura di femore, vertebra o polso. Le fratture dovute all’osteoporosi hanno conseguenze importanti in termini di mortalità e di disabilità motoria, con elevati costi sanitari e sociali. Il progetto GAP (image-Guided experimental and computational Analysis of fractured Patients) si inserisce in questo ambito e punta a superare i limiti della diagnostica attuale delle fratture ossee, per sviluppare metodi di diagnosi precoce più efficaci. L’idea è nata all’interno dell’Alta Scuola Politecnica (ASP), il programma internazionale riservato ai migliori studenti del Politecnico di Milano e del Politecnico di Torino. Il gruppo di lavoro si è focalizzato sullo studio delle fratture ossee alla microscala, dove sussistono ancora molti dubbi sull’origine e sulla propagazione delle fratture. Non è ancora chiaro quale sia il ruolo di piccole cavità presenti nell’architettura ossea, definite lacune. Per avere un punto di vista completo gli studenti dell’ASP hanno analizzato il fenomeno sia attraverso una campagna sperimentale, sia con dei modelli computazionali. In dettaglio, è stato progettato e realizzato un dispositivo di micro-compressione che permette sia di testare i campioni ossei femorali in condizioni che riproducono la situazione di lavoro in-vivo all’interno del corpo umano, sia di acquisire immagini di determinate sezioni ossee. Ciò è stato possibile grazie all’utilizzo della tecnologia innovativa, basata sulla generazione di luce di sincrotrone e di laser ad elettroni liberi di alta qualità, dell’Elettra Sincrotrone di Trieste. La luce del sincrotrone è una radiazione elettromagnetica caratterizzata da particelle cariche con una velocità elevatissima, vicina a quella della luce, e che, di conseguenza, ha una lunghezza d'onda molto limitata. Queste caratteristiche fanno sì che il picco di radiazione rientri nella categoria dei raggi X e che sia molto adatta per analizzare un tessuto come le ossa. Questo è il punto fondamentale della ricerca, perché nessuno prima aveva studiato il fenomeno con immagini di risoluzione così alta. La qualità e la quantità di immagini acquisite e analizzate sono, infatti, l’elemento di forza di questo studio. Altrettanto innovativa è stata la tecnica utilizzata per processare questa grande mole di dati. Gli studenti, dovendo esaminare oltre due milioni di immagini, hanno deciso di automatizzare il processo, sviluppando una rete neurale convoluzionale in grado di identificare autonomamente le lacune ossee. Le reti neurali sono algoritmi di deep learning oggi al centro dell’attenzione della comunità scientifica internazionale, per il loro potenziale nell’analizzare le immagini cliniche. La realizzazione di questo algoritmo ha permesso di risparmiare oltre due milioni di ore nella fase di post-processing. Parallelamente il fenomeno è stato esaminato attraverso simulazioni computazionali. È stato realizzato e validato un modello che permette di riprodurre prove di compressione ossea che potrà essere utilizzato per analisi future, senza la necessità di nuovi campioni delle ossa. Il progetto GAP, coordinato da Maria Chiara Sbarra, insieme a Irene Aiazzi, Bingji Liu, Alessandro Casto e Giovanni Ziarelli, ha ottenuto risultati importanti in soli due anni di lavoro. Il team multidisciplinare, guidato dalla professoressa Laura Vergani e dalla dottoranda Federica Buccino del Dipartimento di Meccanica del Politecnico di Milano, ha collaborato con l’ETH di Zurigo, il centro di ricerca internazionale Elettra Sincrotrone di Trieste e il Gruppo San Donato.

venerdì 18 febbraio 2022

Come è cambiato il rapporto degli italiani con la salute

Per UniSalute, assicurazione sanitaria appartenente al gruppo Unipol, Nomisma ha sviluppato l’Osservatorio Sanità, con l’obiettivo di monitorare e comprendere le abitudini degli italiani in merito ai temi della salute e della prevenzione. Il report 2021 che ne è derivato ha messo al centro delle tematiche l’alimentazione degli italiani, con una lettura delle trasformazioni intervenute a seguito del periodo pandemico. Nello specifico, la ricerca Nomisma ha evidenziato che, nell’ultimo anno, il 51% degli italiani ha modificato le proprie abitudini alimentari e che, nel 40% dei casi, si è trattato di un cambiamento positivo e migliorativo rispetto agli stili alimentari pre-pandemia. Sempre più italiani, infatti, associano le scelte nutrizionali al mantenimento del proprio benessere e il 37% vede nel controllo dell’alimentazione un modo per restare in salute. Un approccio che si evince anche dal fatto che più di un italiano su quattro segue una dieta o un regime alimentare controllato e che la maggior parte di essi (il 54%) lo fa per il proprio benessere fisico, non solo per piacersi di più. Il 31%, però, ha detto di seguire (o di avere intenzione di farlo in futuro) diete “fai da te”, trovate su Internet o conosciute tramite passaparola, a fronte di una quota minore che si affida a dietologi, personal trainer o al medico di base. Le rilevazioni di Nomisma realizzate per UniSalute hanno evidenziato anche che, nonostante le abitudini virtuose a livello alimentare, un italiano su quattro ha messo su peso rispetto al periodo precedente al lockdown. Un approfondimento dell’Osservatorio Sanità UniSalute ha riguardato il rapporto degli italiani con il movimento nel post pandemia. Oggi, il 30% delle persone dichiara di non svolgere nessun tipo di attività fisica, quota in crescita rispetto al periodo pre-Covid, quando la percentuale di coloro che non facevano esercizio fisico era pari al 25% della popolazione. Fra l'altro, nel 2021, solo il 21% degli italiani ha praticato attività sportiva con continuità, mentre nel periodo precedente all’emergenza sanitaria lo faceva il 28%. Un dato poco confortante se si considera anche che il 52% delle persone cammina meno di 30 minuti al giorno. L’Osservatorio Sanità UniSalute ha dedicato un focus alla valutazione del benessere fisico e psicologico degli italiani. Dall’analisi Nomisma è emerso che il 29% delle persone è preoccupata per il proprio stato di salute psichica e che il 41% si sente spesso giù di morale. Non solo: il 69% degli italiani ha affermato di provare spesso un senso di spossatezza e mancanza di energie, mentre una persona su tre ha ammesso di avere di frequente problemi a prendere sonno. Tuttavia, la pandemia – aumentando l’attenzione posta sui temi della salute e del benessere – ha portato gli italiani a mostrare una maggiore propensione alla prevenzione. Infatti, un italiano su tre afferma di fare prevenzione e visite regolari con l’obiettivo di mantenere sotto controllo il proprio stato di salute. Un ulteriore 29% tende a fare controlli e visite non appena si presentano i primi disturbi o sintomi. E il 9%, pur stando bene, si impegna per migliorare il proprio stato di salute e sentirsi meglio.  Un altro argomento affrontato da Nomisma nell’ambito dell’Osservatorio Sanità UniSalute 2021 è stato quello della cronicità. In Italia quattro persone su 10, tra i 18 e i 75 anni, soffrono di almeno una patologia cronica. Tra le più diffuse l’ipertensione, che colpisce il 18% delle persone comprese in questa fascia d’età, le allergie, di cui soffre il 14% degli italiani; artrite e artrosi (13%), osteoporosi (6%). Il 5% di italiani, inoltre, ha diabete o asma e il 4% deve combattere contro un tumore.  Oggi, il 56% degli italiani che soffrono di queste patologie si sottopone agli esami con la stessa regolarità di quanto faceva prima del Covid, mentre il 30% ha addirittura aumentato la frequenza rispetto al 2019. Tuttavia, rimane un 15% dei malati che, nonostante l’allentarsi dell’emergenza sanitaria , non ha ancora ripreso a effettuare i controlli legati alla patologia con la stessa frequenza del periodo pre-pandemico.

mercoledì 16 febbraio 2022

Il geriatra Isaia spiega i problemi della vecchiaia

Pubblichiamo un ampio stralcio dell'intervista che Loredana Masseria ha fatto per L'approfondimento dell'Asl Torino a Gianluca Isaia, presidente della Associazione Geriatri Extraospedalieri (Age) Piemonte-Valle D’Aosta e dell'Accademia di Medicina di Torino.
Dottor Isaia, qual è la differenza tra vecchio e anziano? In realtà i nostri pazienti sono vecchi, anche se noi non usiamo questo termine nell’accezione corretta. Oggi dire ‘vecchio’ ha assunto una connotazione negativa ma, in realtà, in tutta la letteratura, l’anziano è un Vecchio che richiama nel significato l’elemento della saggezza, della memoria, identifica una persona nella quale trovare risposte. Anziano è una parola più recente, usata spesso con l’intenzione di recare offesa a nessuno. Probabilmente l’utilizzo del termine anziano è nato quando ancora non c’era la cultura del vecchio. Il ‘vecchio’ prima era il 65enne che oggi è ancora giovane, ma effettivamente 25 anni fa dire a un 65enne che era vecchio poteva turbare. Oggi, la cultura del ‘vecchio’ è stata compresa e molti anziani quotidianamente mi dicono: ‘Non mi chiami anziano, sono vecchio!. Parliamo di 85enni, 90enni, che preferiscono questo termine e questo dimostra un iniziale cambiamento culturale, che è alla base dell’accettazione della vecchiaia come qualità e non come peso. Secondo lei, quindi è giusto spostare l’asticella dai 65 ai 75 anni per definire il limite anagrafico dell’età geriatrica. In termini generali è assolutamente giusto, perché a 65 anni ormai si fanno le maratone, si gioca a calcetto, addirittura ci si sposa. Ma dobbiamo fare dei distinguo che riguardano non solo l’età ma il grado di funzionalità della persona. Noi usiamo spesso le scale valutative che ci danno un quadro sulla mortalità, sulla demenza, sulla capacità di uscire da una degenza in condizioni più o meno buone e, queste scale, questi test, considerano l’età solo in maniera marginale; in realtà dobbiamo valutare tanti altri aspetti, come la capacità di alzarsi da soli, di uscire da soli, di ricordare alcune cose. Talvolta ci sono 60enni che potrebbero essere considerati vecchi perché hanno un quadro di salute talmente compromesso da un punto di vista fisico e cognitivo che presentano le performance di un 90enne. E poi ci sono magari degli 80enni che sono ancora in perfetta forma. Quindi direi che è sicuramente corretta la decisione presa dalla comunità scientifica internazionale di spostare l’asticella oltre i 75 anni. Ma questo significherà lavorare di più! Non voglio entrare in un campo politico, occorre fare dei distinguo e capisco che lavorare fino a 67 anni può essere frustrante, però, è anche vero, e noi lo notiamo, che spesso quando si smette di lavorare si va incontro a delle patologie come la demenza o la depressione. Ognuno di noi ha un ruolo sociale individuale determinato sia dal lavoro, e questo dipende dal tipo di lavoro (se usurante o meno), sia dal grado partecipazione attiva in famiglia; quando di punto in bianco si perde quel ruolo, magari si riduce la capacità economica, si inizia a spendere anche di più perché c’è necessità di maggiore assistenza, alla fine la persona viene messa ai margini, tende a perdere quel ruolo sociale e questo è l’incipit di tutta una serie comorbilità che forse, se avesse lavorato un po’ di più, sarebbero arrivate dopo o in misura più leggera. In tal senso, sarebbe bene individuare percorsi volontari di uscita dal lavoro graduali. Quindi questo significa, tenuto conto anche dell’aspettativa di vita che si è innalzata, che prima i vecchi soffrivano di meno di depressione perché mantenevano nella famiglia e nella società un ruolo più attivo? Prima, diciamo fino a 50 anni fa, le famiglie erano patriarcali, o anche matriarcali, comunque, si viveva tutti insieme, quindi i vecchi non conoscevano l’emarginazione e anche quando erano più bisognosi di assistenza, comunque erano lì, in famiglia, avevano sempre un loro posto, una casa, erano circondati dai nipoti ai quali trasmettevano storie, conoscenze, sicurezza; adesso, con la società moderna non esistono più le famiglia numerose, i figli vanno spesso all’estero o comunque lontano da casa e i vecchi si ritrovano soli. Lontani dai figli, vanno ad abitare in case più piccole, perdono i loro punti di riferimento, le loro abitudini, spesso si sentono inutili...queste sono le condizioni che minano la loro salute sia psichica che fisica. La vecchiaia può essere considerata una malattia? La vecchiaia non è una malattia. C’è sempre stato questo dubbio circa la vecchiaia intesa come malattia, sin dall’antica Roma. E’ chiaro che se il vecchio non si muove più dal letto, non riesce a comunicare ed è quasi in uno stato semi vegetativo, può sembrare che non sia degno di una vita; ma dobbiamo accettare che nella vecchiaia vi sia un cambiamento, con delle limitazioni funzionali e con un diverso stato cognitivo ma senza che per questo il vecchio venga declassato. Io lo noto spesso con i pazienti quando arrivano in reparto,e posso dire che il paziente fragile, anche quello più compromesso, comunque ha delle risorse e si ha sempre da imparare. Tra tutte le patologie che possono colpire un anziano, perché parlare proprio della depressione? Perché la depressione è una patologia tra le più frequenti nell’anziano. E aggiungo, è anche una delle più sotto diagnosticate nell’anziano. Questo per tante ragioni, abbiamo voluto rimarcare l’attenzione su questa patologia perché spesso si dà per scontata, nella convinzione che se uno invecchia è normale che sia triste, quasi con una sorta di rassegnazione fatalista che porta a pensare che sia inutile ricorrere al medico. La medesima cosa avviene spesso anche per la demenza. In realtà dobbiamo pensarci e discuterne, a partire dalla prevenzione, pensare a una rete assistenziale che limiti e che prevenga le limitazioni funzionali che si sa, prima o poi arriveranno e che dovremo accettare in questa nuova condizione. E poi, la depressione quando si manifesta ha dei tratti distintivi. Ad esempio, l’anziano ha anche un altro problema: assume tante pastiglie ed è dimostrato che più è alto il numero di compresse che prende un paziente tanto peggiore è il tono dell’umore e tanto peggiore è l’aderenza al trattamento farmacologico. Quindi, se si prescrivono 10-15 compresse al giorno a un anziano, cosa che avviene abbastanza comunemente, è probabile che questa persona decida di assumerne un 20% in meno. Il problema è che decide lui quali terapie assumere e quali no. Tra queste 15 compresse ve ne saranno alcune che non sono essenziali per la sua sopravvivenza o per la sua vita, ma lui potrebbe decidere di non prendere proprio le altre, quelle che invece sono fondamentali per la sua salute. In aggiunta, c’è anche il problema che se una persona assume già tante pastiglie, magari viene scartata l’ipotesi dell’antidepressivo proprio per non appesantire ulteriormente il programma terapeutico. E’ necessario quindi prestare molta attenzione alle reali necessità individuali, valutando ogni persona nel suo insieme senza focalizzarci solamente sulle singole patologie. Sappiamo che la depressione è una piaga e chi ne viene colpito è estremamente danneggiato perché una diagnosi di disturbo depressivo maggiore riduce la sopravvivenza media, aumenta il rischio di mortalità, di ospedalizzazione per altre malattie e peggiora il recupero da altre patologie, infine, aumenta il rischio di istituzionalizzazione, cioè il depresso viene più spesso ricoverato in RSA. Fortunatamente molte RSA presentano alti standard qualitativi, tuttavia l’ambiente domestico andrebbe preservato e mantenuto il più possibile. Cosa si può fare sul Territorio? Le risposte possono essere diverse, ma occorre sempre pensare alla prevenzione e alla persona. Non si può generalizzare. Occorre distinguere tra la sindrome depressiva o la distimia, cioè quell’atteggiamento deflesso, che dura diversi anni ma è più lieve rispetto alla sindrome depressiva maggiore. Occorre ascoltare e capire il paziente, comprendere le sue esigenze, il livello culturale. A volte ci sono anziani che culturalmente hanno già difficoltà a esprimersi, o hanno difficoltà a relazionarsi con altre persone, magari con persone molto più giovani. Per esempio, capisco la buona volontà dei gruppi di animatori che nelle RSA creano momenti di aggregazione per far ballare gli ospiti, o le tombole a Natale. Sono interventi importanti, ma penso che se capitasse a me, che non ballo e non amo la tombola, sarei un paziente in forte sofferenza e probabilmente non sarei in grado di beneficiare delle ricadute positive di tali accortezze. Quindi gli interventi vanno studiati e programmati sulla persona. Può spiegare meglio la correlazione tra depressione nell’anziano e livello culturale? Esiste un’associazione tra sindrome depressiva e demenza vascolare. La demenza vascolare è un sottogruppo del deterioramento cognitivo che trae origine prevalentemente da fenomeni voluttuari: abitudine al fumo, scarsa attività fisica, oppure comorbidità, ipertensione, diabete, colesterolo, alcol... chi ha questo corredo sintomatologico è chiaro che probabilmente andrà incontro a un problema cognitivo di tipo vascolare e questo è un fattore maggiormente predisponente a una sindrome depressiva. Però le cause che ho elencato sono spesso legate a scarsa consapevolezza della prevenzione, e quindi, forse derivano anche da un retaggio culturale che andrebbe cambiato, almeno per le generazioni future. Se invece si parla di scolarità non c’è una correlazione netta, se c’è una ha bassa scolarità non è detto che vi siano più possibilità di diventare depressi, questo si addice più propriamente alla demenza anziché alla depressione. Ultima domanda. Quanto è peggiorata la situazione con il Covid? Tantissimo, tantissimo. Abbiamo scritto pagine e pagine su questo argomento perché prima di tutto l’anziano non ha tutti gli strumenti cognitivi per usare la tecnologia in modo fluido, non è ovviamente un nativo digitale, quindi, mentre i giovani potevano organizzare gli incontri sul web, o comunque chattare per tenersi in contatto con gli amici o semplicemente per tenersi aggiornati, gli anziani si sono trovati sprovvisti di questo strumento. In più, tutte le cose che erano soliti fare quotidianamente sono transitoriamente saltate e la routine per l’anziano è fondamentale, perché la routine dà sicurezza. Con il Covid improvvisamente è cambiato tutto: non potevano più uscire, o non volevano più uscire per paura, neanche per una passeggiata sotto casa. La paura bloccava anche i familiari che non andavano a trovarli e questo ha incrementato la depressione e ha creato un altro grosso problema: quello del non continuare le cure. Molte visite mediche di controllo non sono state effettuate, visite spesso importanti. Anche gli accessi al Pronto Soccorso sono diminuiti in corso di lockdown rigido. Ad esempio, per paura del Covid anche chi ha avuto sintomi lievi di infarto talvolta è rimasto a casa, con conseguenze facilmente immaginabili. Ma ancora oggi, anche se la situazione epidemiologica sembra essere in netto miglioramento, molti anziani convivono con l’ansia e il timore di potersi ammalare. Potremmo dire che per paura di morire di Covid, scelgono di non vivere come vivano un tempo.

Aterosclerosi, come nasce, i suoi rischi e come difendersi

di Roberto Rey*
L’aterosclerosi è caratterizzata dall'indurimento e dall’aumento di spessore delle pareti delle arterie che distribuiscono il sangue, e quindi l’ossigeno, ai vari organi del nostro corpo. Questa condizione patologica è causata dal deposito di grassi che si accumulano nel rivestimento interno delle pareti. L’aterosclerosi è causa di importanti patologie cardiovascolari (infarto miocardico, ictus cerebrale, vasculopatia agli arti inferiori) dovute all’ostacolato flusso del sangue che nei casi estremi risulta del tutto impedito. L’aterosclerosi è malattia multifattoriale, esordisce precocemente e poi progredisce in maniera più o meno rapida; con l’età aumentano i fenomeni legati alla malattia. Contano le caratteristiche genetiche (presenza di eventi cardiovascolari tra i parenti prossimi). La patologia diventa evidente dopo i 50 anni ed è più frequente negli uomini; viene anche definita “malattia del benessere” ed è causata da scorrette abitudini di vita, in particolare da quelle alimentari. I fattori di rischio dell’aterosclerosi sono: la pressione arteriosa elevata, il fumo di sigaretta, gli eventi infiammatori, il colesterolo LDL superiore a100, il colesterolo HDL inferiore a 40, l'età superiore a 45 anni (uomini) e 55 anni (donne) nonchè la familiarità per infarto in età precoce: nei parenti di primo grado prima dei 55 anni se maschi, prima dei 65 anni se femmine. Può essere causata da anomalo deposito di grassi e di calcio che si accumulano nel rivestimento interno delle pareti arteriose. Ci sono condizioni di rischio che sono modificabili (fumo di sigaretta, ipertensione, obesità). Valutando la presenza e la severità di tutti questi fattori è possibile stimare la probabilità che un soggetto ha di andare incontro a eventi cardiovascolari aterosclerotici. Il colesterolo si ossida per la presenza di radicali liberi e successivamente penetra nelle arterie e dà origine alle placche aterosclerotiche. Il colesterolo è un grasso e come tale è una forma di energia; se viene prodotto in eccesso dal fegato e rimane inutilizzato nel circolo sanguigno, ci fa capire che non sappiamo regolare i nostri bisogni naturali e pertanto accumuliamo nel corpo risorse che rimangono inutilizzate e diventano dannose. Il colesterolo che si accumula e non viene usato si infiltra nelle pareti dei vasi arteriosi e forma le placche. È quindi manifestazione di staticità e sedentarietà sia fisica che mentale. Scarsa attività muscolare, scarso slancio vitale, quieto vivere e rassegnazione sono i presupposti per arrivare a valori elevati di colesterolo, che potrebbero essere contenuti con tante passeggiate e con diete a misura delle nostre necessità. Quando abbiamo a disposizione un'adeguata energia consumiamola in modo salutare.  Accumulare i grassi significa non sapere usare quello che serve per vivere bene. Nel nostro corpo ciò che non viene usato correttamente si trasforma in sostanza dannosa. Le tossine e le scorie finiscono per impedire al sangue di circolare liberamente e correttamente. In presenza di fattori di rischio per aterosclerosi (aumento della colesterolemia, della pressione arteriosa, della glicemia, o presenza di sostanze che favoriscono eventi infiammatori) spesso derivanti da eccesso di tessuto adiposo, la parete arteriosa produce molecole che facilitano l’aderenza dei globuli bianchi del sangue alla parete interna (endotelio). Finite nello spazio sottoendoteliale, queste cellule modulano la loro attività grazie a proteine che influenzano il comportamento delle cellule muscolari lisce presenti nelle pareti delle arterie e quello delle stesse cellule dell’endotelio. Tali modificazioni sono regolate da sostanze (i mediatori) tipiche dei fenomeni infiammatori e immunitari (ad esempio leucotrieni, citochine e i componenti del complemento). Per effetto di questi processi le cellule muscolari lisce presenti nella tonaca media delle arterie migrano nello spazio sottoendoteliale, proliferano e producono enzimi che innescano il processo dell’aterogenesi in quanto modificano le caratteristiche biologiche dell’endotelio, l’attivazione e la proliferazione cellulare, la morte cellulare e le caratteristiche della matrice extracellulare. In questa fase avvengono le variazioni e l’ossidazione di particolari famiglie di lipoproteine che tengono attivo il processo infiammatorio. Durante la progressione delle lesioni si possono formare sia dei depositi di calcio sia dei depositi lipidici all’esterno delle cellule, che portano alla formazione di una placca aterosclerotica ricca di lipidi e con un centro necrotico. La placca aterosclerotica è costituita da una capsula esterna fibrosa di spessore variabile che circonda un nucleo più morbido fatto prevalentemente di grassi. L’analisi biochimica rivela che la capsula fibrosa è costituita prevalentemente da una sostanza - “il collagene” - e da aggregazioni di enzimi secreti dalle cellule muscolari lisce. Questa struttura di contenimento conferisce stabilità alla placca che può così resistere alle deformazioni provocate dalla trazione e dalle forze che su di essa vengono esercitate dal torrente sanguigno e dalla vasodilatazione. Sono individuabili due tipologie di placche aterosclerotiche: 1) Lesioni che producono stenosi del lume ma hanno un cappuccio fibroso; 2) Lesioni con minore capacità stenosante, con più deposito centrale di lipidi, con cappuccio fibroso più sottile e lacerabile e più facilmente causa di trombosi e occlusione dell’arteria interessata. Minor rigidità fa bene alle arterie quindi non facciamone un problema. Le occasioni che danno gioia, entusiasmo e libertà mentale sono quelle che portano beneficio al cuore e alle arterie. Pensare come star bene non deve tradursi in costrizioni della nostra libertà anzi deve liberare da convenzioni sociali e da opinioni qualunquistiche. * Medico, presidente dell'associazione “Pù vita in Salute”

giovedì 10 febbraio 2022

I cibi anti-infiammatori che difendono il nostro corpo

di Roberto Rey*
L'infiammazione nasce come meccanismo di difesa; ma se persiste e diventa cronica, si trasforma in un reale pericolo per il nostro organismo. Uno stato infiammatorio costante é una vera minaccia in quanto diventa un veleno per l'organismo ed é capace di danneggiare cellule e tessuti fino a compromettere la funzionalità di interi organi e favorire malattie cardiovascolari, metaboliche e neurodegenerative e anche gastrointestinali. Lo stato infiammatorio é una condizione negativa che si viene a creare per la presenza di una causa irritante, che dobbiamo ridurre e possibilmente annullare completamente. Riuscire a spegnere i processi infiammatori rappresenta un grande risultato nell'ambito della prevenzione delle malattie che si può e si deve mettere in atto; richiede un grande impegno, ma permette di ottenere la migliore longevità possibile. L'infiammazione é una reazione localizzata in un tessuto che subisce una "aggressione"; si manifesta con arrossamento, calore, gonfiore, dolore e talvolta febbre. Durante l'infiammazione, determinate cellule specializzate (mastociti) liberano istamina e serotonina che, stimolando la vasodilatazione, determinano rossore e calore. I capillari, anch'essi sovraccarichi, producono un liquido che si infiltra nei tessuti provocando gonfiore e dolore. L'infiammazione si accompagna ad accumulo di globuli bianchi, che contribuiscono alla guarigione del tessuto danneggiato. L'infiammazione scatena un “incendio” che se non viene spento completamente rimane attivo fino a diventare cronico e perciò é indispensabile rimediare quanto prima possibile. Le infiammazioni sono provocate soprattutto dai radicali liberi, che sono i responsabili del cosidetto stress ossidativo nelle cellule del nostro organismo e che contribuiscono a causare molte malattie (infarto, ictus, cancro, cataratta, alzheimer). L'infiammazione sistemica e di bassa intensità é il segnale che fa capire che qualcosa non sta andando bene e che bisogna intervenire. I cibi anti-infiammatori che proteggono il nostro organismo sono numerosi; ma i sei più importanti ed efficaci sono: 1) i pomodori (meglio ancora se cotti), sono ricchi di licopene, che é un potente antiossidante, e danno ottimi risultati in caso di infiammazioni associate al sovrappeso; 2) l'olio extravergine di oliva, che contiene l'oleo cantale (che é quasi un farmaco antinfiammatorio); 3) la frutta a guscio: mandorle, noci, pistacchi - sono protettori nei confronti delle malattie cardiovascolari e del diabete in quanto riducono i marcatori dell'infiammazione; 4) verdure a foglia verde, ricche di folati (vitamina B9) difendono da diabete e tumori; 5) pesce ricco di omega 3 – acidi grassi essenziali; 6) frutti di bosco - frutta e verdure fresche di stagione, contengono antiossidanti - la vitamina C (kiwi, agrumi, ananas, ribes, peperoni, broccoli, papaia, prezzemolo, cavoletti di bruxelles, spinaci, radicchio e fragole) - la vitamina E previene l'ossidazione di acidi grassi polinsaturi provocata dai radicali liberi, é liposolubile e si trova in olio di oliva, nelle nocciole e nelle mandorle, nell'avocado, nelle albicocche, negli spinaci e nelle uova. * Medico, presidente dell'associazione “Più vita in Salute”

Le ragioni della spinta verso la "nutraceutica"

Con crescente frequenza, a partire dai primi anni 2000, si è fatto ricorso, soprattutto nella pubblicistica, al termine di “nutraceutica”, crasi di nutrizione e farmaceutica. Si tratta di un neologismo, la cui origine risale alla fine degli anni ’80 e che quindi è coevo a quello di alimentazione funzionale. I nutraceutici sono sostanze che svolgono comprovate funzioni fisiologiche o attività biologiche, derivate mediante le tecniche della sintesi farmaceutica da piante, agenti microbici e alimenti. I nutraceutici possono essere assunti attraverso i cibi funzionali da essi arricchiti oppure sotto forma d’integratori in compresse, capsule, fiale o polveri solubili. Si tratta quindi di una categoria a cavallo tra l’alimentazione funzionale e gli integratori. “La dimensione mondiale del mercato dei cibi funzionali – si legge in un fresco rapporto dell'Area studi di Mediobanca - è stimata a fine 2021 in circa 500 miliardi di dollari, con aspettative di crescita a un tasso medio annuo al 6,9% che porterebbe il comparto a 750 miliardi nel 2027. La categoria più consistente è quella dei cibi per il controllo del peso (slimming o weight management), pari a 214 miliardi di dollari, seguita dagli integratori, che valgono a livello globale 140 miliardi (+7,7% le attese). I baby food arrivano a 73 miliardi (+6,5%), ma sono le specialità vegan (25 miliardi, +9%) a mostrare le attese più rosee”. Sono diversi i trend di lungo periodo candidati a sostenere la crescita del mercato dei cibi funzionali. In primo luogo, l’allungamento della speranza di vita ha comportato l’aumento della quota di popolazione longeva, con conseguente incremento dei costi sanitari. Ciò ha reso evidente ai sistemi di sanità pubblica la necessità di favorire l’ingresso della popolazione nella fascia di età avanzata in condizioni di relativa buona salute e benessere complessivo. A tale obiettivo concorre certamente un regime alimentare in cui l’assunzione dei nutrienti necessari avvenga in maniera corretta e bilanciata, riducendo la probabilità d’insorgenza delle patologie fisiche e intellettive tipicamente legate all’avanzare dell’età (malattie cardiovascolari, osteoporosi, disturbi della vista, deterioramento delle funzioni cerebrali, ecc.). Tuttavia, è sempre più evidente la diffusione di stili di alimentazione disordinati e squilibrati, ipercalorici e iperlipidici. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, infatti, il 39% di coloro che hanno più di 18 anni è in sovrappeso, con sostanziale raddoppio dal 20% del 1975. Inoltre, circa il 13% della popolazione mondiale si trova in condizione di obesità, un valore in questo caso triplicato dal 1975. Il sovrappeso e l’obesità tra i bambini e gli adolescenti di età compresa tra 5 e 19 anni sono aumentati a livello mondiale dal 4% del 1975 a poco più del 18%. A fronte di circa 900 milioni di persone sottonutrite nel mondo, ve ne sarebbero 1,5 miliardi obese o sovrappeso, tanto che i decessi annui per mancanza di alimentazione (circa 36 milioni) non sono troppo distanti da quelli per suo eccesso (29 milioni). I costi diretti e indiretti legati al disordine alimentare e ai connessi problemi metabolici sono enormi. Le pur incerte stime li indicano complessivamente in 4.800 miliardi di dollari all’anno, vicino al 3,5% del Pil mondiale, con picchi del 4,8% in America Latina (circa 500 miliardi di dollari) e del 4,3% nel Nord America (1.000 miliardi). Il vulnus economico per l’Europa è stimato in circa 900 miliardi, oltre il 3% del suo Pil. Inoltre, al di là di un’eccessiva assunzione calorica o lipidica, vi è anche un tema di qualità del cibo. Porzioni significative della popolazione seguono un regime alimentare connotato da carenza di componenti nutrizionali essenziali al mantenimento di un adeguato stato di salute. Una dieta bilanciata richiederebbe, ad esempio, un’incidenza del 50% nel consumo di frutta e verdura, mentre nella popolazione adolescente europea tale porzione è limitata al 17%. Sempre in Europa il consumo di zuccheri è del 15% superiore ai livelli raccomandati, del 47%; il consumo di carne li eccede del 36% (38% le carni rosse, 51% gli insaccati). Il riassortimento della dieta ridurrebbe le morti legate al disordine alimentare del 15%, ma un’ampia porzione della popolazione non appare in grado di organizzare la propria alimentazione quotidiana per raggiungere le soglie raccomandate. E merita ricordare che una non trascurabile fascia della popolazione mondiale nutre un atteggiamento di diffidenza verso i farmaci, paventandone l’assuefazione e gli effetti collaterali. Tale tendenza è potenziata dalle crescenti evidenze di resistenza microbica ai farmaci, che si sviluppa quando microrganismi come batteri, virus, funghi e parassiti mutano in modo da rendere inefficaci i presidi farmacologici utilizzati per il loro contrasto. Si tratta di un fenomeno naturale che viene accelerato da comportamenti impropri, quali l’abuso di antibiotici, la loro dispersione accidentale nell'ambiente con reingresso nella catena alimentare o, ancora, lo smaltimento non controllato di quelli non utilizzati o scaduti. Il fenomeno della resistenza antimicrobica può contribuire a spingere i consumatori verso la nutraceutica, in particolare quella cui sono associati effetti di potenziamento delle risposte del sistema immunitario. L’emergenza pandemica ha agito da ulteriore acceleratore: l'epidemia ha provocato in particolare un'impennata nella domanda di alimenti e integratori con funzione di supporto del sistema immunitario. Gli integratori a base di vitamina C sono stati particolarmente ricercati. Sebbene nessuna vitamina o cibo, in qualunque quantità, sia in grado di impedire il contagio da Covid-19 una volta che una persona è stata esposta al virus, è pur vero che le persone che soffrono di carenze nutrizionali hanno maggiori probabilità di soffrire delle complicazioni indotte da qualsiasi infezione o malattia e la cattiva alimentazione rientra tra i tanti fattori che potrebbero contribuire a una debole risposta immunitaria. L’Italia ha una posizione di particolare rilievo con riferimento al mercato degli integratori la cui dimensione è pari a circa 3,8 miliardi di euro nel 2020. Si tratta del primo mercato europeo, stimato valere 14,6 miliardi, con una quota del 26%, davanti alla Germania (18,8%), alla Francia (14,7%), al Regno Unito (9,5%) e alla Spagna (7,2%). Le aspettative di crescita del mercato europeo sono nell’ordine del 6% annuo, con l’Italia che dovrebbe toccare nel 2025 una dimensione pari a 4,8 miliardi. Tra il 2008 e il 2020 il mercato italiano degli integratori è triplicato, con una crescita media annua superiore al 9%. La forte propensione dei consumatori italiani per gli integratori è evidente considerando che la loro spesa media procapite è di circa 64 euro rispetto ai 33 della Germania, ai 32 della Francia e ai 21 del Regno Unito. Si stima che in Italia il 54% della popolazione faccia ricorso agli integratori, rispetto a quote che si collocano tra il 20% e il 25% in Germania, Francia e Regno Unito. Da tenere presente che in Italia gli integratori sono venduti essenzialmente attraverso il canale delle farmacie e parafarmacie (87% a valore).

mercoledì 9 febbraio 2022

Un micro-telescopio contro la maculopatia senile

Un vero e proprio 'telescopio galileiano' miniaturizzato, è stato messo a punto per restituire, almeno in parte, la vista alle persone affette da maculopatia senile. Lo ha riportato l'Ansa Salute, sottolineando che, per la prima volta in Italia e tra le prime al mondo, questo sistema è stato impiantato su tre pazienti (due uomini e una donna, tra i 65 e gli 80 anni), assistiti dalla Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs, dal professor Stanislao Rizzo, direttore della Uoc di Oculistica del Policlinico Gemelli e ordinario di Clinica Oculistica all'Università Cattolica, campus di Roma. “Questo tipo di trattamento – ha spiegato Rizzo all'Ansa - è riservato ai pazienti con una forma avanzata di maculopatia. La macula è la parte centrale della retina, il tessuto più nobile e sofisticato del nostro organismo, composto da cellule altamente specializzate, i fotorecettori, che trasformano uno stimolo luminoso, un'immagine, in un impulso elettrico che viaggia dalla retina al cervello, nell'area dove la visione si forma. E' la macula che ci consente di vedere i dettagli, di riconoscere i volti dei nostri cari, di vedere i colori e di leggere libri o gli sms sul cellulare”. La maculopatia è un problema sociale di grande rilevanza nel mondo occidentale e lo sarà sempre di più visto l'invecchiamento della popolazione. In Italia è affetto da questa condizione oltre un milione di persone, 200-300.000 dei quali in forma grave. L'intervento è del tutto simile a un intervento di cataratta classica. “Rispetto all'intervento tradizionale – ha commentato il professor Rizzo - cambia solo la larghezza dell'incisione, che è di 2 millimetri nell'intervento classico e di 7 in questo. L'intervento si effettua in day surgery e dura 15-20 minuti”.

venerdì 4 febbraio 2022

Stare col gatto migliora il benessere psicologico

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Il 17 febbraio si celebra la festa nazionale del gatto, istituita in Italia nel 1990 dopo un referendum tra i lettori di una rivista specializzata e ai cosiddetti 'gattari', amanti dei gatti, farà piacere sapere che condividere pezzi di vita con gli adorati mici fa anche bene alla salute. I benefici sembrano essere provati dalla scienza secondo una panoramica sul portale Healthline: avere un gatto ha un effetto calmante, migliora il benessere psicologico, riduce la frequenza di disturbi come mal di testa, mal di schiena e raffreddore, anche se (in media) i benefici sembrano svanire con il passare del tempo.

Come vivere in salute il più a lungo possibile

di Roberto Rey*
Vivere in salute il più a lungo possibile non é solo un desiderio o una speranza, ma é un vero obiettivo raggiungibile con il dovuto impegno. É necessario mettere in atto una strategia utile a evitare le malattie che sono prevedibili e prevenibili, Pur non potendo sperare di vivere tutta una vita in salute é nostro compito impegnarci per ammalarci il meno possibile. Più prevenzione oggi, meno malattie domani. La possibilità di vivere a lungo é in continua crescita. Nei primi anni del 1900 l’aspettativa di vita era di 43 anni per gli uomini e di 45 anni per le donne. Nel 1990 era di 75 anni per gli uomini e di 85 per le donne. Oggi la prospettiva é di 80/85 anni per gli uomini e di 90 anni per le donne. La terza età può essere una fase della vita, più o meno brillante a seconda delle condizioni di salute; di conseguenza dobbiamo sempre mantenere una buona salute durante la vita, per invecchiare bene e con soddisfazione.  Quando abbiamo la fortuna di avere nelle nostre mani un patrimonio importante come la salute, dobbiamo gestirlo nel modo migliore possibile. Ognuno deve metterlo ai primi posti del proprio interesse e lo deve governare con competenza e con attenzione adeguata. Anche se abbiamo a disposizione un buon Servizio Sanitario, sia pubblico che privato, pronto a curarci quando ci ammaliamo, abbiamo comunque il dovere di imparare a mettere in atto le regole della prevenzione, perché vivere in salute é il primo obiettivo. Prevenire le malattie permette di vivere più a lungo e nelle migliori condizioni di salute . Oggi dobbiamo continuare a difendere la nostra salute per garantirci la possibilità di una buona condizione di vita anche nei prossimi anni. La vita media si sta allungando ed é in costante crescita, quindi prevenire le malattie ci può garantire il futuro in quanto la longevità é una fortuna o una sofferenza a seconda delle condizioni di salute. Alcune regole comportamentali da osservare per mantenere la salute: 1. Non fumare e non bere alcolici 2. Dormire bene per circa 7-8 ore ogni notte 3. Evitare stress eccessivi in termini di intensità e durata 4. Non mangiare al di fuori dei tre pasti regolari (colazione, pranzo e cena) 5. Bere un litro e mezzo di acqua al giorno (6/8 bicchieri) 6. Mangiare e nutrirsi in modo corretto (in termini di quantità e qualità) 7. Variare gli alimenti, scegliendo quelli più adatti per le proprie condizioni di salute 8. Controllare il peso corporeo, mantenerlo regolare e costante nel tempo 9. Assumere più antiossidanti e meno radicali liberi. Gli antiossidanti sono un efficace strumento di prevenzione e anche di supporto in caso di malattie; gli antiossidanti esogeni vengono assunti attraverso il cibo (soprattutto attraverso i vegetali) e gli antiossidanti endogeni vengono prodotti dal nostro organismo 10. Controllare i radicali liberi che noi stessi produciamo. Una quantità modesta può essere utile ma non devono mai essere in superiorità numerica rispetto agli antiossidanti 11. Camminare molto e fare attività fisica adeguata 12. Fare esercizi respiratori per garantire una buona ossigenazione di tutti gli organi.  Dieci validi motivi per adottare la prevenzione delle malattie: La prevenzione é tutto quello che può essere fatto per conservare o anche migliorare la salute La salute é un dono, anzi un patrimonio ricevuto alla nascita che bisogna correttamente gestire e proteggere Più prevenzione oggi – meno necessità di cure domani Vivere in salute dipende dalle nostre scelte comportamentali più che dalla buona sorte La prevenzione é lo strumento essenziale per rimanere in salute e va utilizzato in modo corretto ed efficace Con l’aumento della durata della vita é importante un pari aumento degli anni di vita in salute La prevenzione é un ottimo investimento; permette di ottenere guadagni importanti in termini di più salute e minore spesa per le cure e permette di vivere con maggiore serenità e gioia nel contesto della vita quotidiana Prevenire le malattie rallenta l’invecchiamento e l’età biologica, ci fa apparire e sentire più giovani dell’età anagrafica La prevenzione riduce i numeri dei malati e di conseguenza riduce la richiesta e la necessità di cure Più prevenzione: meno malati, migliore assistenza sanitaria e minore spesa.  Prevenire le malattie é fondamentale perché: - Significa vivere in salute e non c’é vita migliore di quella vissuta in salute; - La prevenzione rallenta l’invecchiamento psico-fisico quindi l’età biologica risulta inferiore rispetto a quella anagrafica; - Permette di allungare la vita; - La prevenzione contrasta, riduce e abolisce i fattori di rischio quali: alimentazione scorretta, attività fisica scarsa e scorretta, abitudine al fumo e all’alcol, eccessivo stress, insufficiente sonno/riposo, ressione arteriosa elevata, aAumento di peso – obesità, aumento della glicemia, aumento di trigliceridemia, colesterolemia totale e LDL; diminuzione degli antiossidanti (Vitamine C ed E), dei carotenoidi e dei flavonoidi; elevato stress ossidativo che produce: stanchezza e poca energia, difficoltà a mantenere la concentrazione, perdita di memoria, scarsa qualità del sonno, aumento del peso, umore altalenante, stipsi/diarrea, diminuizione della vista, scarso desiderio sessuale, rughe, macchie cutanee e perdita del tono della pelle. * Medico, presidente dell'associazione “Più vita in salute”