venerdì 27 maggio 2022

A Vaisitti 200 mila euro per la ricerca sul linfoma di Richter

La prima edizione del Bando lanciato da Fondazione Ricerca Molinette Onlus si è conclusa con la selezione del progetto presentato dalla professoressa Tiziana Vaisitti, ricercatrice del Dipartimento di Scienze Mediche che svolge la propria attività al Molecular Biotechnology Center di Via Nizza, a Torino. Per il suo progetto diricerca Tiziana Vaisitti riceverà dalla Fondazione il contributo di 200 mila euro. Il progetto si focalizza su un linfoma raro chiamato linfoma di Richter, un tumore del sangue con un’altissima percentuale di mortalità. Questa leucemia ha caratteristiche simili alle forme di linfoma cronico frequenti nell’anziano e la scoperta di nuovi meccanismi molecolari potrà condurre a nuovi trattamenti, coerentemente con il tema centrale del bando, ovvero la ricerca che possa portare beneficio nelle patologie inevitabilmente associate all’invecchiamento. “Si tratta di una forma molto aggressiva di cancro che si sviluppa nel 10-12% dei pazienti che sono stati colpiti precedentemente dalla leucemia linfatica cronica”, spiega Tiziana Vaisitti, che si è formata principalmente a Torino, ma ha lavorato anche nel prestigioso centro di ricerca della Weil Cornell Medicine di New York. “Il contributo della Fondazione sarà centrale per aprire a nuove possibilità farmacologiche per i pazienti con Sindrome di Richter, provando a colmare un vuoto clinico significativo”. I risultati della prima edizione del Bando, sostenuto anche da un contributo della Fondazione Compagnia di San Paolo e lanciato in partnership con l’Università di Torino e l’A.O.U. Città della Salute, sono stati molto positivi, con un’alta partecipazione di ricercatori appartenenti al polo Molinette, impegnati sia nella ricerca di base traslazionale che nella clinica. “La qualità delle proposte è stata complessivamente alta – sottolinea Emilio Hirsch, direttore scientifico della Fondazione Ricerca Molinette Onlus, presieduta da Massimo Segre – e questo dimostra quale sia l’impegno profuso dai ricercatori torinesi nella ricerca sulle malattie tipicamente associate all’invecchiamento, patologie che in una popolazione in cui gli anziani sono sempre di più condizionano la qualità della vita, la tenuta del sistema sanitario e le priorità per il nostro futuro. La speranza è oggi che questo finanziamento possa contribuire allo sviluppo di nuovi famaci e brevetti, per creare concretamente nuove possibilità di cura per i pazienti e, contemporaneamente, generare possibilità di sviluppo industriale con ricadute positive sul territorio”. "L’invecchiamento è associato, da un punto di vista biologico, all’insorgenza di patologie degenerative, che portano a problemi cardiovascolari, neurologici e non ultimo al cancro", spiega la Tiziana Vaisitti. Che aggiunge: "La sindrome di Richter, di cui mi occupo da alcuni anni, è la trasformazione della leucemia linfatica cronica, la leucemia più diffusa nei paesi Occidentali con un’età media all’esordio di 65 anni, in un linfoma aggressivo. La prognosi di questo linfoma è infausta, con una sopravvivenza per i pazienti di pochi mesi. Nonostante le cellule di questa leucemia siano state scoperte da Maurice Richter nel 1928, ad oggi le possibilità terapeutiche sono drammaticamente limitate. Pertanto il progetto ha lo scopo di individuare in queste cellule dei meccanismi che possano essere colpiti da farmaci. L’idea innovativa è di capire meglio come bersagliare specificità metaboliche che rendono le cellule di Richter diverse da quelle sane e che potrebbero essere alla base della loro resistenza ai farmaci attualmente disponibili. Questo studio permetterà quindi di conoscere meglio i meccanismi molecolari di malattia, così da definire nuove strategie terapeutiche personalizzate". Fondazione Ricerca Molinette è un ente senza scopo di lucro, nato nel 2001 dall’iniziativa congiunta dell’Università degli Studi di Torino e dell’Azienda Ospedaliero Universitaria “Città della Salute e della Scienza”. L’obiettivo della Fondazione è sviluppare la ricerca scientifica all’interno della “Città della Salute e della Scienza” di Torino, collaborando con l’ospedale per migliorare il benessere dei pazienti e la qualità delle cure. In particolare, la Fondazione si impegna a sostenere la ricerca traslazionale, cioè volta a trasferire in ambito clinico i risultati della ricerca di laboratorio, attraverso lo sviluppo di nuovi farmaci e terapie. I progetti che la Fondazione ha scelto di prediligere sono quindi una sorta di ponte tra la scienza e la medicina, rispondono ad esigenze reali e mettono al centro il paziente e il suo benessere. La Fondazione sostiene inoltre l’Ospedale nei suoi bisogni concreti, nel quotidiano e durante le emergenze. Durante l’emergenza Covid-19, grazie alla Campagna “Insieme in Prima Linea” sono stati raccolti e devoluti all’Ospedale Molinette e alla Città della Salute e della Scienza oltre 300.000 euro, destinati a dispositivi di protezione individuale, dispositivi medici e al potenziamento del Laboratorio di Microbiologia e Virologia. Dal 2001 ad oggi sono stati sostenuti oltre 530 ricercatori, per circa 15 milioni di euro erogati e oltre 200 pubblicazioni scientifiche su riviste internazionali.

mercoledì 18 maggio 2022

Piemontesi in sovrappeso, gran fumatori e sedentari

Pubblichiamo uno stralcio dello studio di Mauro Zangola, economista ed editorialista, sul “Benessere equo e sostenibile dei cittadini piemontesi”.
di Mauro Zangola* Gli indicatori esaminati mostrano chiaramente come i cambiamenti nel profilo del benessere in Piemonte, come nel resto del Paese, siano stati molti nella direzione del progresso quanto nella persistenza di aree di criticità anche profonde Fra i fattori che abbiamo esaminato quelli che hanno influito positivamente sul benessere dei piemontesi soprattutto dopo il forte impatto negativo dovuto alla pandemia sono: 1. la ripresa della speranza di vita dopo il tonfo del 2020 dovuto all’eccesso di mortalità; 2. il miglioramento della salute come testimoniano la  riduzione degli eccessi di peso, di alcol e della sedentarietà e la sostanziale stazionarietà degli eccessi di fumo; 3. la ripresa dell’occupazione, anche se c’è ancora molto da fare per recuperare i livelli del 2019; 4. il miglioramento della digitalizzazione. Fra i fattori che al contrario hanno inciso negativamente sul benessere dei piemontesi segnaliamo: 1. la leggera contrazione del reddito disponibile e l’aumento delle persone a rischio povertà e in situazioni di grave deprivazione materiale e abitativa; 2. la difficoltà di conciliare il lavoro con la cura dei figli; 3. l’inquinamento dell’aria e le preoccupazioni per i cambiamenti climatici e la perdita di biodiversità; 4. la persistente insoddisfazione per la qualità di tutti i servizi di mobilità; 5. la ripresa dei furti predatori (furti in abitazione, borseggi e rapine) che rimangono comunque al di sotto dei livelli registrati prima dell’inizio della pandemia. Fra i fattori che continuano a segnalare aree di criticità assume un rilievo crescente la scarsa fiducia dei piemontesi nella politica e nelle istituzioni democratiche dalla quale si salvano solo le Forze dell’Ordine e la Croce Rossa. Dall’analisi condotta emergono elementi di preoccupazione, problemi vecchi e nuovi ma anche la volontà e la capacità dei piemontesi di reagire in un contesto economico e sociale tutt’altro che facile e fattibile di deterioramento. L’analisi condotta in questo studio ci ha posti di fronte anche a una dura realtà: i cittadini lombardi , veneti ed emiliano-romagnoli stanno meglio dei piemontesi. Il confronto fra i livelli degli indicatori nelle quattro regioni non lascia dubbi sul fatto che il Piemonte deve fare molto di più se vuole raggiungere un livello di benessere paragonabile a quello delle altre regioni messe a confronto. Gli elementi sui quali lavorare ci sono tutti; serve una presa d’atto oggettiva e la determinazione necessaria per eliminare o ridurre le distanze. Riportiamo qui di seguito il commento degli indicatori scelti all’interno dei domini utilizzati dall’Istat per misurare il benessere equo e sostenibile dei piemontesi, in particolare per quanto riguarda la salute. Speranza di vita. L’eccesso di mortalità ha comportato nel 2020 una riduzione della speranza di vita dalla nascita di oltre un punto (da 82,9 del 2019 a 81,4 nel 2020). Il dato del 2021 fa registrare tuttavia una ripresa con un valore pari a 82,4 in linea con la media nazionale e leggermente inferiore ai valori di Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna. Rispetto al 2005 la speranza di vita dei piemontesi è aumentata di circa due anni (da 80,6 a 82,4). Eccesso di peso. Nel 2021, il 39,3% della popolazione piemontese di 18 e più anni è in sovrappeso. Rispetto al 2020, la quota dei piemontesi in eccesso di peso si riduce di 3 punti percentuali e si attesta anche al di sotto del valore del 2019 (41,2%) e appena sopra il valore più basso registrato nel 2005 (38,7%). La quota delle persone in sovrappeso registrata in Piemonte nel 2021 è al di sotto dei valori registrati nelle regioni prese a riferimento. Eccesso di fumo. Cresce anche se di poco la quota di fumatori di 14 anni e più, passando dal 20,1% del 2020 al 21,3%: un valore in linea con quelle degli ultimi 15 anni ma decisamente più alto di quelli registrati in Lombardia (18,8%), Emilia-Romagna (18,5%) e soprattutto in Veneto dove la percentuale dei fumatori scende al 15,8%. Eccesso di alcool. L’abitudine al consumo a rischio di bevande alcoliche ha riguardato nel 2021 il 17,8% dei piemontesi con più di 14 anni: un valore in linea con quello del 2020 (17,6%), con i valori registrati negli ultimi 10 anni, ma decisamente più basso di quello del 2005, anno in cui il 26,2% dei piemontesi era un abituale consumatore di prodotti alcolici. Sedentarietà. Il 29% dei piemontesi con più di 14 anni è sedentario, non pratica cioè sport né continuamente né saltuariamente nel tempo libero. Dopo l’aumento dei sedentari registrato fra il 2019 e il 2020, il 2021 fa registrare una riduzione. I piemontesi, soprattutto i più giovani (tra i 14 e i 19 anni) sono comunque molto più sedentari dei lombardi e dei veneti. In queste regioni infatti la quota dei sedentari scende al 22%.

Gontero sulle malattie prostatiche: falsi miti e realtà Ciccarelli: Donne e uomini uguali di fronte alle malattie?

di Ernesto Bodini*
Gli incontri di lunedi 9 maggio, organizzati a Torino dall'Associazione Più Vita in Salute, sono stati dedicati a due argomenti di notevole attualità, quali “La prevenzione delle malattie prostatiche: falsi miti e realtà”, a cura del prof. Paolo Gontero (foto), direttore della Clinica Urologica della A.O.U. Città della Salute e della Scienza di Torino (ospedale Molinette); e “Donne e uomini sono sempre uguali di fronte alle malattie?”, a cura della dott.ssa Enrica Ciccarelli, endocrinologa all’ospedale Martini di Torino, e referente per la Medicina di Genere all’Asl Città di Torino. Il primo relatore ha anzitutto ricordato che la prostata (o ghiandola prostatica) è un piccolo organo che fa parte dell’apparato genitale maschile, ed è posizionata nella pelvi, appena sotto la vescica e davanti al retto e che circonda il tratto superiore dell’uretra, la cui principale funzione consiste nel contribuire a produrre lo sperma rilasciato durante l’eiaculazione. Quando vi è una chiara indicazione viene asportata solitamente (nel 95% dei casi) in chirurgia robotica, metodica particolarmente indicata proprio per la posizione anatomica in cui si trova. «Talvolta – ha spiegato il clinico – ne consegue un problema di incontinenza in quanto viene temporaneamente leso il muscolo del pavimento pelvico che permette la continenza. In caso di ipertrofia prostatica benigna (IPB) nel 70% dei casi si procede alla riduzione della ghiandola, soprattutto se tali pazienti non rispondono alle terapie mediche; trattasi di un intervento con meno effetti “dannosi” sulla continenza delle urine, oltre ad intervenire in presenza di un tumore prostatico». Ma altra implicazione a seguito di questi interventi riguarda la sfera della sessualità, in quanto può verificarsi un danno permanente all’erezione per la necessaria rimozione dei nervi ricorrenti. Va detto che nel 70% dei casi questa ghiandola tende ad aumentare di volume con relativi sintomi, come la minzione frequente (specie di notte), e 1 soggetto su 9 risulta affetto da tumore della stessa clinicamente rilevante; nel 20% dei casi si manifesta la prostatite (infiammazione) e ciò può avvenire a qualsiasi età; anche se questa è una patologia non grave può diventare cronica e provocare diversi disturbi. «Tuttavia, una prostata ingrossata – ha precisato il clinico – non significa necessariamente malattia, ma una situazione parafisiologica, tant’è che talvolta alcuni pazienti sono asintomatici e asportare la ghiandola per una questione meramente di “normalità”, non è un obiettivo sufficiente, ad eccezione di eventuali complicanze o sintomi refrattari alle terapie; in questi casi l’obiettivo è quello di migliorare la qualità della vita». Ma la IPB aumenta il rischio di cancro? È il timore di molti uomini, ma secondo il relatore tale timore è pressoché infondato, perché l’ingrossamento solitamente si manifesta dopo i 50 anni di età e il tumore prostatico tendenzialmente aumenta in una età più avanzata, ciò rispetto all’IPB che si ingrossa nella parte centrale che circonda il canale che porta all’urina. Il tumore non ha nulla a che vedere con l’IPB in quanto insorge in una zona diversa dalla prostata stessa, e questo nell’80% dei casi, e solo il 20% dei tumori può casualmente insorgere nella zona prostatica. Ma quali le considerazioni in proposito? «Avere la prostata ingrossata – ha precisato il cattedratico – non aumenta il rischio di avere un tumore prostatico -, e se ciò si manifesta è puramente casuale; inoltre, eliminarla, anche se ingrossata, non esula totalmente dalla possibilità di contrarre un tumore. Quindi, con la diagnosi precoce il tumore prostatico viene individuato indipendentemente dalla presenza di sintomi relativi alla minzione che sono causa della IPB. Per la sua riduzione le terapie sono oggi meno invasive, grazie alle diverse tecniche disoponibili come i laser, alcuni dei quali sono particolarmente efficaci. In ogni caso, è sempre utile la prevenzione». Il relatore ha anche ricordato che la prostatite può manifestarsi a tutte le età degli adulti, e anch’essa non favorisce l’insorgenza di un tumore alla ghiandola: il contrario è un falso mito… «Ai fini della prevenzione – ha suggerito il prof. Gontero – è utile prevenire l’obesità, adottare una corretta alimentazione, fare attività sportiva, e non è certo controindicato andare in bicicletta (la controindicazione a questo riguardo è un altro falso mito), ma con qualche accorgimento in presenza di infiammazione della ghiandola. Per quanto riguarda l’esame del PSA (acronimo di “Antigene Prostatico Specifico”, è una proteina che viene prodotta dalle cellule della ghiandola prostatica, ndr) , il cui valore aumenta nell’80% dei casi in presenza del tumore prostatico. Controllare il valore del PSA serve a migliorare la sopravvivenza al fine di poter diagnosticare un tumore in anticipo; quindi utile l’equazione: visita medica, esame Psa e screening, ossia controlli nel tempo. E ciò anche se lo screening non è obbligatorio per il carcinoma prostatico». ENRICA CICCARELLI Relativamente alla cosiddetta Medicina di Genere, attualmente tale aspetto sta suscitando un certo interesse, in qunto è una problematica che riguarda non solo il paziente in quanto tale, ma anche il processo organizzativo inerente le malattie e le terapie. Ma cosa si intende per medicina di genere, o meglio, Genere Specifica? «Genere e Sesso – ha spiegato la dott.ssa Enrica Ciccarelli – sono due termini sovente usati come sinonimi, e in parte lo sono… Il Genere si diversifica in quanto non solo è questione estetica che differeenzia l’uomo dalla donna, ma nelle differenze di genere lo sono anche dal punto di vista socio-culturale, come ad esempio nel comportamento. Il Genere è comunque un termine in uso dal 1968, e si hanno tre componenti che identificano le influenze ormonali, l’assegnazione del sesso alla nascita, e anche le influenze dell’ambiente come pure quelle psicologiche». In effetti, fino al XVIII secolo si ha l’identificazione della donna come aspetto ad “uso e “consumo” sessuale e riproduttivo; nel 1998 l’Oms ha pubblicato una “sfida di genere” per le nazioni e le organizzazioni internazionali, un invito a migliorare la valutazione dei fattori di rischio che coinvolgono la salute delle donne, lo sviluppo di strategie preventive per ridurre l’impatto delle malattie che affliggono maggiormente le donne, e ad uno sforzo maggiore per comprendere perché gli uomini muoiono prima delle donne. «Con l’ottica della differenza che può essere evidenziata per tutti i tipi di patologie – ha sottolineato la relatrice – si comincia a capire qualcosa di più, a cominciare, ad esempio, dai problemi cardiovascolari (CV), e le patologie che colpiscono l’uomo e la donna in modo diverso…Le malattie CV sono considerate ancora prevalenti nel sesso maschile, mentre sono sottostimate nella donna che spesso manifesta sintomi diversi dall’uomo. Va precisato e considerato che a riguardo ci sono fattori multidimensionali: psico-sociali, fisiologici, anatomici e biologici che contribuiscono alla diversa sintomatologia tra uomo e donna. Quindi, la patologia prevalente nella donna è cardiovascolare e non quella relativa al seno come comunemente si tende a pensare. In questo contesto, oggi si può fare molto in considerazione del fatto che un terzo dei decessi a livello mondiale avviene proprio per problemi cardiovascolari, metà dei quali riguardano le pazienti over 50, ossia dopo la menopausa». Da tutto ciò si è appreso che esistono delle differenze di genere, e che la donna rappresenta una condizione equiparabile all’uomo ma con dieci anni di ritardo… Tutte queste differenze sono date dal fatto che per certi versi si considera più l’uomo rispetto alla donna, anche perché quest’ultima si presenta meno… a cominciare dal fatto della differente sintomatologia in diverse malattie, e la stessa tende a trascurarsi un po’ di più rispetto all’uomo. Un altro problema da considerare è il diabete, patologia sempre più in evoluzione con le relative complicanze, sia quello di tipo 1 che di tipo 2 (mellito); e per prevenire tale evoluzione patologica è necessaria una capillare prevenzione. «Anche in questo caso – ha precisato la relatrice – si manifesta una certa differenza tra uomo e donna e, tra i diversi fattori coinvolti, sono da rilevare quelli ormonali, l’obesità addominale, l’ipertensione, elevati livelli di colesterolo, maggiore ipercoagulabilità, etc. Inoltre, la donna è meno propensa a sottoporsi ad esami di controllo, come pure per la donna è differente il trattamento terapeutico, pur rispettando il protocollo dello stesso». La relatrice ha anche introdotto il problema relativo all’Endocrine Disruptor, ossia l’alterazione della funzione d’organo: eccesso o riduzione di produzione di ormoni, modifica di un ormone rispetto ad un altro, alterazioni nel metabolismo ormonale, promozione di morte cellulare prematura, legame ad ormoni essenziali, accumulo di organi che producono ormoni, etc. «È pure da considerare – ha aggiunto – l’associazione con i micobatteri (elementi relativi alla tubercolosi, ndr), e un relativo studio ha rilevato che nelle donne l’associazione di inquinanti ambientali con micobatterio sia molto più a rischio di creare patologie come la tubercolosi nelle donne, di cui ci si sta approfondendo perché la risposta immunitaria è diversa da uomo a donna: nel genere la donna risponde diversamente perché è più “vivace” dal punto di vista immunitario». In merito all’infezione da Covid-19 ha spiegato che per quanto riguarda il contrarre questa malattia e le difese immunitarie, c’è qualche differenza tra uomo e donna. «La possibilità di sviluppare la malattia – ha precisato la dott.ssa Ciccarelli – è praticamente uguale, ma nell’uomo esiste una maggiore severità indipendentemente dall’età: il rischio di morte di un maschio che contrae il coronavirus è 2,4 per la donna. Per quanto riguarda invece l’osteoporosi anche l’uomo non ne è immune, ma è opportuno verificare a fondo quando si manifesta la patologia, sia nell’uomo che nella donna, con la precisazione che in caso di frattura del femore, ad esempio, l’uomo è più vulnerabile». Dal punto di vista psichiatrico la relatrice ha precisato che la depressione si manifesta più frequentemente nella donna, ma in caso di suicidio nell’uomo l’incidenza è molto più elevata in quanto non viene considerato a sufficienza l’aspetto della crisi depressiva; inoltre nella donna il consumo di farmaci è maggiore rispetto all’uomo, come pure in essa sono maggiori gli effetti collaterali legati al dosaggio assunto e alla risposta dell’organismo (metabolismo). «Vi è dunque – ha concluso la dott.ssa Ciccarelli – sempre più la necessità di capire i meccanismi che si manifestano nelle malattie e nelle terapie tanto nell’uomo quanto nella donna, sia dal punto di vista clinico che economico con l’quazione: appropriateza, cura-guarigione e risparmio». * Giornalista scientifico

domenica 15 maggio 2022

Lo stato di salute della nostra industria farmaceutica

La crescita del settore farmaceutico italiano, primo in Europa per il numero di imprese, rischia di frenare per la carenza di materie prime e per i colli di bottiglia che gravano su tutta la catena del valore. È l’allarme lanciato dall’”Osservatorio sul sistema dei farmaci generici”, realizzato da Nomisma per Egualia (già Assogenerici). Nel panorama manifatturiero nazionale, il comparto farmaceutico si contraddistingue per una preponderanza di imprese di medie e grandi dimensioni, rispetto agli altri comparti. Se sul totale delle imprese manifatturiere l’81,3% ha meno di 10 addetti, la percentuale scende al 37% per le imprese del farmaco, mentre la somma delle medie e grandi imprese raggiunge il 42,1%. Fra l'altro, alle imprese farmaceutiche con oltre 250 addetti si deve l’82% del fatturato, una quota di gran lunga superiore rispetto a quella del totale della manifattura, che si attesta al 46,1%. Sommando alle grandi imprese le medie, la quota di fatturato realizzato dalle aziende con oltre 50 addetti raggiunge il 96,9%, contro il 71,4% del totale manifatturiero. Il settore farmaceutico, comunque, è in buona salute. Lo si evince, innanzitutto, dal dato occupazionale, che vanta una crescita ininterrotta dal 2014, pari al 13% in sei anni. Al 2020, nelle imprese farmaceutiche localizzate in Italia sono impiegati circa 67.000 occupati, che rappresentano l’1,7% dei lavoratori del complesso del manifatturiero. Focalizzando l’attenzione sull’ultimo decennio, il comparto è uno dei pochi (insieme ad alimentare, macchinari e apparecchiature e chimica) a segnare un incremento occupazionale. La farmaceutica cresce, infatti, del 3,6%, in controtendenza rispetto alla manifattura che registra una perdita del 5,7% della propria base occupazionale. Un ulteriore elemento peculiare del settore farmaceutico è l’elevato valore aggiunto per addetto:139 mila euro nel 2020, di gran lunga superiore a quello degli altri comparti, davanti alla chimica (92 mila euro per occupato) e più che doppio rispetto alla media manifatturiera (58 mila euro). Tuttavia, rispetto all’anno precedente c' stato un calo del 5,7%, frutto della contrazione del valore aggiunto da un lato e della crescita del numero degli occupati dall’altro. In ogni caso, l’incidenza della quota di produzione farmaceutica su quella totale manifatturiera è aumentata, passando dal 2,3% del 2008 al 2,7% del 2019. Inoltre, a differenza di altri settori produttivi, le imprese del farmaceutico non hanno smesso di investire. L’Osservatorio, infatti, ha rilevato una buona propensione all’investimento, che nel decennio ha comportato una crescita dell’incidenza degli investimenti farmaceutici sugli investimenti totali manifatturieri di mezzo punto percentuale (dal 2,9% del 2008 al 3,4% del 2019). Anche dal punto di vista dell’export, il settore farmaceutico si conferma in controtendenza ed è stato l’unico, insieme a quello alimentare, a segnare nel 2020 una crescita (+3,8% rispetto al 2019) che lo ha confermato il sesto comparto dell’export nazionale per valore. Al 2020, le esportazioni del farmaceutico valgono 33,9 miliardi di euro, con un tasso di crescita del 184% nei dodici anni presi in esame. Così, se nel 2008 le esportazioni di settore pesavano per il 3,4% su quelle manifatturiere, nel 2020 tale valore risulta più che raddoppiato, superando la soglia dell’8%. In particolare, le imprese di farmaci generici crescono di più di quelle che producono farmaci non generici. Osservando l’andamento del volume d’affari delle imprese di farmaci generici si nota una crescita strutturale tra il 2014 e il 2019: i ricavi sono aumentati (+8% ogni anno, +47,9% complessivamente), attestandosi nel 2019 a oltre 4,3 miliardi di euro. Le imprese di farmaci non generici, invece, hanno segnato una crescita meno vigorosa (+21,8% nel periodo 2014-2019 e +4,5% di media annuale). Una dinamica simile si registra osservando l’andamento dell’occupazione: nel periodo 2014-2019 l’incremento supera il 31% tra le imprese di farmaci generici, mentre si ferma al 9,3% per i non generici. I dipendenti delle imprese di farmaci generici a fine periodo sono oltre 8.600. Nonostante un volume di ricavi che cresce a un ritmo più sostenuto, le imprese di farmaci generici presentano però una minor capacità di generare redditività rispetto alle società che si occupano di farmaci non generici. Il margine operativo lordo registra una tendenza, rispetto ai ricavi, strutturalmente meno performante per le imprese di farmaci generici oscillando nel periodo 2014-2019 tra il 10,6% del 2019 e l’11,3% ( 2017). Le imprese che si occupano di farmaci non generici, invece, mostrano valori costantemente superiori, attestandosi al 15,1% nel 2019, segnalando una distanza di redditività che tende ad amplificarsi. Nel 2020 la spesa farmaceutica, pubblica e privata, in Italia ammontava a 20,5 miliardi di euro, in diminuzione del 2,6% rispetto all’anno pre-pandemico (2019), allineandosi a valori simili a quelli del 2018. La spesa territoriale pubblica è stata pari a 11,9 miliardi di euro, registrando un decremento del 3% rispetto al 2019. Di poco inferiore la flessione subita dalla spesa privata, che nel 2020 si è assestata a 8,7 miliardi (-2%). I risultati realizzati nell’ultimo anno non hanno impattato sulle dinamiche di medio periodo, lasciando inalterato il trend che vede una diminuzione della spesa pubblica a favore di quella privata sostenuta dai cittadini: dal 2011 al 2020, l’incidenza della spesa pubblica sul totale è scesa dal 63% al 58%, con un conseguente guadagno della quota privata di circa 5 punti percentuali. L’analisi per tipologia di farmaci venduti mette in evidenza un dato interessante: fra il 2009 al 2020 sono aumentate le vendite di generici del 119% a volumi e del 148% a valori. Parallelamente si è verificata una graduale diminuzione della presenza di farmaci coperti da brevetto, le cui confezioni sul mercato si sono ridotte di circa 328 milioni (-65%), con una contrazione di valore di circa 5,6 miliardi di euro (-63%).

sabato 14 maggio 2022

Prevenzione troppo trascurata dagli italiani

La prevenzione è un elemento chiave per la salute, tuttavia ancora molto trascurata dagli italiani. Le donne sono più attente degli uomini (appena il 15% dei maschi ha svolto una visita andrologica nell'ultimo anno), tuttavia solo una italiana su due è andata dal ginecologo negli ultimi 12 mesi e quasi una su tre sembra evitare questo controllo di base, a prescindere dalla pandemia. È quanto emerge da un'indagine dell'Osservatorio Sanità di UniSalute, svolta in collaborazione con Nomisma e riportata, in sintesi, dall'Ansa. Dall'indagine emerge come la prevenzione non sia una abitudine ancora acquisita dalle donne: il 16% dichiara di non fare una visita ginecologica da molti anni, il 13% riferisce addirittura di non averla mai fatta. Anche un esame importante come il Pap test è stato effettuato nell'ultimo anno da meno di una donna su tre (31%); nella fascia d'età tra i 30 e i 44 anni il 30% delle donne dichiara di non averlo mai fatto o di averlo fatto molti anni fa. In merito alla frequenza dei controlli per la prevenzione del tumore al seno, solo una donna su quattro ha svolto un'ecografia al seno nell'ultimo anno e il 44% delle donne tra i 30 e i 44 anni non si è mai sottoposta a questo esame. Tecniche preventive come l'autopalpazione sono praticate con regolarità solo dal 29% delle donne italiane. Per quanto riguarda la mammografia, il 23% della donne tra i 45 e i 54 anni dichiara di averla effettuata molti anni fa o di non averla mai effettuata, nonostante sia consigliata come controllo regolare a tutte le donne sopra i 40 anni. Non va meglio per gli uomini: il sondaggio rivela come appena il 15% sia stato dall'andrologo nell'ultimo anno. Inoltre – riferisce ancora l'Ansa - un esame importante per la salute della prostata, ossia il dosaggio del PSA, è stato effettuato nell'ultimo anno solo dal 42% degli uomini tra i 55 e i 65 anni, dato che scende al 27% nella fascia d'età 45-54. Ad accomunare donne e uomini la poca attenzione alla salute della propria pelle: secondo la ricerca di UniSalute il 54% degli uomini e delle donne non ha mai svolto una visita dermatologica per la valutazione dei nei. Prevenzion

venerdì 13 maggio 2022

Gli italiani promuovono il personale medico e paramedico

Continua a crescere la percentuale di persone che hanno dovuto rinunciare a visite specialistiche o esami diagnostici di cui avevano bisogno per problemi economici o legati alle difficoltà di accesso al servizio, passando dal 6,3% del 2019 al 9,6% nel 2020 e all’11% nel 2021. Il 53,3% di chi rinuncia riferisce motivazioni legate alla pandemia da Covid-19. Lo ha comunicato l'Istat, l'istituto nazionale di statistica. Dal punto di vista della dotazione di personale sanitario, si è registrato un leggero incremento di medici e personale paramedico, indispensabili per far fronte all’emergenza sanitaria: nel 2021 ci sono 4,1 medici ogni 1.000 residenti (erano 4,0 nel 2020); infermieri e ostetriche passano al 6,6 per 1.000 residenti nel 2020 (erano il 6,5 nel 2019). Queste figure riscontrano un’ampia fiducia da parte della popolazione: circa il 50% dei residenti di 14 anni e più ha dato loro un punteggio di fiducia uguale o superiore a 8 (su una scala da 0 a 10). Nel 2020 il 7,3% delle persone si è spostato in un'altra regione per effettuare un ricovero. Le restrizioni imposte dalla pandemia, che hanno impedito gli spostamenti fuori dalla propria regione e il sovraccarico dei servizi ospedalieri dovuto ai pazienti Covid hanno comportato un calo di 1 milione e 700mila ricoveri di pazienti residenti fuori regione rispetto al 2019, anno in cui il tasso di emigrazione ospedaliera era pari all’8,3%. Nel 2021 il 9,4% delle persone di 14 anni e più ha utilizzato assiduamente i mezzi pubblici.

giovedì 12 maggio 2022

Toti: in Liguria presto altri 700 infermieri

“La professione dell’infermiere costituisce un cardine del nostro sistema sanitario: lo abbiamo visto durante l’emergenza Covid, con il personale infermieristico in prima linea nei nostri ospedali e lo vedremo anche in futuro con l’attuazione del Piano nazionale di Ripresa e Resilienza e il potenziamento della risposta territoriale ai bisogni di salute dei cittadini. La nostra priorità è stata e continua a essere la valorizzazione di questa professione: dalla creazione dei reparti a conduzione infermieristica, dal sostegno al master per l’infermiere di famiglia che è nato a Genova fino ai concorsi che abbiamo realizzato, il primo nel 2017 (con oltre 1.100 assunzioni effettuate) e il secondo per 700 posti a tempo indeterminato che vedrà la fase di selezione concludersi entro l’estate per poi avviare subito le assunzioni”. Così Giovanni Toti, presidente e assessore alla Sanità della Regione Liguria, intervenuto alla presentazione delle iniziative previste in occasione della Giornata Internazionale dell’Infermiere, che si celebra ogni anno il 12 maggio. In Liguria gli iscritti all’Ordine delle Professioni Infermieristiche sono 14.624 (nello Spezzino 2.082, nell’Imperiese 1.604, nel Savonese 2.602, nell’area metropolitana genovese 8.336); di questi, 10.903 sono impiegati nel servizio sanitario regionale. A questi numeri si aggiungeranno i 700 infermieri che saranno assunti nei prossimi mesi attraverso il concorso in atto, le cui procedure di selezione si concluderanno entro l’estate. Il presidente del Coordinamento regionale Ordini Professioni Infermieristiche Liguria Carmelo Gagliano evidenzia “la necessità per il prossimo anno accademico di lavorare con l’Università di Genova per garantire un aumento dei posti al corso di laurea di infermiere così da soddisfare quanto previsto dal Pnrr in relazione alle figure dell’infermiere di famiglia e di comunità”.

martedì 10 maggio 2022

Quando è importante lavarsi bene le mani

Il 5 maggio è stata la Giornata mondiale per l’igiene delle mani, promossa dall'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) per celebrare l’importanza di questo gesto semplice ma essenziale per la prevenzione delle malattie infettive, sia in comunità che nelle strutture di assistenza e cura. Dal 2005, ogni anno l’OMS ha indicato uno slogan che potesse guidare la campagna per l’igiene delle mani a livello globale. Per la giornata del 5 maggio 2022, il tema proposto dall’OMS è stato incentrato sul miglioramento del clima o cultura della sicurezza e della qualità di una struttura attraverso l'igiene delle mani, atto fondamentale nella prevenzione e nel controllo delle infezioni. Slogan della campagna OMS di quest'anno: “Uniti per la sicurezza: igienizza le tue mani!”. In ambito assistenziale e in comunità, lavarsi le mani correttamente, con acqua e sapone per almeno 40-60 secondi, oppure, se non disponibili, igienizzarle con soluzione idroalcolica per almeno 20-30 secondi (fonte WHO), impedisce la trasmissione dei microrganismi responsabili di molte malattie infettive, dalle più frequenti, come l'influenza e il raffreddore, a quelle più severe, come le infezioni correlate all’assistenza (ICA). La campagna 2022 invita tutte le persone a lavorare insieme per influenzare la cultura della sicurezza, attraverso la conoscenza e la pratica dell’igiene delle mani, per raggiungere l'obiettivo comune di sicurezza e qualità nell'organizzazione sanitaria. L'igiene delle mani è il gesto quotidiano più efficace per ridurre la diffusione di agenti patogeni e prevenire le infezioni, compresa l’infezione da Covid-19. Si raccomanda di igienizzare le mani prima: di assumere farmaci o somministrare farmaci ad altri, di toccarsi occhi/naso/bocca (per es., per fumare, usare lenti a contatto, lavare i denti, etc.); di mangiare. Prima e dopo aver assistito/toccato una persona malata, aver medicato o toccato una ferita, aver cambiato il pannolino di un bambino, aver maneggiato alimenti, soprattutto se crudi, aver usato i servizi igienici, ver toccato un animale. Dopo: aver toccato altre persone, aver frequentato luoghi pubblici (negozio, ambulatorio, stazione, palestra, scuola, cinema, bus, ufficio, etc.) e, in generale, appena si rientra in casa; aver maneggiato la spazzatura, aver utilizzato soldi. Si ricorda, in particolare, che è buona abitudine tossire/starnutire nella piega del gomito, per non contaminare le mani con cui successivamente si possono trasmettere i propri microrganismi toccando ad es. il cellulare, la maniglia di una porta, etc. Inoltre, è raccomandato l'utilizzo di fazzoletti monouso per soffiarsi il naso, possibilmente eco-sostenibili, da smaltire nei rifiuti e ricordare di lavarsi le mani, subito dopo l’uso. L’igiene delle mani svolge un ruolo fondamentale per la nostra salute e quella delle altre persone, soprattutto negli ambienti assistenziali. Le infezioni correlate all'assistenza sono, infatti, un problema globale che colpisce circa il 7-10% dei pazienti, a seconda del Paese. In Italia, si stima che il 5-8% dei pazienti ricoverati contrae un’infezione ospedaliera (fonte Istituto Superiore di Sanità). Non tutte le infezioni correlate all'assistenza sono prevenibili, ma si stima che almeno la metà potrebbero essere evitate. In tutti i luoghi di assistenza o cura (dall’inglese point of care, POC), è importante lavare le mani con acqua e sapone o igienizzarle con una soluzione idroalcolica. Nel Point of care (POC): si incontrano tre elementi: il paziente, l’operatore sanitario, l’assistenza o il trattamento terapeutico che prevede il contatto con il paziente o l'ambiente circostante. L'igiene delle mani deve essere eseguita nei cinque momenti indicati dall'OMS, in cui si presta assistenza o cura. I prodotti per l'igiene delle mani (ad es. soluzioni a base di alcol, acqua, sapone, asciugamani) devono essere facilmente accessibili e il più vicino possibile al punto di cura, senza dover lasciare la zona paziente. La pratica dell’igiene delle mani nell'ambito dell'assistenza sanitaria previene le infezioni correlate all'assistenza e la trasmissione di microrganismi potenzialmente patogeni sia nel setting assistenziale che in comunità. La prevenzione delle infezioni correlate all'assistenza è di fondamentale importanza anche per ridurre le infezioni resistenti ai farmaci e la diffusione dei microrganismi resistenti che le provocano.

venerdì 6 maggio 2022

Indagine Istat sui fattori di rischio per la salute

Nel 2021, in Italia, il 19% della popolazione di 14 anni e più dichiara di essere fumatore (9,958 milioni di persone), il 24% di aver fumato in passato e il 55,7% di non aver mai fumato. Lo ha comunicato l'Istat, aggiungendo che è pari al 46,2% la popolazione di 18 anni e più in eccesso di peso (34,2% in sovrappeso, 12% obeso), mentre il 50,9% è in condizione di normopeso e il 2,9% è sottopeso. L'Istituto nazionaledi statistica ha anche riferito che il 66,3% della popolazione di 11 anni e più ha consumato almeno una bevanda alcolica nel corso dell’anno: il 54,4% beve vino, il 50,4% consuma birra e il 45,4% aperitivi alcolici, amari, superalcolici o liquori. Inoltre, 19,667 milioni di persone (il 33,7% della popolazione di 3 anni e più) dichiarano di non praticare né sport né attività fisica nel tempo libero. Si osservano marcate differenze di genere: è sedentario il 36,9% delle donne contro il 30,3% degli uomini. L'Istat ha reso disponibili le informazioni su abitudine al fumo, eccesso di peso, consumo di alcol e sedentarietà con l’obiettivo di offrire una lettura più completa delle dinamiche sociali in atto. I dati sono stati raccolti attraverso l’indagine Multiscopo “Aspetti della vita quotidiana”. Il campione comprende circa 19.800 famiglie per un totale di circa 45.600 individui. Le interviste sono state effettuate tra marzo e maggio 2021.

Prevenzione delle malattie prostatiche e endocrinologia nuovi temi degli incontri dei Lunedì della Salute a Torino

“La prevenzione delle malattie prostatiche: falsi miti e realtà” è il tema del primo dei due incontri dei “Lunedì della Salute” in programma a Torino, dalle 16,15 alle 18,30, nel Centro Biotecnologie Molecolari dell'Università di Torino, in via Nizza 52, a ingresso libero. Ne parla Paolo Conterno, medico specialista in Urologia, direttore della clinica urologica della Città della Salute e della Scienza, alle Molinette. Il secondo incontro, nello stesso pomeriggio, è intitolato “Donne e uomini sono sempre uguali di fronte alle malattie?”. Relatore è Enrica Ceccarelli, medico specialista in endocrinologia, responsabile di Endocrinologia all'ospedale Martini, presidente dell'associazione Donne medico di Torino. Gli incontri, tutti a ingresso libero, sono organizzati dall'Associazione “Più Vita in Salute”, presieduta da Roberto Rey e coordinata da Giovanni Bresciani.

mercoledì 4 maggio 2022

Per il benessere degli anziani non autosufficienti

Secondo il rapporto 2020 dell'Istat, in Italia gli ultraottantenni con gravi limitazioni di autonomia nelle attività quotidiane fondamentali e in quelle strumentali sono circa 2,3 milioni. A questo dato si aggiunge che in Italia gli ultrasessantenni sono il 23% dei cittadini, la quota più elevata in Europa. Le stime al 2030 a al 2050 confermano la tendenza all'invecchiamento della popolazione a fronte di una riduzione della natalità. La pandemia da Covid-19, poi, ha messo in evidenza l'impatto del distanziamento sociale sugli anziani, che colpiti dall'infezione e dalla solitudine, hanno pagato il prezzo più alto in termini di vite umane e relazioni affettive. Parte da queste considerazioni il volume “Domiciliarità e/o residenzialità per il benessere degli anziani non autosufficienti” curato dai ricercatori dell'associazione culturale InCreaSe - Guido Lazzarini, Paola Benetti, Luigi Bollani, Fabrizio Floris, Antonella Forte, Maria Rosa Guerrini, Maria Giuseppina Lucia, Vilma Rossi e Silvia Vercellino - e presentato a Torino, a Palazzo Civico, insieme al Consiglio dei Seniores. L'opera intende offrire una riflessione multidisciplinare a partire dall'ipotesi che “domiciliarità e residenzialità “sono due soluzioni di un percorso di vita che devono considerarsi interscambiabili a seconda dell'esigenza della persona e/o dei caregiver ed entrambe le scelte “devono poter ottenere gli stessi trattamenti socio -economici- assistenziali - sanitari da parte dellente pubblico”. La ricerca è basata su documenti, interviste e statistiche con proposte per rispondere adeguatamente ai bisogni degli anziani non autosufficienti. In questo contesto, secondo gli autori, le politiche sociali devono ripensare l'organizzazione dei servizi per gli anziani e le famiglie, creando ambienti in grado di corrispondere ai bisogni della quotidianità, ma soprattutto ai bisogni affettivo-relazionali degli anziani, al rispetto dei valori dell'età avanzata, mettendo sullo stesso piano le relazioni empatiche e le relazioni di cura. La pandemia di Covid-19 ha messo in luce l'esigenza di potenziare le cure domiciliari e di integrare maggiormente prestazioni sociali e sanitarie, e il PNRR mette a disposizione ingenti risorse per raggiungere questi obiettivi. “Il libro affronta problemi molto attuali di natura sanitaria, sociale e psicologica sul tema della popolazione anziana più fragile, in particolare, affronta la questione della residenzialità o dell'assistenza domiciliare delle cure, quali proposte per aiutare gli anziani e le famiglie coinvolte come 'caregiver' a gestire fisicamente ed economicamente la situazione della cura del familiare malato” ha sottolineato Edoardo Benedicenti, presidente del Consiglio dei Seniores della Città di Torino (nella foto). L'incontro, patrocinato dalla Città di Torino, è stato promosso dal Consiglio dei Seniores, in collaborazione con InCreaSe che opera con ricerche scientifiche e azioni sul campo per contribuire al benessere sociale e al conseguimento di uno sviluppo sostenibile, inclusivo, equo e stabile.