martedì 28 giugno 2022

Antivirale made in Unito contro Covid-19 e nuovi virus

Il progetto di ricerca italo-svedese Viper, guidato dall’Università di Torino e che si propone di studiare nuovi antivirali efficaci contro SARS-CoV-2, ha vinto il prestigioso bando Nato - Science for Peace and Security (SPS) Programme. L’obiettivo di Viper (Learning a lesson: fighting SARS-CoV-2 Infection and get ready for other future PandEmic scenaRios) è rispondere a malattie virali emergenti, attuali e future, attraverso lo sviluppo di antivirali ad ampio spettro. Il network internazionale coinvolto in Viper è composto dai partner svedesi del Karolinska Institutet di Stoccolma e dell’Università di Uppsala e dai partner italiani dell’Università di Torino (Proff. Marco L. Lolli e Giorgio Gribaudo), Università di Messina (Prof.ssa Anna Piperno) e Università di Padova (Prof.ssa Cristina Parolin). Università ed enti di ricerca dei due Paesi saranno impegnati nello sviluppo preclinico della molecola MEDS433, un inibitore dell’enzima diidroorotato deidrogenasi (DHODH) di ultima generazione, dalle potenti attività antivirali ad ampio spettro, capace di inibire la replicazione oltre che di SARS-CoV-2 anche di un’ampia gamma di virus umani. I gruppi di ricerca italo-svedesi, che possiedono competenze scientifiche sinergiche, agiranno come un unico esteso gruppo di ricerca europeo. Viper inizierà ufficialmente il suo percorso attraverso la presentazione dettagliata dei suoi obiettivi progettuali. In tale occasione verrà messa a punto un’agenda di lavoro che vedrà le ricercatrici e i ricercatori coinvolti incontrarsi periodicamente durante i 27 mesi del progetto. Le attività di Viper prevedono lo sviluppo su larga scala di MEDS433 (Torino) a supporto della sperimentazione  in vitro e in vivo, la sua formulazione in innovativi agenti veicolanti (Messina e Uppsala), lo studio in vitro delle proprietà antivirali e del meccanismo molecolare dell’attività antivirale delle molecole formulate (Torino e Padova) e lo studio dell’efficacia delle formulazioni in vivo in un modello murino di SARS-CoV-2 (Stoccolma). Il programma Nato Sps, attivo da oltre sei decenni, è uno dei più grandi e importanti programmi di partenariato dell’alleanza che affronta le sfide della sicurezza del XXI secolo. Attivo in scenari quali cyber defence, sicurezza energetica e tecnologie avanzate, in questo caso Sps viene diretto alla difesa antiterroristica da agenti biologici, affrontando di riflesso una tematica di enorme attualità, data dalla pandemia di Covid-19. Il programma Sps, oltre che sovvenzionare progetti pluriennali di alto impatto tecnologico, promuove la cooperazione scientifica pratica tra ricercatori, lo scambio di competenze e know-how tra le comunità scientifiche della Natp e dei Paesi partner. “Gli effetti devastanti della malattia Covid-19 – sottolinea Marco L. Lolli, docente del Dipartimento di Scienza e Tecnologia del Farmaco dell’Università di Torino e coordinatore del progetto – hanno insegnato al mondo come, in assenza di farmaci antivirali ad ampio spettro, sia difficile controllare la diffusione iniziale di una pandemia emergente e di riflesso salvare vite umane nell’attesa dello sviluppo di vaccini e farmaci specifici per il virus emergente”. MEDS433 è un antivirale interamente “made in UniTo”. Infatti è stato inventato e caratterizzato chimicamente dal gruppo di ricerca MedSynth del prof. Lolli al Dipartimento di Scienza e Tecnologia del Farmaco e la sua attività antivirale ad ampio spettro, nei confronti di un'estesa varietà di virus umani, sia a Dna che a Rna, compresi i più importanti virus respiratori, è stata definita nel Laboratorio di Microbiologia e Virologia del Dipartimento di Scienza della Vita e Biologia dei Sistemi, diretto dal prof. Giorgio Gribaudo, sempre all’Università di Torino. “Data la sua potente attività antivirale a concentrazioni nanomolari e la bassa tossicità, MEDS433 – conclude il Pprof. Lolli – può essere considerato un nuovo e promettente antivirale, non solo perché arricchisce il nostro armamentario farmacologico contro SARS-CoV-2, ma anche per affrontare futuri eventi pandemici. Siamo molto orgogliosi che questo consorzio si sia formalizzato perché avremo gli strumenti necessari per portare MEDS433 alla sperimentazione umana, cosi da fornire una soluzione strategica per affrontare le fasi iniziali della diffusione di un nuovo virus emergente”.

giovedì 23 giugno 2022

Il Piemonte investe 23 milioni per avere nuovi OSS

Al via una nuova misura per la formazione degli operatori socio sanitari in Piemonte: con un investimento di 23 milioni, l’assessorato regionale alla Formazione professionale finanzia nuovi corsi che saranno organizzati in tutto il Piemonte. Un intervento che ben si inserisce in una politica condotta dall’assessore Elena Chiorino (foto), che sostiene e supporta la formazione professionale attraverso la certificazione delle competenze anche in ambito sanitario. Nello specifico, i corsi saranno rivolti a giovani e adulti, disoccupati, ma anche occupati, ai quali verrà rilasciata la qualifica di OSS.  La vera novità della misura è la compartecipazione ai costi dei soggetti interessati, fino a un massimo di 1.500 euro per partecipante, in base alle fasce Isee; per i redditi inferiori ai 10 mila euro, il corso sarà interamente gratuito, poiché finanziato dalla Regione Piemonte. Fino al 12 luglio sarà aperto il bando per individuare le agenzie formative che organizzeranno i corsi. Per l’assessore regionale alla Formazione professionale, la misura ha il duplice obiettivo: soddisfare il più possibile il fabbisogno di personale qualificato che oggi è tra le figure più ricercate e favorire l’occupazione dei giovani e degli adulti, qualificando ex novo o rafforzando le competenze di coloro che già lavorano o hanno lavorato in strutture sanitarie, socio-sanitarie o socio-assistenziali. Per l’assessore Chiorino un nuovo “traguardo formativo” - 1.000 ore, di cui 440 in stage - in grado di rispondere velocemente all’esigenza sanitaria, attraverso un’offerta formativa mirata. Per informazioni legate al bando è possibile consultare la pagina all’indirizzo: https://bandi.regione.piemonte.it/contributi-finanziamenti/offerta-formativa-regionale-operatore-socio-sanitario-periodo-2022-2024.  

mercoledì 22 giugno 2022

Tumore al pancreas, nuova scoperta di Unito

Un nuovo studio preclinico, svolto al Centro di Biotecnologie Molecolari “Guido Tarone” dell’Università di Torino, ha reso possibile la scoperta di una nuova terapia focalizzata per un sottogruppo di pazienti affetti da neoplasia maligna del pancreas. Il gruppo di ricerca guidato dalla professoressa Miriam Martini e dal professor Emilio Hirsch ha dimostrato che la proteina PI3K-C2γ gioca un ruolo chiave nello sviluppo del tumore al pancreas. L'indagine scientifica ha permesso di far luce sui meccanismi di sviluppo di questo tumore e potrebbe consentire, in futuro, di massimizzare l’efficacia delle attuali opzioni terapeutiche di uno dei tumori attualmente più aggressivi. In Italia, ogni anno vengono diagnosticati circa 13.000 nuovi casi di tumore al pancreas e la percentuale di sopravvivenza a cinque anni è meno del 10%. Si prevede che, entro il 2030, il tumore al pancreas diventi la seconda causa di morte oncologica. La gravità e la mancanza di trattamenti efficaci rendono necessari studi per la ricerca di nuove terapie e marcatori che possano aiutare a scegliere il farmaco più efficace. Per poter crescere, le cellule tumorali hanno bisogno di nutrienti e fonti d’energia. L’aggressività del tumore al pancreas è dovuta alla capacità di adattarsi in condizioni avverse, come ad esempio la scarsità di nutrienti e fonti energetiche, che vengono sfruttate dalle cellule per sopravvivere. Recentemente, sono stati sviluppati farmaci che impediscono l’utilizzo di tali nutrienti, come ad esempio la glutammina. PI3K-C2γ controlla la via di segnalazione intracellulare di mTOR, che regola il metabolismo e la crescita della cellula e influisce sull’utilizzo della glutammina per favorire la progressione tumorale. Nel tumore al pancreas, la proteina PI3K-C2γ non è presente in circa il 30% dei pazienti, i quali sviluppano una forma maggiormente aggressiva della malattia Maria Chiara De Santis, primo autore dello studio pubblicato sulla prestigiosa rivista internazionale Gut, ha dimostrato che la perdita di PI3K-C2γ accelera lo sviluppo del tumore, ma allo stesso tempo rende più sensibili a farmaci che colpiscono mTOR e all’utilizzo della glutammina. Lo studio guidato dagli scienziati di UniTo è stato frutto di un intenso lavoro di collaborazione con gruppi nel territorio italiano e internazionale, tra cui quelli dei professori Francesco Novelli, Paola Cappello e Paolo Ettore Porporato (Università di Torino), Andrea Morandi (Università di Firenze), Vincenzo Corbo e Aldo Scarpa (Università di Verona), Gianluca Sala e Rossano Lattanzio (Università di Chieti) ed Elisa Giovannetti (Università di Amsterdam e Fondazione Pisana per la Scienza).

martedì 21 giugno 2022

In Piemonte arriva lo psicologo delle cure primarie

Su proposta dell’assessore della Regione Piemonte alla Sanità, Luigi Icardi (foto), la giunta regionale ha approvato l’attuazione del Progetto innovativo di istituzione dello ‘Psicologo delle Cure Primarie’ per l’anno 2022 e il relativo finanziamento statale. La somma messa a disposizione dalla Regione alle Aziende sanitarie locali del Piemonte è di 1.837.616 euro. Come sottolineato dall’assessore alla Sanità, la diffusa precarietà, sia economica che di salute, indotta dalla pandemia e l’isolamento vissuto in particolar modo da adolescenti e soggetti fragili hanno inevitabilmente comportato un aumento del disagio psichico e lo sviluppo di situazioni psicopatologiche che necessitano di una tempestiva presa in cura psicologica o psichiatrica. Intenzione della Regione è utilizzare le risorse statali in arrivo per potenziare e rendere omogenee sul territorio piemontese le prestazioni di tipo psicologico. Nello specifico, il fondo sarà finalizzato ad allineare i bisogni delle comunità e dei pazienti, anche alla luce delle criticità emerse durante l’emergenza pandemica; rafforzare le strutture e i servizi sanitari di prossimità e i servizi domiciliari; sviluppare la telemedicina e superare la frammentazione e la mancanza di omogeneità dei servizi sanitari offerti sul territorio; sviluppare soluzioni di telemedicina avanzate a sostegno dell’assistenza domiciliare. Lo psicologo delle Cure primarie sarà lo specialista di riferimento del territorio, attualmente nel Distretto sanitario e successivamente all’interno delle Case di Comunità, diventando il punto di riferimento continuativo per tutta quella fetta di popolazione che ha necessità di una prima presa in carico di tipo psicologico. I servizi specialistici di psicologia delle Aziende sanitarie locali saranno coordinati dalle Strutture di Psicologia con competenze sovra locali e ogni Asl dovrà individuare un referente aziendale psicologo responsabile del progetto innovativo. Dallo studio multicentrico internazionale dell’Organizzazione mondiale della Sanità risulta che il 24% dei pazienti che si reca dal medico di famiglia presenta un disturbo psicopatologico: le forme di disagio psicologico più frequenti sono la depressione, con una prevalenza del 10,4% e il disturbo d’ansia generalizzata, la cui prevalenza è del 7,9%. Attualmente le problematiche di tipo psicologico, sia primarie che conseguenti a stati di cronicità o invalidità (malattie cardiovascolari, i tumori, le malattie respiratorie croniche, il diabete e la depressione), sono presenti nel 21-26% dei pazienti che afferiscono ai Servizi della medicina di base.

domenica 19 giugno 2022

I piemontesi "promuovono" medico di famiglia e ospedali

Secondo una fresca indagine di Ires Piemonte, i piemontesi sono soddisfatti del servizio sanitario regionale, in particolare dei medici di famiglia e gli ospedali locali. “La pandemia sembra aver rafforzato nell’opinione dei piemontesi l’importanza e l’utilità dei servizi pubblici” scrive Ires Piemonte. E focalizzando l’attenzione su quelli connessi alla salute, si conferma il primato dell’apprezzamento per i medici di famiglia: il 79,4% delle persone intervistate ha espresso un giudizio positivo,dichiarandosi abbastanza (63,7%) o molto soddisfatto (15,7%), in leggero aumento rispetto all’anno precedente (78,4%). I più soddisfatti sono i giovani con età compresa tra 18 e 24 anni (87,7%) e le persone con età maggiore di 64 anni (84,6%), fascia in cui si concentra un ricorso maggiore al medico di medicina generale. Una maggiore frequenza di giudizi positivi si riscontra nel quadrante Metropolitano (82,2%), seguito dai quadranti Nord Est, Sud Est (quasi 77%) e Cuneese (75,2%). Sui servizi pubblici ospedalieri il 70,8% delle persone esprime un giudizio positivo dichiarandosi abbastanza (63%) o molto soddisfatto (7,8%), anche questo dato è in aumento di un punto percentuale rispetto all’anno precedente. Le donne sono un po’ più soddisfatte degli uomini (72,3% verso 69,2%), così come i giovani (18-24 anni) e gli over 64, analogamente a quanto riscontrato per il medico di famiglia. Emergono importanti differenze territoriali: l’apprezzamento dei servizi ospedalieri è superiore nel quadrante Cuneese (79,7%), minore nei quadranti Nord Est (72,2%), Metropolitano (71,4%) e Sud Est (59,1%).

A Torino parco delle tecnologie innovative per la salute

A Torino è stata presentata alle imprese piemontesi PAsTISs - PArco per le Tecnologie Innovative per la Salute, la nuova infrastruttura di ricerca congiunta del Politecnico e dell'Università degli Studi di Torino che risponde alla necessità di sviluppo e innovazione tecnologica per la salute e per il benessere, con il fine ultimo di creare sinergia tra scienza, industria e cittadini. Durante l’evento è stato possibile visitare i laboratori e apprezzare le attrezzature della nuova infrastruttura che si trova nel cuore della Cittadella Politecnica. Pastiss, all'avanguardia nell'ingegneria biomedica, mira ad aggregare il know-how e le strumentazioni necessarie per lo studio della materia vivente e per lo sviluppo di nuove tecnologie diagnostiche, terapeutiche e sportive. L’infrastruttura è stata co-finanziata da Politecnico, Università di Torino e da fondi europei Fesr (Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale) attraverso il bando infra-P della Regione Piemonte. Si tratta di un’infrastruttura di ricerca aperta che mette a disposizione servizi per le imprese e per altri centri di ricerca. Nel corso dell’evento è stato presentato alle aziende il vasto catalogo di servizi offerti da Pastiss e anche alcuni casi di studio di collaborazioni di successo con le aziende nelle aree ICT per la salute (Cionic Inc), Biomeccanica integrativa (Apr), Nuovi materiali e nanotecnologie per le applicazioni biologiche (R&D Nobil Bio Ricerche). “Pastiss è frutto della strategia del nostro ateneo indirizzata al trasferimento tecnologico verso le imprese e all’impatto sulla società - ha spiegato il professor Alberto Audenino, coordinatore dell’infrastruttura di ricerca - strategia perseguita sia valorizzando pienamente le nostre competenze settoriali in ottica multidisciplinare sia collaborando con l’Università di Torino e il Polo BioPMed. Fondamentale è stato il supporto della Regione Piemonte che ci ha aiutati a creare un solido sistema territoriale di ricerca integrata sulle tecnologie per la salute. Il PNRR nazionale e l’S3 2021-27 regionale ci confermano che la direzione che abbiamo intrapreso è quella giusta, ci incoraggiano a incrementare il nostro impegno; non possiamo mancare agli appuntamenti, noi ci saremo”.

mercoledì 15 giugno 2022

Prevenzione: scompenso cardiaco e malattie renali relazioni di Marco Ribezzo e Franca Giacchino

di Ernesto Bodini*
Le ultime due conferenze dei Lunedì della Salute e della Prevenzione, organizzati a Torino dall'Associazione Più Vita in Salute, presieduta da Roberto Rey e coordinata da Giovanni Bresciani, sono state dedicate ai temi della “Prevenzione e prospettive terapeutiche dello scompenso cardiaco”, a cura del dott. Marco Ribezzo (foto) della Clinica Maria Pia Hospital (Torino), e “Perché parlare di reni, cuore e sistema vascolare in modo unitario?”, a cura della nefrologa dott.ssa Franca Giacchino dell’Università di Torino. Entrando subito nel merito della sua relazione, il dott. Ribezzo ha spiegato che l’insufficienza cardiaca (o scompenso cardiaco) è una grave condizione medica che impedisce al cuore di pompare una quantità sufficiente di sangue per soddisfare le esigenze del nostro corpo, e può essere causata da condizioni mediche che danneggiano o aumentano il carico di lavoro del cuore. «I sintomi dello scompenso cardiaco – ha ricordato – sono aspecifici, ossia non facilmente comprensibili; tuttavia, si possono rilevare segnali come la stanchezza, la sonnolenza per carenza di ossigeno al cervello, dolori addominali (angina abdominis) per carenza di ossigeno alle anse intestinali, oppure problemi alle coronarie con dolori al petto, tosse per sofferenza polmonare, etc. (angina pectoris). E quando lo scompenso cardiaco si fa più evidente i disturbi sono facilmente individuabili come l’affaticamento e la spossatezza, la mancanza di fiato e ritenzione di liquidi; quando la parte sinistra del cuore è particolarmente affaticata viene meno il fiato, se invece è la parte destra più affaticata si verifica la ritenzione di liquidi con edemi (gonfiori) agli arti inferiori». È dato a sapere che l’ipertensione arteriosa (I.P.) non curata o non ri-conosciuta tempestivamente è l’evento patologico più frequente (cardiopatia ipertensiva), tant’è che un paziente su tre è affetto da ipertensione. Ma altro evento patologico che può manifestarsi è il diabete (un soggetto su tre), patologia che assume una certa importanza se in presenza di comorbilità come ad esempio le dislipidenie, l’ipertensione, etc.; tutti fattori che vanno ad intaccare le pareti delle arterie. «Altre cause – ha precisato il relatore – sono le malattie delle valvole cardiache che nel tempo alterano il normale funzionamento del cuore, in quanto va incontro ad uno sforzo maggiore e quindi favorendo l’attività cardiaca in modo anomalo. Per quanto riguarda le cardiopatie congenite (ossia dalla nascita), negli anni alterano la normale attività cardiaca, e altre malattie colpiscono il cuore sino a causare un progressivo interessamento delle sue pareti, oppure le stesse negli anni si assottigliano con non minori conseguenze. Alcune di queste malattie sono talvolta scritte nel nostro DNA (codice genetico) e non è prevenibile il loro manifestarsi. Inoltre, ci sono le infezioni del cuore (miocardite, endocardite, pericardite), se acuta l’infezione dei tessuti cardiaci crea una disfunzione del muscolo sino a provocare lo scompenso cardiaco». Altre malattie più “impegnative” dal punto di vista della comprensione, sono quelle definite elettriche, ossia relative alla alterazione del ritmo cardiaco (irregolarità), la cui incidenza nella popolazione generale è molto elevata: 15 milioni di casi in Europa, ed è la prima causa di accesso al P.S., e il 30-35% dei ricorsi al P.S. è per scompenso cardiaco in soggetti di età molto diversa, anche se orientativamente sono più gli anziani, mentre la prognosi non è ottimale. «Lo scompenso cardiaco – ha precisato il clinico – dipende dalla causa che lo ha determinato, ed è una manifestazione di malattia che ha un decorso progressivamente peggiorativo. Anche la mortalità non è modesta: si verifica nel 50% dei casi affetti da scompenso cardiaco a 5 anni dalla diagnosi. A tutto ciò influiscono l’età, le comorbilità (altre patologie correlate), lo stile di vita, se i soggetti soni maschi o femmine, le condizioni di vita in genere, la cultura: è stato dimostrato che chi è più acculturato si cura di più; e tutti questi fattori determinano la “velocità di discesa” di questa curva». Ma quali le opzioni terapeutiche? A parte i casi infettivi non esiste una cura, questa patologia non guarisce ma si può gestirla al meglio superando la fase acuta, controllando il suo andamento nel miglior modo possibile. È quindi importante cominciare dalla prevenzione: modificare lo stile di vita in genere, assumere una dieta equilibrata, non fumare e fare regolare attività fisica. Sono comunque disponibili dei farmaci che vanno ad agire sulle cause che hanno determinato l’affaticamento del muscolo cardiaco: antipertensivi, le cui potenzialità consistono nel ridurre l’ipertensione aiutando il cuore nella sua funzione, i betabloccanti che rallentano i battiti cardiaci, i diuretici che contribuiscono a ridurre i liquidi in eccesso. «Altri approcci terapeutici – ha concluso il dott. Ribezzo – sono “più invasivi”, soprattutto in presenza di una vulvopatia, e tale richiede un intervento chirurgico di “riparazione” o sostituzione della valvola difettosa; oppure l’applicazione di un pacemaker dalle molteplici funzioni, o l’applicazione del defibrillatore per ripristinare il ritmo cardiaco. Ultimo provvedimento terapeutico il trapianto cardiaco».
Quanto alla relazione della dott.ssa Franca Giacchino, innazi tutto va rilevato che a volte si dà poca importanza alla funzione dei nostri reni, ma già dal 2010 veniva dimostrato quanto questi organi sono coinvolti a livello vascolare, quindi come il manifestarsi dell’ipertensione arteriosa (I.A.), talvolta come causa altre volte invece come effetto; ma anche il diabete e le cardiomiopatie. Solo recentemente, invece, è stato evidenziato come le malattie renali siano legate anche all’obesità, che costituisce il collante di altre patologie croniche degenerative. «In seguito – ha spiegato la relatrice – si sono considerati alcuni aspetti fisiologici come l’invecchiamento sulla funzione renale, come pure la gravidanza nella donna. In questo periodo pandemico è ulteriormente considerata in modo globale la salute, sottolineando l’importanza della prevenzione con la diagnosi precoce e l’accesso alle cure». Si stima che la malattia renale sia presente nel 10% della popolazione mondiale, con una prevalenza intorno al 7% in Italia (circa 4 milioni di pazienti), ed è l’11ª causa di morte, e nel 2040 si prevede che diventerà la 5ª causa. «La malattia renale – ha precisato – spesso non è riconosciuta facilmente in quanto solitamente è asintomatica (ad eccezione della calcolosi renale), ma se si riesce a diagnosticarla precocemente la si può curare rallentando il suo decorso o fermarlo. Nei casi più ostici il ricorso terapeutico è alla dialisi e, in estrema ratio, al trapianto renale. Attualmente in Italia sono 45 mila i pazienti in dialisi, e il 13% è in lista di attesa per il trapianto, e ogni anno 8 mila persone entrano in dialisi. In Piemonte i pazienti in dialisi sono circa 3.400, e ogni anno altri 700 entrano in dialisi». Ma cos’é la malattia renale? È una disfunzione alterata dell’organo, come ha ben illustrato la relatrice, che può essere stadiata in 5 gradi, e quello più severo è la cosiddetta insufficienza renale, ossia quando la sua funzione è inferiore a 15 ml. Per valutare la funzione renale è fattibile un semplice prelievo di sangue, ricercando il dosaggio della creatinina che deriva dal metabolismo muscolare, il cui valore varia da soggetto e soggetto…; ma la valutazione più completa richiede la raccolta delle urine delle ultime 24 ore. «In merito alle cause della malattia renale – ha spiegato – talune non sono modificabili come l’età, la storia familiare, la razza, etc.; altre invece sono modificabili con la terapia, una dieta e uno stile di vita più appropriati, svolgendo regolare attività fisica, prevenire l’obesità, il diabete, etc. Ed è accertato da tempo che l’obesità può influenzare lo stato di salute con ripercussioni anche sull’attività renale, le cui conseguenze possono manifestarsi in calcolosi renale, nefropatia cronica, etc. Nelle persone obese i reni sono sottoposti a un carico maggiore (iperfiltrazione) per compensare l’aumento del peso corporeo». Citando il sistema PASSI, avviato nel 2005, la relatrice ha spiegato che riguarda un’attività di monitoraggio dei programmi di prevenzione delle malattie croniche. È un progetto del ministero della Salute e delle Regioni per la sorveglianza dell’evoluzione di questi fenomeni, soprattutto nella popolazione adulta. Il consumo di frutta e verdura, va ribadito, riduce sensibilmente il rischio di contrarre malattie croniche come quella renale. Un apporto elevato si associa alla ipotensione, a minori eventi negativi cardiovascolari, e a minore incidenza di declino della funzione renale. Ma molto negativamente incide l’obesità la cui valutazione la si misura in diversi gradi. «Per quanto riguarda la sindrome metabolica – ha concluso la dott.ssa Giacchino – tale è definita da una circonferenza addominale maggiore di 94 cm. per i maschi e 80 cm. per le femmine; oltre a considerare i valori dei trigliceridi e del colesterolo (HDL), la glicemia e la pressione arteriosa. In sostanza, è una patologia caratterizzata da più fattori interconnessi: fisiologici, biochimici, clinici e metabolici che possono aumentare il rischio del manifestarsi di altre patologie, il più delle volte con conseguenze sull’attività renale». * Giornalista scientifico

domenica 12 giugno 2022

L'Intelligenza artificiale un asso contro l'infarto

Riuscire a capire da un elettrocardiogramma l’aspettativa di vita di un paziente quando è stata diagnosticata la rara sindrome cardiaca di Brugada, utilizzando tecniche di Intelligenza Artificiale. Questo è l’obiettivo del lavoro portato avanti dal gruppo di ricerca del Politecnico di Torino coordinato dal professor Eros Pasero (foto) – docente del Dipartimento di Elettronica e Telecomunicazioni-DET, che vuole mettere a disposizione dei cardiologi gli strumenti offerti dall’Intelligenza Artificiale per estrarre informazioni “nascoste” negli elettrocardiogrammi. Ora il progetto è stato selezionato dal ministero degli Affari Esteri (MAECI) tra i vincitori del bando scientifico Italia-Israele 2021-2023, che prevede un finanziamento di 300 mila euro. La sindrome di Brugada è un disturbo dell’attività elettrica del cuore che può provocare episodi di aritmia ventricolare anche letali. Questa sindrome è nota per essere una delle principali cause di morte cardiaca improvvisa e, purtroppo, non prevedibile. Soprattutto persone giovani muoiono all’improvviso senza nessuna sintomatologia particolare. La mancanza di sintomi rende spesso difficile capire se una persona è affetta da sindrome di Brugada e, a oggi, impossibile diagnosticare un evento fatale futuro. La ricerca viene portata avanti in collaborazione con l’Università di Torino, con il contributo del professor Fiorenzo Gaita, celebre aritmologo che insieme alla professoressa Carla Giustetto fornisce le competenze cardiologiche necessarie per questo tipo di studio, che verrà supportato anche dall’Università di Tel Aviv, dove tre scienziati collaboreranno con il professor Pasero per cercare di ottimizzare le tecniche di previsione. “I sistemi di Intelligenza Artificiale sono sempre più utilizzati per fare previsioni - spiega il professor Pasero - I dati di cui disponiamo per analizzare gli eventi fatali dovuti alla sindrome di Brugada sono purtroppo molto scarsi. Ma i risultati finora ottenuti con i nostri algoritmi sui primi 1000 pazienti sono molto incoraggianti portando a prevedere l’evento fatale in oltre il 90% dei casi. L’uso di nuovi algoritmi che stiamo sperimentando offrono inoltre la possibilità di vedere all’interno degli elettrocardiogrammi patologie non diagnosticate proponendo in futuro nuove prospettive diagnostiche”.

Studio dell'Università di Torino sugli incidentalomi

L’Università di Würzburg e l’Università di Torino hanno guidato il più vasto studio internazionale, retrospettivo sui tumori surrenalici di scoperta occasionale (incidentalomi). Il lavoro – avviato nel 2015 coinvolgendo centri afferenti all’ENSAT (European Network for the Study of Adrenal Tumors) di 15 diversi Paesi – ha incluso oltre 3.600 pazienti ed è stato recentemente pubblicato sulla prestigiosa rivista Lancet Diabetes & Endocrinology. Per l’Università di Torino, i professori Massimo Terzolo, nella foto, (direttore del Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche) e Giuseppe Reimondo hanno coordinato lo studio che ha dimostrato un eccesso di mortalità nei pazienti con adenoma surrenalico capaci di produrre cortisolo, il principale ormone secreto dalle ghiandole surrenaliche, in modo autonomo e non regolato. Per la prima volta, è stato dimostrato che il rischio di morte varia per età e sesso. Le donne di età inferiore ai 65 anni con secrezione autonoma di cortisolo hanno il più alto rischio relativo di morte, con un incremento stimato di oltre 4 volte, mentre gli uomini con età maggiore di 65 anni non hanno un significativo incremento di rischio. È stato anche confermato che la frequenza delle malattie cardio-metaboliche aumenta progressivamente con il grado di autonomia di cortisolo. I tumori surrenalici sono molto diffusi nella popolazione e sono spesso diagnosticati inaspettatamente nel corso di esami radiologici effettuati per altre ragioni, senza un sospetto specifico di patologia surrenalica. Tali tumori sono pertanto definiti incidentalomi surrenalici, termine che sottolinea la loro scoperta occasionale e inattesa. L’approccio diagnostico e terapeutico agli incidentalomi surrenalici rappresenta un problema clinico emergente, perché l’impiego sempre più frequente di esami d’immagine sofisticati nella pratica medica ha portato a un progressivo incremento della frequenza con la quale sono scoperti, che varia tra il 5 e il 10% nella popolazione adulta. In circa il 50% dei casi, questi tumori sono in grado di produrre cortisolo in modo autonomo, indipendente dai meccanismi di controllo centrali. Le linee guida della European Society of Endocrinology (ESE) pubblicate nel 2016 in collaborazione con ENSAT, suggerivano di considerare i pazienti con secrezione autonoma di cortisolo come a maggior rischio cardiovascolare. Questa conclusione era basata su studi precedentemente pubblicati che avevano rilevato un’associazione tra secrezione autonoma di cortisolo e alcune comorbidità tipiche della sindrome di Cushing conclamata: ipertensione, diabete, obesità e dislipidemia. Il livello di evidenza scientifica era però debole per la scarsa numerosità degli studi effettuati, che avevano valutato complessivamente solo qualche centinaio di pazienti. In particolare, erano assai limitati i dati sul rischio di mortalità associata alla secrezione autonoma di cortisolo. Per confermare o confutare se i pazienti con incidentaloma surrenalico e secrezione autonoma di cortisolo fossero a maggior rischio di mortalità, nel 2015 è stato avviato lo studio in questione che ha coinvolto l’ENSAT, un network che comprende i centri Europei di riferimento per i pazienti con tumori surrenalici, ponendo come obiettivo iniziale quello di raccogliere i dati di almeno 2.000 pazienti. “Il nostro studio – spiegano i ricercatori – rileva l'associazione tra secrezione autonoma di cortisolo e la patologia cardio-metabolica con conseguente incremento di comorbidità e mortalità, suggerendo che sono le donne più giovani di 65 anni a sopportare le peggiori conseguenze della condizione. Questa evidenza dimostra come la secrezione autonoma di cortisolo possa essere considerata una malattia di genere e rappresenta un primo passo verso l’individualizzazione della terapia”. “Tuttavia – concludono - solo studi prospettici di intervento, potranno determinare se il trattamento medico o chirurgico sia in grado di ridurre significativamente la morbilità e la mortalità cardio-metabolica di tali pazienti. Il nostro studio ha il merito di stabilire il razionale e la base statistica per poter disegnare questi indispensabili studi di intervento e di fornire indicazioni utili a identificare i pazienti a maggiore rischio con una positiva ricaduta sulla qualità e i costi della strategia terapeutica”.

venerdì 27 maggio 2022

A Vaisitti 200 mila euro per la ricerca sul linfoma di Richter

La prima edizione del Bando lanciato da Fondazione Ricerca Molinette Onlus si è conclusa con la selezione del progetto presentato dalla professoressa Tiziana Vaisitti, ricercatrice del Dipartimento di Scienze Mediche che svolge la propria attività al Molecular Biotechnology Center di Via Nizza, a Torino. Per il suo progetto diricerca Tiziana Vaisitti riceverà dalla Fondazione il contributo di 200 mila euro. Il progetto si focalizza su un linfoma raro chiamato linfoma di Richter, un tumore del sangue con un’altissima percentuale di mortalità. Questa leucemia ha caratteristiche simili alle forme di linfoma cronico frequenti nell’anziano e la scoperta di nuovi meccanismi molecolari potrà condurre a nuovi trattamenti, coerentemente con il tema centrale del bando, ovvero la ricerca che possa portare beneficio nelle patologie inevitabilmente associate all’invecchiamento. “Si tratta di una forma molto aggressiva di cancro che si sviluppa nel 10-12% dei pazienti che sono stati colpiti precedentemente dalla leucemia linfatica cronica”, spiega Tiziana Vaisitti, che si è formata principalmente a Torino, ma ha lavorato anche nel prestigioso centro di ricerca della Weil Cornell Medicine di New York. “Il contributo della Fondazione sarà centrale per aprire a nuove possibilità farmacologiche per i pazienti con Sindrome di Richter, provando a colmare un vuoto clinico significativo”. I risultati della prima edizione del Bando, sostenuto anche da un contributo della Fondazione Compagnia di San Paolo e lanciato in partnership con l’Università di Torino e l’A.O.U. Città della Salute, sono stati molto positivi, con un’alta partecipazione di ricercatori appartenenti al polo Molinette, impegnati sia nella ricerca di base traslazionale che nella clinica. “La qualità delle proposte è stata complessivamente alta – sottolinea Emilio Hirsch, direttore scientifico della Fondazione Ricerca Molinette Onlus, presieduta da Massimo Segre – e questo dimostra quale sia l’impegno profuso dai ricercatori torinesi nella ricerca sulle malattie tipicamente associate all’invecchiamento, patologie che in una popolazione in cui gli anziani sono sempre di più condizionano la qualità della vita, la tenuta del sistema sanitario e le priorità per il nostro futuro. La speranza è oggi che questo finanziamento possa contribuire allo sviluppo di nuovi famaci e brevetti, per creare concretamente nuove possibilità di cura per i pazienti e, contemporaneamente, generare possibilità di sviluppo industriale con ricadute positive sul territorio”. "L’invecchiamento è associato, da un punto di vista biologico, all’insorgenza di patologie degenerative, che portano a problemi cardiovascolari, neurologici e non ultimo al cancro", spiega la Tiziana Vaisitti. Che aggiunge: "La sindrome di Richter, di cui mi occupo da alcuni anni, è la trasformazione della leucemia linfatica cronica, la leucemia più diffusa nei paesi Occidentali con un’età media all’esordio di 65 anni, in un linfoma aggressivo. La prognosi di questo linfoma è infausta, con una sopravvivenza per i pazienti di pochi mesi. Nonostante le cellule di questa leucemia siano state scoperte da Maurice Richter nel 1928, ad oggi le possibilità terapeutiche sono drammaticamente limitate. Pertanto il progetto ha lo scopo di individuare in queste cellule dei meccanismi che possano essere colpiti da farmaci. L’idea innovativa è di capire meglio come bersagliare specificità metaboliche che rendono le cellule di Richter diverse da quelle sane e che potrebbero essere alla base della loro resistenza ai farmaci attualmente disponibili. Questo studio permetterà quindi di conoscere meglio i meccanismi molecolari di malattia, così da definire nuove strategie terapeutiche personalizzate". Fondazione Ricerca Molinette è un ente senza scopo di lucro, nato nel 2001 dall’iniziativa congiunta dell’Università degli Studi di Torino e dell’Azienda Ospedaliero Universitaria “Città della Salute e della Scienza”. L’obiettivo della Fondazione è sviluppare la ricerca scientifica all’interno della “Città della Salute e della Scienza” di Torino, collaborando con l’ospedale per migliorare il benessere dei pazienti e la qualità delle cure. In particolare, la Fondazione si impegna a sostenere la ricerca traslazionale, cioè volta a trasferire in ambito clinico i risultati della ricerca di laboratorio, attraverso lo sviluppo di nuovi farmaci e terapie. I progetti che la Fondazione ha scelto di prediligere sono quindi una sorta di ponte tra la scienza e la medicina, rispondono ad esigenze reali e mettono al centro il paziente e il suo benessere. La Fondazione sostiene inoltre l’Ospedale nei suoi bisogni concreti, nel quotidiano e durante le emergenze. Durante l’emergenza Covid-19, grazie alla Campagna “Insieme in Prima Linea” sono stati raccolti e devoluti all’Ospedale Molinette e alla Città della Salute e della Scienza oltre 300.000 euro, destinati a dispositivi di protezione individuale, dispositivi medici e al potenziamento del Laboratorio di Microbiologia e Virologia. Dal 2001 ad oggi sono stati sostenuti oltre 530 ricercatori, per circa 15 milioni di euro erogati e oltre 200 pubblicazioni scientifiche su riviste internazionali.

mercoledì 18 maggio 2022

Piemontesi in sovrappeso, gran fumatori e sedentari

Pubblichiamo uno stralcio dello studio di Mauro Zangola, economista ed editorialista, sul “Benessere equo e sostenibile dei cittadini piemontesi”.
di Mauro Zangola* Gli indicatori esaminati mostrano chiaramente come i cambiamenti nel profilo del benessere in Piemonte, come nel resto del Paese, siano stati molti nella direzione del progresso quanto nella persistenza di aree di criticità anche profonde Fra i fattori che abbiamo esaminato quelli che hanno influito positivamente sul benessere dei piemontesi soprattutto dopo il forte impatto negativo dovuto alla pandemia sono: 1. la ripresa della speranza di vita dopo il tonfo del 2020 dovuto all’eccesso di mortalità; 2. il miglioramento della salute come testimoniano la  riduzione degli eccessi di peso, di alcol e della sedentarietà e la sostanziale stazionarietà degli eccessi di fumo; 3. la ripresa dell’occupazione, anche se c’è ancora molto da fare per recuperare i livelli del 2019; 4. il miglioramento della digitalizzazione. Fra i fattori che al contrario hanno inciso negativamente sul benessere dei piemontesi segnaliamo: 1. la leggera contrazione del reddito disponibile e l’aumento delle persone a rischio povertà e in situazioni di grave deprivazione materiale e abitativa; 2. la difficoltà di conciliare il lavoro con la cura dei figli; 3. l’inquinamento dell’aria e le preoccupazioni per i cambiamenti climatici e la perdita di biodiversità; 4. la persistente insoddisfazione per la qualità di tutti i servizi di mobilità; 5. la ripresa dei furti predatori (furti in abitazione, borseggi e rapine) che rimangono comunque al di sotto dei livelli registrati prima dell’inizio della pandemia. Fra i fattori che continuano a segnalare aree di criticità assume un rilievo crescente la scarsa fiducia dei piemontesi nella politica e nelle istituzioni democratiche dalla quale si salvano solo le Forze dell’Ordine e la Croce Rossa. Dall’analisi condotta emergono elementi di preoccupazione, problemi vecchi e nuovi ma anche la volontà e la capacità dei piemontesi di reagire in un contesto economico e sociale tutt’altro che facile e fattibile di deterioramento. L’analisi condotta in questo studio ci ha posti di fronte anche a una dura realtà: i cittadini lombardi , veneti ed emiliano-romagnoli stanno meglio dei piemontesi. Il confronto fra i livelli degli indicatori nelle quattro regioni non lascia dubbi sul fatto che il Piemonte deve fare molto di più se vuole raggiungere un livello di benessere paragonabile a quello delle altre regioni messe a confronto. Gli elementi sui quali lavorare ci sono tutti; serve una presa d’atto oggettiva e la determinazione necessaria per eliminare o ridurre le distanze. Riportiamo qui di seguito il commento degli indicatori scelti all’interno dei domini utilizzati dall’Istat per misurare il benessere equo e sostenibile dei piemontesi, in particolare per quanto riguarda la salute. Speranza di vita. L’eccesso di mortalità ha comportato nel 2020 una riduzione della speranza di vita dalla nascita di oltre un punto (da 82,9 del 2019 a 81,4 nel 2020). Il dato del 2021 fa registrare tuttavia una ripresa con un valore pari a 82,4 in linea con la media nazionale e leggermente inferiore ai valori di Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna. Rispetto al 2005 la speranza di vita dei piemontesi è aumentata di circa due anni (da 80,6 a 82,4). Eccesso di peso. Nel 2021, il 39,3% della popolazione piemontese di 18 e più anni è in sovrappeso. Rispetto al 2020, la quota dei piemontesi in eccesso di peso si riduce di 3 punti percentuali e si attesta anche al di sotto del valore del 2019 (41,2%) e appena sopra il valore più basso registrato nel 2005 (38,7%). La quota delle persone in sovrappeso registrata in Piemonte nel 2021 è al di sotto dei valori registrati nelle regioni prese a riferimento. Eccesso di fumo. Cresce anche se di poco la quota di fumatori di 14 anni e più, passando dal 20,1% del 2020 al 21,3%: un valore in linea con quelle degli ultimi 15 anni ma decisamente più alto di quelli registrati in Lombardia (18,8%), Emilia-Romagna (18,5%) e soprattutto in Veneto dove la percentuale dei fumatori scende al 15,8%. Eccesso di alcool. L’abitudine al consumo a rischio di bevande alcoliche ha riguardato nel 2021 il 17,8% dei piemontesi con più di 14 anni: un valore in linea con quello del 2020 (17,6%), con i valori registrati negli ultimi 10 anni, ma decisamente più basso di quello del 2005, anno in cui il 26,2% dei piemontesi era un abituale consumatore di prodotti alcolici. Sedentarietà. Il 29% dei piemontesi con più di 14 anni è sedentario, non pratica cioè sport né continuamente né saltuariamente nel tempo libero. Dopo l’aumento dei sedentari registrato fra il 2019 e il 2020, il 2021 fa registrare una riduzione. I piemontesi, soprattutto i più giovani (tra i 14 e i 19 anni) sono comunque molto più sedentari dei lombardi e dei veneti. In queste regioni infatti la quota dei sedentari scende al 22%.

Gontero sulle malattie prostatiche: falsi miti e realtà Ciccarelli: Donne e uomini uguali di fronte alle malattie?

di Ernesto Bodini*
Gli incontri di lunedi 9 maggio, organizzati a Torino dall'Associazione Più Vita in Salute, sono stati dedicati a due argomenti di notevole attualità, quali “La prevenzione delle malattie prostatiche: falsi miti e realtà”, a cura del prof. Paolo Gontero (foto), direttore della Clinica Urologica della A.O.U. Città della Salute e della Scienza di Torino (ospedale Molinette); e “Donne e uomini sono sempre uguali di fronte alle malattie?”, a cura della dott.ssa Enrica Ciccarelli, endocrinologa all’ospedale Martini di Torino, e referente per la Medicina di Genere all’Asl Città di Torino. Il primo relatore ha anzitutto ricordato che la prostata (o ghiandola prostatica) è un piccolo organo che fa parte dell’apparato genitale maschile, ed è posizionata nella pelvi, appena sotto la vescica e davanti al retto e che circonda il tratto superiore dell’uretra, la cui principale funzione consiste nel contribuire a produrre lo sperma rilasciato durante l’eiaculazione. Quando vi è una chiara indicazione viene asportata solitamente (nel 95% dei casi) in chirurgia robotica, metodica particolarmente indicata proprio per la posizione anatomica in cui si trova. «Talvolta – ha spiegato il clinico – ne consegue un problema di incontinenza in quanto viene temporaneamente leso il muscolo del pavimento pelvico che permette la continenza. In caso di ipertrofia prostatica benigna (IPB) nel 70% dei casi si procede alla riduzione della ghiandola, soprattutto se tali pazienti non rispondono alle terapie mediche; trattasi di un intervento con meno effetti “dannosi” sulla continenza delle urine, oltre ad intervenire in presenza di un tumore prostatico». Ma altra implicazione a seguito di questi interventi riguarda la sfera della sessualità, in quanto può verificarsi un danno permanente all’erezione per la necessaria rimozione dei nervi ricorrenti. Va detto che nel 70% dei casi questa ghiandola tende ad aumentare di volume con relativi sintomi, come la minzione frequente (specie di notte), e 1 soggetto su 9 risulta affetto da tumore della stessa clinicamente rilevante; nel 20% dei casi si manifesta la prostatite (infiammazione) e ciò può avvenire a qualsiasi età; anche se questa è una patologia non grave può diventare cronica e provocare diversi disturbi. «Tuttavia, una prostata ingrossata – ha precisato il clinico – non significa necessariamente malattia, ma una situazione parafisiologica, tant’è che talvolta alcuni pazienti sono asintomatici e asportare la ghiandola per una questione meramente di “normalità”, non è un obiettivo sufficiente, ad eccezione di eventuali complicanze o sintomi refrattari alle terapie; in questi casi l’obiettivo è quello di migliorare la qualità della vita». Ma la IPB aumenta il rischio di cancro? È il timore di molti uomini, ma secondo il relatore tale timore è pressoché infondato, perché l’ingrossamento solitamente si manifesta dopo i 50 anni di età e il tumore prostatico tendenzialmente aumenta in una età più avanzata, ciò rispetto all’IPB che si ingrossa nella parte centrale che circonda il canale che porta all’urina. Il tumore non ha nulla a che vedere con l’IPB in quanto insorge in una zona diversa dalla prostata stessa, e questo nell’80% dei casi, e solo il 20% dei tumori può casualmente insorgere nella zona prostatica. Ma quali le considerazioni in proposito? «Avere la prostata ingrossata – ha precisato il cattedratico – non aumenta il rischio di avere un tumore prostatico -, e se ciò si manifesta è puramente casuale; inoltre, eliminarla, anche se ingrossata, non esula totalmente dalla possibilità di contrarre un tumore. Quindi, con la diagnosi precoce il tumore prostatico viene individuato indipendentemente dalla presenza di sintomi relativi alla minzione che sono causa della IPB. Per la sua riduzione le terapie sono oggi meno invasive, grazie alle diverse tecniche disoponibili come i laser, alcuni dei quali sono particolarmente efficaci. In ogni caso, è sempre utile la prevenzione». Il relatore ha anche ricordato che la prostatite può manifestarsi a tutte le età degli adulti, e anch’essa non favorisce l’insorgenza di un tumore alla ghiandola: il contrario è un falso mito… «Ai fini della prevenzione – ha suggerito il prof. Gontero – è utile prevenire l’obesità, adottare una corretta alimentazione, fare attività sportiva, e non è certo controindicato andare in bicicletta (la controindicazione a questo riguardo è un altro falso mito), ma con qualche accorgimento in presenza di infiammazione della ghiandola. Per quanto riguarda l’esame del PSA (acronimo di “Antigene Prostatico Specifico”, è una proteina che viene prodotta dalle cellule della ghiandola prostatica, ndr) , il cui valore aumenta nell’80% dei casi in presenza del tumore prostatico. Controllare il valore del PSA serve a migliorare la sopravvivenza al fine di poter diagnosticare un tumore in anticipo; quindi utile l’equazione: visita medica, esame Psa e screening, ossia controlli nel tempo. E ciò anche se lo screening non è obbligatorio per il carcinoma prostatico». ENRICA CICCARELLI Relativamente alla cosiddetta Medicina di Genere, attualmente tale aspetto sta suscitando un certo interesse, in qunto è una problematica che riguarda non solo il paziente in quanto tale, ma anche il processo organizzativo inerente le malattie e le terapie. Ma cosa si intende per medicina di genere, o meglio, Genere Specifica? «Genere e Sesso – ha spiegato la dott.ssa Enrica Ciccarelli – sono due termini sovente usati come sinonimi, e in parte lo sono… Il Genere si diversifica in quanto non solo è questione estetica che differeenzia l’uomo dalla donna, ma nelle differenze di genere lo sono anche dal punto di vista socio-culturale, come ad esempio nel comportamento. Il Genere è comunque un termine in uso dal 1968, e si hanno tre componenti che identificano le influenze ormonali, l’assegnazione del sesso alla nascita, e anche le influenze dell’ambiente come pure quelle psicologiche». In effetti, fino al XVIII secolo si ha l’identificazione della donna come aspetto ad “uso e “consumo” sessuale e riproduttivo; nel 1998 l’Oms ha pubblicato una “sfida di genere” per le nazioni e le organizzazioni internazionali, un invito a migliorare la valutazione dei fattori di rischio che coinvolgono la salute delle donne, lo sviluppo di strategie preventive per ridurre l’impatto delle malattie che affliggono maggiormente le donne, e ad uno sforzo maggiore per comprendere perché gli uomini muoiono prima delle donne. «Con l’ottica della differenza che può essere evidenziata per tutti i tipi di patologie – ha sottolineato la relatrice – si comincia a capire qualcosa di più, a cominciare, ad esempio, dai problemi cardiovascolari (CV), e le patologie che colpiscono l’uomo e la donna in modo diverso…Le malattie CV sono considerate ancora prevalenti nel sesso maschile, mentre sono sottostimate nella donna che spesso manifesta sintomi diversi dall’uomo. Va precisato e considerato che a riguardo ci sono fattori multidimensionali: psico-sociali, fisiologici, anatomici e biologici che contribuiscono alla diversa sintomatologia tra uomo e donna. Quindi, la patologia prevalente nella donna è cardiovascolare e non quella relativa al seno come comunemente si tende a pensare. In questo contesto, oggi si può fare molto in considerazione del fatto che un terzo dei decessi a livello mondiale avviene proprio per problemi cardiovascolari, metà dei quali riguardano le pazienti over 50, ossia dopo la menopausa». Da tutto ciò si è appreso che esistono delle differenze di genere, e che la donna rappresenta una condizione equiparabile all’uomo ma con dieci anni di ritardo… Tutte queste differenze sono date dal fatto che per certi versi si considera più l’uomo rispetto alla donna, anche perché quest’ultima si presenta meno… a cominciare dal fatto della differente sintomatologia in diverse malattie, e la stessa tende a trascurarsi un po’ di più rispetto all’uomo. Un altro problema da considerare è il diabete, patologia sempre più in evoluzione con le relative complicanze, sia quello di tipo 1 che di tipo 2 (mellito); e per prevenire tale evoluzione patologica è necessaria una capillare prevenzione. «Anche in questo caso – ha precisato la relatrice – si manifesta una certa differenza tra uomo e donna e, tra i diversi fattori coinvolti, sono da rilevare quelli ormonali, l’obesità addominale, l’ipertensione, elevati livelli di colesterolo, maggiore ipercoagulabilità, etc. Inoltre, la donna è meno propensa a sottoporsi ad esami di controllo, come pure per la donna è differente il trattamento terapeutico, pur rispettando il protocollo dello stesso». La relatrice ha anche introdotto il problema relativo all’Endocrine Disruptor, ossia l’alterazione della funzione d’organo: eccesso o riduzione di produzione di ormoni, modifica di un ormone rispetto ad un altro, alterazioni nel metabolismo ormonale, promozione di morte cellulare prematura, legame ad ormoni essenziali, accumulo di organi che producono ormoni, etc. «È pure da considerare – ha aggiunto – l’associazione con i micobatteri (elementi relativi alla tubercolosi, ndr), e un relativo studio ha rilevato che nelle donne l’associazione di inquinanti ambientali con micobatterio sia molto più a rischio di creare patologie come la tubercolosi nelle donne, di cui ci si sta approfondendo perché la risposta immunitaria è diversa da uomo a donna: nel genere la donna risponde diversamente perché è più “vivace” dal punto di vista immunitario». In merito all’infezione da Covid-19 ha spiegato che per quanto riguarda il contrarre questa malattia e le difese immunitarie, c’è qualche differenza tra uomo e donna. «La possibilità di sviluppare la malattia – ha precisato la dott.ssa Ciccarelli – è praticamente uguale, ma nell’uomo esiste una maggiore severità indipendentemente dall’età: il rischio di morte di un maschio che contrae il coronavirus è 2,4 per la donna. Per quanto riguarda invece l’osteoporosi anche l’uomo non ne è immune, ma è opportuno verificare a fondo quando si manifesta la patologia, sia nell’uomo che nella donna, con la precisazione che in caso di frattura del femore, ad esempio, l’uomo è più vulnerabile». Dal punto di vista psichiatrico la relatrice ha precisato che la depressione si manifesta più frequentemente nella donna, ma in caso di suicidio nell’uomo l’incidenza è molto più elevata in quanto non viene considerato a sufficienza l’aspetto della crisi depressiva; inoltre nella donna il consumo di farmaci è maggiore rispetto all’uomo, come pure in essa sono maggiori gli effetti collaterali legati al dosaggio assunto e alla risposta dell’organismo (metabolismo). «Vi è dunque – ha concluso la dott.ssa Ciccarelli – sempre più la necessità di capire i meccanismi che si manifestano nelle malattie e nelle terapie tanto nell’uomo quanto nella donna, sia dal punto di vista clinico che economico con l’quazione: appropriateza, cura-guarigione e risparmio». * Giornalista scientifico

domenica 15 maggio 2022

Lo stato di salute della nostra industria farmaceutica

La crescita del settore farmaceutico italiano, primo in Europa per il numero di imprese, rischia di frenare per la carenza di materie prime e per i colli di bottiglia che gravano su tutta la catena del valore. È l’allarme lanciato dall’”Osservatorio sul sistema dei farmaci generici”, realizzato da Nomisma per Egualia (già Assogenerici). Nel panorama manifatturiero nazionale, il comparto farmaceutico si contraddistingue per una preponderanza di imprese di medie e grandi dimensioni, rispetto agli altri comparti. Se sul totale delle imprese manifatturiere l’81,3% ha meno di 10 addetti, la percentuale scende al 37% per le imprese del farmaco, mentre la somma delle medie e grandi imprese raggiunge il 42,1%. Fra l'altro, alle imprese farmaceutiche con oltre 250 addetti si deve l’82% del fatturato, una quota di gran lunga superiore rispetto a quella del totale della manifattura, che si attesta al 46,1%. Sommando alle grandi imprese le medie, la quota di fatturato realizzato dalle aziende con oltre 50 addetti raggiunge il 96,9%, contro il 71,4% del totale manifatturiero. Il settore farmaceutico, comunque, è in buona salute. Lo si evince, innanzitutto, dal dato occupazionale, che vanta una crescita ininterrotta dal 2014, pari al 13% in sei anni. Al 2020, nelle imprese farmaceutiche localizzate in Italia sono impiegati circa 67.000 occupati, che rappresentano l’1,7% dei lavoratori del complesso del manifatturiero. Focalizzando l’attenzione sull’ultimo decennio, il comparto è uno dei pochi (insieme ad alimentare, macchinari e apparecchiature e chimica) a segnare un incremento occupazionale. La farmaceutica cresce, infatti, del 3,6%, in controtendenza rispetto alla manifattura che registra una perdita del 5,7% della propria base occupazionale. Un ulteriore elemento peculiare del settore farmaceutico è l’elevato valore aggiunto per addetto:139 mila euro nel 2020, di gran lunga superiore a quello degli altri comparti, davanti alla chimica (92 mila euro per occupato) e più che doppio rispetto alla media manifatturiera (58 mila euro). Tuttavia, rispetto all’anno precedente c' stato un calo del 5,7%, frutto della contrazione del valore aggiunto da un lato e della crescita del numero degli occupati dall’altro. In ogni caso, l’incidenza della quota di produzione farmaceutica su quella totale manifatturiera è aumentata, passando dal 2,3% del 2008 al 2,7% del 2019. Inoltre, a differenza di altri settori produttivi, le imprese del farmaceutico non hanno smesso di investire. L’Osservatorio, infatti, ha rilevato una buona propensione all’investimento, che nel decennio ha comportato una crescita dell’incidenza degli investimenti farmaceutici sugli investimenti totali manifatturieri di mezzo punto percentuale (dal 2,9% del 2008 al 3,4% del 2019). Anche dal punto di vista dell’export, il settore farmaceutico si conferma in controtendenza ed è stato l’unico, insieme a quello alimentare, a segnare nel 2020 una crescita (+3,8% rispetto al 2019) che lo ha confermato il sesto comparto dell’export nazionale per valore. Al 2020, le esportazioni del farmaceutico valgono 33,9 miliardi di euro, con un tasso di crescita del 184% nei dodici anni presi in esame. Così, se nel 2008 le esportazioni di settore pesavano per il 3,4% su quelle manifatturiere, nel 2020 tale valore risulta più che raddoppiato, superando la soglia dell’8%. In particolare, le imprese di farmaci generici crescono di più di quelle che producono farmaci non generici. Osservando l’andamento del volume d’affari delle imprese di farmaci generici si nota una crescita strutturale tra il 2014 e il 2019: i ricavi sono aumentati (+8% ogni anno, +47,9% complessivamente), attestandosi nel 2019 a oltre 4,3 miliardi di euro. Le imprese di farmaci non generici, invece, hanno segnato una crescita meno vigorosa (+21,8% nel periodo 2014-2019 e +4,5% di media annuale). Una dinamica simile si registra osservando l’andamento dell’occupazione: nel periodo 2014-2019 l’incremento supera il 31% tra le imprese di farmaci generici, mentre si ferma al 9,3% per i non generici. I dipendenti delle imprese di farmaci generici a fine periodo sono oltre 8.600. Nonostante un volume di ricavi che cresce a un ritmo più sostenuto, le imprese di farmaci generici presentano però una minor capacità di generare redditività rispetto alle società che si occupano di farmaci non generici. Il margine operativo lordo registra una tendenza, rispetto ai ricavi, strutturalmente meno performante per le imprese di farmaci generici oscillando nel periodo 2014-2019 tra il 10,6% del 2019 e l’11,3% ( 2017). Le imprese che si occupano di farmaci non generici, invece, mostrano valori costantemente superiori, attestandosi al 15,1% nel 2019, segnalando una distanza di redditività che tende ad amplificarsi. Nel 2020 la spesa farmaceutica, pubblica e privata, in Italia ammontava a 20,5 miliardi di euro, in diminuzione del 2,6% rispetto all’anno pre-pandemico (2019), allineandosi a valori simili a quelli del 2018. La spesa territoriale pubblica è stata pari a 11,9 miliardi di euro, registrando un decremento del 3% rispetto al 2019. Di poco inferiore la flessione subita dalla spesa privata, che nel 2020 si è assestata a 8,7 miliardi (-2%). I risultati realizzati nell’ultimo anno non hanno impattato sulle dinamiche di medio periodo, lasciando inalterato il trend che vede una diminuzione della spesa pubblica a favore di quella privata sostenuta dai cittadini: dal 2011 al 2020, l’incidenza della spesa pubblica sul totale è scesa dal 63% al 58%, con un conseguente guadagno della quota privata di circa 5 punti percentuali. L’analisi per tipologia di farmaci venduti mette in evidenza un dato interessante: fra il 2009 al 2020 sono aumentate le vendite di generici del 119% a volumi e del 148% a valori. Parallelamente si è verificata una graduale diminuzione della presenza di farmaci coperti da brevetto, le cui confezioni sul mercato si sono ridotte di circa 328 milioni (-65%), con una contrazione di valore di circa 5,6 miliardi di euro (-63%).

sabato 14 maggio 2022

Prevenzione troppo trascurata dagli italiani

La prevenzione è un elemento chiave per la salute, tuttavia ancora molto trascurata dagli italiani. Le donne sono più attente degli uomini (appena il 15% dei maschi ha svolto una visita andrologica nell'ultimo anno), tuttavia solo una italiana su due è andata dal ginecologo negli ultimi 12 mesi e quasi una su tre sembra evitare questo controllo di base, a prescindere dalla pandemia. È quanto emerge da un'indagine dell'Osservatorio Sanità di UniSalute, svolta in collaborazione con Nomisma e riportata, in sintesi, dall'Ansa. Dall'indagine emerge come la prevenzione non sia una abitudine ancora acquisita dalle donne: il 16% dichiara di non fare una visita ginecologica da molti anni, il 13% riferisce addirittura di non averla mai fatta. Anche un esame importante come il Pap test è stato effettuato nell'ultimo anno da meno di una donna su tre (31%); nella fascia d'età tra i 30 e i 44 anni il 30% delle donne dichiara di non averlo mai fatto o di averlo fatto molti anni fa. In merito alla frequenza dei controlli per la prevenzione del tumore al seno, solo una donna su quattro ha svolto un'ecografia al seno nell'ultimo anno e il 44% delle donne tra i 30 e i 44 anni non si è mai sottoposta a questo esame. Tecniche preventive come l'autopalpazione sono praticate con regolarità solo dal 29% delle donne italiane. Per quanto riguarda la mammografia, il 23% della donne tra i 45 e i 54 anni dichiara di averla effettuata molti anni fa o di non averla mai effettuata, nonostante sia consigliata come controllo regolare a tutte le donne sopra i 40 anni. Non va meglio per gli uomini: il sondaggio rivela come appena il 15% sia stato dall'andrologo nell'ultimo anno. Inoltre – riferisce ancora l'Ansa - un esame importante per la salute della prostata, ossia il dosaggio del PSA, è stato effettuato nell'ultimo anno solo dal 42% degli uomini tra i 55 e i 65 anni, dato che scende al 27% nella fascia d'età 45-54. Ad accomunare donne e uomini la poca attenzione alla salute della propria pelle: secondo la ricerca di UniSalute il 54% degli uomini e delle donne non ha mai svolto una visita dermatologica per la valutazione dei nei. Prevenzion

venerdì 13 maggio 2022

Gli italiani promuovono il personale medico e paramedico

Continua a crescere la percentuale di persone che hanno dovuto rinunciare a visite specialistiche o esami diagnostici di cui avevano bisogno per problemi economici o legati alle difficoltà di accesso al servizio, passando dal 6,3% del 2019 al 9,6% nel 2020 e all’11% nel 2021. Il 53,3% di chi rinuncia riferisce motivazioni legate alla pandemia da Covid-19. Lo ha comunicato l'Istat, l'istituto nazionale di statistica. Dal punto di vista della dotazione di personale sanitario, si è registrato un leggero incremento di medici e personale paramedico, indispensabili per far fronte all’emergenza sanitaria: nel 2021 ci sono 4,1 medici ogni 1.000 residenti (erano 4,0 nel 2020); infermieri e ostetriche passano al 6,6 per 1.000 residenti nel 2020 (erano il 6,5 nel 2019). Queste figure riscontrano un’ampia fiducia da parte della popolazione: circa il 50% dei residenti di 14 anni e più ha dato loro un punteggio di fiducia uguale o superiore a 8 (su una scala da 0 a 10). Nel 2020 il 7,3% delle persone si è spostato in un'altra regione per effettuare un ricovero. Le restrizioni imposte dalla pandemia, che hanno impedito gli spostamenti fuori dalla propria regione e il sovraccarico dei servizi ospedalieri dovuto ai pazienti Covid hanno comportato un calo di 1 milione e 700mila ricoveri di pazienti residenti fuori regione rispetto al 2019, anno in cui il tasso di emigrazione ospedaliera era pari all’8,3%. Nel 2021 il 9,4% delle persone di 14 anni e più ha utilizzato assiduamente i mezzi pubblici.

giovedì 12 maggio 2022

Toti: in Liguria presto altri 700 infermieri

“La professione dell’infermiere costituisce un cardine del nostro sistema sanitario: lo abbiamo visto durante l’emergenza Covid, con il personale infermieristico in prima linea nei nostri ospedali e lo vedremo anche in futuro con l’attuazione del Piano nazionale di Ripresa e Resilienza e il potenziamento della risposta territoriale ai bisogni di salute dei cittadini. La nostra priorità è stata e continua a essere la valorizzazione di questa professione: dalla creazione dei reparti a conduzione infermieristica, dal sostegno al master per l’infermiere di famiglia che è nato a Genova fino ai concorsi che abbiamo realizzato, il primo nel 2017 (con oltre 1.100 assunzioni effettuate) e il secondo per 700 posti a tempo indeterminato che vedrà la fase di selezione concludersi entro l’estate per poi avviare subito le assunzioni”. Così Giovanni Toti, presidente e assessore alla Sanità della Regione Liguria, intervenuto alla presentazione delle iniziative previste in occasione della Giornata Internazionale dell’Infermiere, che si celebra ogni anno il 12 maggio. In Liguria gli iscritti all’Ordine delle Professioni Infermieristiche sono 14.624 (nello Spezzino 2.082, nell’Imperiese 1.604, nel Savonese 2.602, nell’area metropolitana genovese 8.336); di questi, 10.903 sono impiegati nel servizio sanitario regionale. A questi numeri si aggiungeranno i 700 infermieri che saranno assunti nei prossimi mesi attraverso il concorso in atto, le cui procedure di selezione si concluderanno entro l’estate. Il presidente del Coordinamento regionale Ordini Professioni Infermieristiche Liguria Carmelo Gagliano evidenzia “la necessità per il prossimo anno accademico di lavorare con l’Università di Genova per garantire un aumento dei posti al corso di laurea di infermiere così da soddisfare quanto previsto dal Pnrr in relazione alle figure dell’infermiere di famiglia e di comunità”.

martedì 10 maggio 2022

Quando è importante lavarsi bene le mani

Il 5 maggio è stata la Giornata mondiale per l’igiene delle mani, promossa dall'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) per celebrare l’importanza di questo gesto semplice ma essenziale per la prevenzione delle malattie infettive, sia in comunità che nelle strutture di assistenza e cura. Dal 2005, ogni anno l’OMS ha indicato uno slogan che potesse guidare la campagna per l’igiene delle mani a livello globale. Per la giornata del 5 maggio 2022, il tema proposto dall’OMS è stato incentrato sul miglioramento del clima o cultura della sicurezza e della qualità di una struttura attraverso l'igiene delle mani, atto fondamentale nella prevenzione e nel controllo delle infezioni. Slogan della campagna OMS di quest'anno: “Uniti per la sicurezza: igienizza le tue mani!”. In ambito assistenziale e in comunità, lavarsi le mani correttamente, con acqua e sapone per almeno 40-60 secondi, oppure, se non disponibili, igienizzarle con soluzione idroalcolica per almeno 20-30 secondi (fonte WHO), impedisce la trasmissione dei microrganismi responsabili di molte malattie infettive, dalle più frequenti, come l'influenza e il raffreddore, a quelle più severe, come le infezioni correlate all’assistenza (ICA). La campagna 2022 invita tutte le persone a lavorare insieme per influenzare la cultura della sicurezza, attraverso la conoscenza e la pratica dell’igiene delle mani, per raggiungere l'obiettivo comune di sicurezza e qualità nell'organizzazione sanitaria. L'igiene delle mani è il gesto quotidiano più efficace per ridurre la diffusione di agenti patogeni e prevenire le infezioni, compresa l’infezione da Covid-19. Si raccomanda di igienizzare le mani prima: di assumere farmaci o somministrare farmaci ad altri, di toccarsi occhi/naso/bocca (per es., per fumare, usare lenti a contatto, lavare i denti, etc.); di mangiare. Prima e dopo aver assistito/toccato una persona malata, aver medicato o toccato una ferita, aver cambiato il pannolino di un bambino, aver maneggiato alimenti, soprattutto se crudi, aver usato i servizi igienici, ver toccato un animale. Dopo: aver toccato altre persone, aver frequentato luoghi pubblici (negozio, ambulatorio, stazione, palestra, scuola, cinema, bus, ufficio, etc.) e, in generale, appena si rientra in casa; aver maneggiato la spazzatura, aver utilizzato soldi. Si ricorda, in particolare, che è buona abitudine tossire/starnutire nella piega del gomito, per non contaminare le mani con cui successivamente si possono trasmettere i propri microrganismi toccando ad es. il cellulare, la maniglia di una porta, etc. Inoltre, è raccomandato l'utilizzo di fazzoletti monouso per soffiarsi il naso, possibilmente eco-sostenibili, da smaltire nei rifiuti e ricordare di lavarsi le mani, subito dopo l’uso. L’igiene delle mani svolge un ruolo fondamentale per la nostra salute e quella delle altre persone, soprattutto negli ambienti assistenziali. Le infezioni correlate all'assistenza sono, infatti, un problema globale che colpisce circa il 7-10% dei pazienti, a seconda del Paese. In Italia, si stima che il 5-8% dei pazienti ricoverati contrae un’infezione ospedaliera (fonte Istituto Superiore di Sanità). Non tutte le infezioni correlate all'assistenza sono prevenibili, ma si stima che almeno la metà potrebbero essere evitate. In tutti i luoghi di assistenza o cura (dall’inglese point of care, POC), è importante lavare le mani con acqua e sapone o igienizzarle con una soluzione idroalcolica. Nel Point of care (POC): si incontrano tre elementi: il paziente, l’operatore sanitario, l’assistenza o il trattamento terapeutico che prevede il contatto con il paziente o l'ambiente circostante. L'igiene delle mani deve essere eseguita nei cinque momenti indicati dall'OMS, in cui si presta assistenza o cura. I prodotti per l'igiene delle mani (ad es. soluzioni a base di alcol, acqua, sapone, asciugamani) devono essere facilmente accessibili e il più vicino possibile al punto di cura, senza dover lasciare la zona paziente. La pratica dell’igiene delle mani nell'ambito dell'assistenza sanitaria previene le infezioni correlate all'assistenza e la trasmissione di microrganismi potenzialmente patogeni sia nel setting assistenziale che in comunità. La prevenzione delle infezioni correlate all'assistenza è di fondamentale importanza anche per ridurre le infezioni resistenti ai farmaci e la diffusione dei microrganismi resistenti che le provocano.

venerdì 6 maggio 2022

Indagine Istat sui fattori di rischio per la salute

Nel 2021, in Italia, il 19% della popolazione di 14 anni e più dichiara di essere fumatore (9,958 milioni di persone), il 24% di aver fumato in passato e il 55,7% di non aver mai fumato. Lo ha comunicato l'Istat, aggiungendo che è pari al 46,2% la popolazione di 18 anni e più in eccesso di peso (34,2% in sovrappeso, 12% obeso), mentre il 50,9% è in condizione di normopeso e il 2,9% è sottopeso. L'Istituto nazionaledi statistica ha anche riferito che il 66,3% della popolazione di 11 anni e più ha consumato almeno una bevanda alcolica nel corso dell’anno: il 54,4% beve vino, il 50,4% consuma birra e il 45,4% aperitivi alcolici, amari, superalcolici o liquori. Inoltre, 19,667 milioni di persone (il 33,7% della popolazione di 3 anni e più) dichiarano di non praticare né sport né attività fisica nel tempo libero. Si osservano marcate differenze di genere: è sedentario il 36,9% delle donne contro il 30,3% degli uomini. L'Istat ha reso disponibili le informazioni su abitudine al fumo, eccesso di peso, consumo di alcol e sedentarietà con l’obiettivo di offrire una lettura più completa delle dinamiche sociali in atto. I dati sono stati raccolti attraverso l’indagine Multiscopo “Aspetti della vita quotidiana”. Il campione comprende circa 19.800 famiglie per un totale di circa 45.600 individui. Le interviste sono state effettuate tra marzo e maggio 2021.

Prevenzione delle malattie prostatiche e endocrinologia nuovi temi degli incontri dei Lunedì della Salute a Torino

“La prevenzione delle malattie prostatiche: falsi miti e realtà” è il tema del primo dei due incontri dei “Lunedì della Salute” in programma a Torino, dalle 16,15 alle 18,30, nel Centro Biotecnologie Molecolari dell'Università di Torino, in via Nizza 52, a ingresso libero. Ne parla Paolo Conterno, medico specialista in Urologia, direttore della clinica urologica della Città della Salute e della Scienza, alle Molinette. Il secondo incontro, nello stesso pomeriggio, è intitolato “Donne e uomini sono sempre uguali di fronte alle malattie?”. Relatore è Enrica Ceccarelli, medico specialista in endocrinologia, responsabile di Endocrinologia all'ospedale Martini, presidente dell'associazione Donne medico di Torino. Gli incontri, tutti a ingresso libero, sono organizzati dall'Associazione “Più Vita in Salute”, presieduta da Roberto Rey e coordinata da Giovanni Bresciani.

mercoledì 4 maggio 2022

Per il benessere degli anziani non autosufficienti

Secondo il rapporto 2020 dell'Istat, in Italia gli ultraottantenni con gravi limitazioni di autonomia nelle attività quotidiane fondamentali e in quelle strumentali sono circa 2,3 milioni. A questo dato si aggiunge che in Italia gli ultrasessantenni sono il 23% dei cittadini, la quota più elevata in Europa. Le stime al 2030 a al 2050 confermano la tendenza all'invecchiamento della popolazione a fronte di una riduzione della natalità. La pandemia da Covid-19, poi, ha messo in evidenza l'impatto del distanziamento sociale sugli anziani, che colpiti dall'infezione e dalla solitudine, hanno pagato il prezzo più alto in termini di vite umane e relazioni affettive. Parte da queste considerazioni il volume “Domiciliarità e/o residenzialità per il benessere degli anziani non autosufficienti” curato dai ricercatori dell'associazione culturale InCreaSe - Guido Lazzarini, Paola Benetti, Luigi Bollani, Fabrizio Floris, Antonella Forte, Maria Rosa Guerrini, Maria Giuseppina Lucia, Vilma Rossi e Silvia Vercellino - e presentato a Torino, a Palazzo Civico, insieme al Consiglio dei Seniores. L'opera intende offrire una riflessione multidisciplinare a partire dall'ipotesi che “domiciliarità e residenzialità “sono due soluzioni di un percorso di vita che devono considerarsi interscambiabili a seconda dell'esigenza della persona e/o dei caregiver ed entrambe le scelte “devono poter ottenere gli stessi trattamenti socio -economici- assistenziali - sanitari da parte dellente pubblico”. La ricerca è basata su documenti, interviste e statistiche con proposte per rispondere adeguatamente ai bisogni degli anziani non autosufficienti. In questo contesto, secondo gli autori, le politiche sociali devono ripensare l'organizzazione dei servizi per gli anziani e le famiglie, creando ambienti in grado di corrispondere ai bisogni della quotidianità, ma soprattutto ai bisogni affettivo-relazionali degli anziani, al rispetto dei valori dell'età avanzata, mettendo sullo stesso piano le relazioni empatiche e le relazioni di cura. La pandemia di Covid-19 ha messo in luce l'esigenza di potenziare le cure domiciliari e di integrare maggiormente prestazioni sociali e sanitarie, e il PNRR mette a disposizione ingenti risorse per raggiungere questi obiettivi. “Il libro affronta problemi molto attuali di natura sanitaria, sociale e psicologica sul tema della popolazione anziana più fragile, in particolare, affronta la questione della residenzialità o dell'assistenza domiciliare delle cure, quali proposte per aiutare gli anziani e le famiglie coinvolte come 'caregiver' a gestire fisicamente ed economicamente la situazione della cura del familiare malato” ha sottolineato Edoardo Benedicenti, presidente del Consiglio dei Seniores della Città di Torino (nella foto). L'incontro, patrocinato dalla Città di Torino, è stato promosso dal Consiglio dei Seniores, in collaborazione con InCreaSe che opera con ricerche scientifiche e azioni sul campo per contribuire al benessere sociale e al conseguimento di uno sviluppo sostenibile, inclusivo, equo e stabile.

domenica 24 aprile 2022

Istat: in Italia 59 mila i decessi per Covid nel 2021

Nel 2021, in Italia, i decessi ritenuti correlati al Covid-19 sono stati 59mila e rappresentano l’8,3% dei decessi totali per il complesso delle cause, proporzione in calo rispetto all’anno precedente quando se ne contarono oltre 77mila, il 10,3%. Nel 2020, primo anno di pandemia, la mortalità è stata particolarmente elevata tra la popolazione di 80 anni e più, spesso in condizione di fragilità. Nel 2021 sì è molto ridotta la mortalità tra gli anziani rispetto al 2020, tuttavia il 72% dell’eccesso di mortalità è ancora dovuto alle morti delle persone di 80 anni e più. Nel 2021, la mortalità è risultata, invece, in leggero aumento tra gli uomini da 0 a 49 anni e tra le donne di 50-64 anni. Nel 2020 l’eccesso di mortalità ha caratterizzato soprattutto le regioni del Nord, mentre nel 2021 cambia la mappa del contagio, con un impatto che interessa tutto il territorio nazionale, ma che cresce nel Mezzogiorno. Il Nord resta sempre la ripartizione con una proporzione maggiore di decessi Covid-19 su decessi totali, con un valore medio della ripartizione del 9% per il 2021. Rispetto all’anno precedente, tuttavia, si è assistito a un calo di questa percentuale: quasi tutte le regioni settentrionali presentavano infatti nel 2020 valori superiori al 10%, con punte di oltre il 20% in Valle d’Aosta. Di contro, nelle regioni centro-meridionali la quota è aumentata nel 2021 rispetto al 2020, dal 6,9% al 7,7% al Centro e dal 5,3% al 7,6% nel Mezzogiorno. Questi dati sono stati riferiti dall'Istat con altri relativi alle condizione di salute degli italiani. L’eccesso di mortalità ha comportato nel 2020 una riduzione della speranza di vita alla nascita di oltre un anno di vita a livello nazionale (da 83,2 nel 2019 a 82,1 anni nel 2020), ma i dati stimati evidenziano un accenno di ripresa per il 2021 con un valore pari a 82,4 anni. Nonostante la flessione degli anni di vita attesi nel 2020, l’indicatore della speranza di vita in buona salute alla nascita ha subito un inaspettato miglioramento e si è attestato a 61 anni, con un guadagno di 2,4 anni rispetto al 2019. Nel 2021, il miglioramento nella speranza di vita in buona salute osservato tra le donne si ridimensiona, con una flessione di circa 10 mesi, arrivando a 59,3 anni da vivere in buona salute. Tra gli uomini, invece, il valore della speranza di vita in buona salute alla nascita nel 2021 (pari a 61,8 anni) si mantiene simile a quello del 2020, anno in cui era aumentato di 2,1 anni rispetto al 2019. L’incremento della buona salute nel 2020, comune a molti Paesi europei, è effetto di un aumento della quota di persone che, nel contesto della pandemia, ha relativizzato la propria condizione di salute, valutandola con maggior favore di quanto non avrebbero fatto in passato. Nel 2021 si osserva un peggioramento nelle condizioni di benessere mentale tra i ragazzi di 14-19 anni. In questa fascia d’età il punteggio rilevato (misurato su una scala in centesimi) è sceso a 66,6 per le ragazze (- 4,6 punti rispetto al 2020) e a 74,1 per i ragazzi (-2,4 punti rispetto al 2020). Aumenta, infatti, la percentuale di adolescenti in cattive condizioni di salute mentale (punteggio dell’indicatore di salute mentale inferiore al primo quintile della distribuzione, pari a 52 punti), che passa dal 13,8% nel 2019 al 20,9% nel 2021. Continua a ridursi la proporzione di anziani di 75 anni e oltre affetti da gravi limitazioni o condizioni di multicronicità, sebbene i livelli permangano comunque elevati e riguardino nel biennio 2020-2021 quasi la metà della popolazione in questa fascia di età (47,8%). Sia nel 2020 sia nel 2021 l’indicatore che monitora la sedentarietà segna un ulteriore miglioramento in linea con il trend registrato negli ultimi anni, tuttavia, la diminuzione non ha riguardato i giovanissimi di 14-19 per i quali si è assistito a un aumento significativo della quota di sedentari che è passata dal 18,6% al 20,9%. Diminuisce nel 2021 l’eccesso di peso tra la popolazione adulta di 18 anni e più rispetto a quanto registrato nel 2020 (passando dal 45,9% al 44,4%) e si riattesta al livello del 2019 (44,9%), ma il decremento riguarda soltanto la quota di persone in condizione di sovrappeso, mentre la proporzione di persone in condizione di obesità risulta in lieve ma costante aumento, raggiungendo la quota dell’11,4% nel 2021 a fronte del 10,5% nel 2019 e del 10,9% nel 2020. Nel 2021, è pari al 19,5% la quota di fumatori di 14 anni e più, quota stabile rispetto al 2020 (19,1%) e in lieve aumento rispetto a quanto registrato nel 2019 (18,7%). L’abitudine al consumo a rischio di bevande alcoliche ha riguardato nel 2021 il 14,7% della popolazione di 14 anni e più. Dopo l’aumento tra il 2019 e il 2020 (dal 15,8% al 16,7%), nel 2021 si osserva una riduzione pari a 2 punti percentuali. La flessione nella quota dei consumatori a rischio ha riguardato sia il consumo abituale eccedentario sia le ubriacature.

sabato 23 aprile 2022

Record di sì alla donazione degli organi

Nel 2021, in Italia, sono cresciute del 3% le dichiarazioni di volontà alla donazione di organi e tessuti registrate all'atto dell'emissione della carta d'identità nelle anagrafi dei 6.845 Comuni italiani in cui il servizio è attivo, raggiungendo così il livello record del 68,9% dei sì. Lo si legge nell'Indice del Dono, il rapporto realizzato dal Centro nazionale trapianti. Ed è Trento a essere risultata la più generosa tra le grandi città. L'Indice, reso noto in occasione della 25a Giornata nazionale della donazione degli organi (il 24 aprile) è espresso in centesimi ed è elaborato tenendo conto di alcuni indicatori come la percentuale dei consensi, quella delle astensioni e il numero dei documenti emessi. A livello nazionale, l'anno scorso, il 2021 è stato un anno davvero positivo per la raccolta delle dichiarazioni di volontà alla donazione: i consensi hanno sfiorato il 69%, con un indice del dono medio di 59,23/100 (rispetto al precedente 52,86): si tratta della percentuale di "sì" più alta mai raccolta in un anno da quando la registrazione avviene nelle anagrafi. Il calo dei "no" è distribuito in modo abbastanza uniforme su tutto il territorio nazionale e anche se i risultati migliori vengono raggiunti dalle regioni del Nord, i consensi alla donazione sono in crescita anche nel Meridione. A oggi le dichiarazioni di volontà depositate nel Sistema informativo trapianti del Cnt sono 12,7 milioni: 9,2 milioni di sì e 3,5 milioni di no. Nel nostro Paese sono circa 8.500 le persone in lista d'attesa per un trapianto e nel 2021 sono stati effettuati 3.778 trapianti grazie a 1.725 donatori.

giovedì 21 aprile 2022

Come dormire in modo corretto e salutare

di Roberto Rey*
Il sonno è una condizione fisiologica e reversibile caratterizzata da profonda depressione della coscienza e dell'attività mentale e da funzioni organiche ridotte al minimo. Due sono le fasi del sonno, le quali si alternano più volte: la fase REM (Rapid Eye Movement) che è quella in cui si sogna; la fase NON REM che è caratterizzata da sonno profondo, da assenza di movimenti degli occhi e da assenza di sogni. La quota delle due fasi varia a seconda dell'età: la fase REM prevale durante l'infanzia e si riduce drasticamente negli anziani. E' definita insonnia qualsiasi variazione del sonno vissuta con sofferenza e spesso con danno. L'insonnia può essere occasionale, transitoria, cronica e come durata può essere totale (la notte in bianco) o parziale (mattutina e intermittente). In Italia circa nove milioni di persone soffrono di insonnia accertata, ma molti altri hanno difficoltà ad addormentarsi per cause diverse e non accertate. Il sonno è un elemento indispensabile a disposizione di tutti, sia ricchi che poveri. Nel dormire c'è giustizia ma il sonno è un meccanismo della biologia che purtroppo può incepparsi. Teniamo presente che il corretto riposo è uno degli strumenti fondamentali per una buona sopravvivenza e che noi spesso, per diversi motivi, ritardiamo e riduciamo il riposo sperando sempre di riuscire a recuperarlo nel fine settimana. Programmare di dormire a seconda degli impegni, spezzando più volte il sonno, non garantisce il riposo anzi espone all'insonnia. In realtà, il sonno a più fasi nuoce alla concentrazione e alla memoria. Il trattamento dell'insonnia può essere di tipo igienico-comportamentale finalizzato adottenere un buon riposo: - andare a dormire e alzarsi sempre alla stessa ora - non dormire durante il giorno (no al sonnellino pomeridiano e no al serale davanti alla Tv) - andare a letto solo quando si è assonnati - se non si riesce a dormire è preferibile alzarsi e dedicarsi ad attività che siano rilassanti - cercare di rilassarsi il più possibile prima di andare a letto - dormire in un letto comodo in una camera protetta dai rumori e con una una corretta temperatura ambientale - mangiare negli orari ”regolari” evitando pasti abbondanti, soprattutto se vicini all'ora di andare a letto - non bere bibite contenenti caffeina o alcolici e non fumare prima di coricarsi - praticare una regolare attività fisica durante il giorno. Il sonno appare come un fenomeno passivo, sul quale non possiamo intervenire ma possiamo solo opporre resistenza con grande impegno psico-fisico. Dormire non è una perdita di tempo, ma è un'azione fondamentale in quanto permette al cervello di fare pulizia e di rimuovere anche quelle proteine che sono alla base di malattie neuro-degenerative. Dormire è strumento essenziale per il benessere psicofisico e per la salute. Risparmiare sulle ore di sonno presenta aspetti negativi per la salute, soprattutto nei giovani (il cervello completa la sua ristrutturazione intorno ai 20 anni). Negli Stati Uniti il 30% delle persone ha ammesso di aver avuto almeno una volta nella vita un colpo di sonno durante la guida. Il non dormire bene è premessa di ansia, di depressione, di malessere e anche di malattie cardiovascolari. Molte persone non dormono abbastanza e non dormono bene, ma non si rendono conto dei danni che procurano a se stesse. Gli effetti della mancanza del sonno sono oggi molto studiati e non dobbiamo più considerare il sonno come la semplice risposta alla necessità di riposare. La sua cattiva gestione espone a rischi e a danni che hanno una pesante ricaduta sulla persona e sulla società. Attenzione, perciò, alla privazione di sonno. Le conseguenze di tale privazione, infatti, non ricadono solo sulla salute del singolo ma possono mettere a repentaglio la sicurezza di tutti. Mettersi alla guida in condizioni di scarso riposo può ridurre la capacità di controllo del veicolo e la prontezza di riflessi del guidatore. I problemi del sonno sono causa di numerosi incidenti d'auto. Il dormire poco crea alterazioni del cervello simili a quelle causate dall'alcol. Il sonno è necessario per la sopravvivenza e il ciclo sonno-veglia rappresenta un'importante funzione del nostro organismo. Da bambini si dorme molto. Da anziani si dorme meno. Tutti hanno bisogno del sonno; ma la giusta e necessaria quantità di sonno non è uguale per tutti. Ad alcuni, infatti, non sono sufficienti le classiche otto ore di sonno mentre ad altri ne bastano appena sei per essere attivi e pimpanti. Si deve anche tenere presente che la qualità del sonno è importante tanto quanto la quantità. Inoltre più l'età avanza, meno si sente il bisogno di dormire. Talvolta le strategie dello sfinimento non riescono a favorire l'addormentamento dei figli. La stanchezza talvolta non vince la resistenza che i bambini oppongono per non andare a dormire. I piccoli vanno accompagnati a riposare facendo con loro dei giochi tranquilli oppure leggendo con loro quando già sono sdraiati a letto. Qualche coccola e una tazza di latte caldo spesso sono un buon aiuto per far trascorrere loro una buona notte. L'adulto normalmente si addormenta durante il sonno non REM suddiviso in 4 stadi (2 di sonno leggero a cui fanno seguito 2 di sonno profondo). Dopo 90 minuti compare il primo episodio REM con inibizione del tono muscolare e con movimenti oculari rapidi e molti sogni. Al termine del primo stadio REM ricompaiono gli stadi di sonno NON REM a cui segue un nuovo episodio REM e così per un totale di 4-6 cicli. La successione degli stadi e l'alternanza tra sonno NON REM e sonno REM  costituiscono la macrostruttura del sonno. Il sonno profondo domina nella prima parte della notte mentre il sonno leggero e il sonno REM prevalgono nella seconda parte. Ogni notte ci sono mediamente 6 ore in NON REM e 2 ore in REM. Nel sonno non REM è possibile identificare una condizione di sonno instabile e una di sonno stabile. La valutazione dei micro risvegli e la distinzione tra sonno instabile e sonno stabile consentono di definire la microstruttura del sonno. Una certa quantità di micro risvegli è una componente naturale del sonno fisiologico e la misura dei micro risvegli è indice della qualità del sonno. Alcune regole per dormire bene: *L'attività fisica è fondamentale per favorire un sonno intenso e riposante, ma deve essere evitata dopo le ore 20. *La tazzina di caffè e la tazza di tè devono essere escluse dopo le ore 19 in quanto sono eccitanti e influiscono negativamente sul sonno. *A cena non si deve mangiare troppo e si devono escludere i cibi pesanti in modo che la digestione non sia troppo difficile. *La camera da letto deve essere fresca e silenziosa. *La mente deve essere libera e serena. Non si devono portare a letto i pensieri e le preoccupazioni. *Per facilitare il passaggio dalla veglia al sonno è bene andare a letto sempre alla stessa ora. L'insonnia è il disturbo del sonno più diffuso e consiste nella difficoltà ad addormentarsi e a rimanere addormentati. Per parlare di insonnia è necessario che sia presente una sensazione soggettiva di scarso riposo. Ci sono persone che pur dormendo poco, quando si svegliano sono lucide e riposate e non presentano conseguenze durante il giorno quali:stanchezza, irritabilità, scarsa efficienza e presenza di continua sonnolenza. L'insonnia può avere delle conseguenze che si manifestano durante il giorno in quanto il soggetto che ha dormito poco e male è stanco, è irritabile ed è scarsamente efficiente sul piano cognitivo e presenta una costante sonnolenza. Per avere conferma dell'insonnia che emerge dalla semplice anamnesi raccontata dal paziente, è opportuno eseguire un'actigrafia, esame semplice che registra, su un braccialetto posto al polso sinistro del paziente, i movimenti che avvengono durante il sonno. L'insonnia è più frequente nella persona anziana ed in particolare nella donna. E' prevalente l'insonnia saltuaria; solo nel 10% della popolazione l'insonnia è permanente. Può generare conseguenze sulla salute; infatti, il soggetto insonne tende a soffrire maggiormente di patologie cardiovascolari e muscolo scheletriche. L'insonnia può essere transitoria (durata 15-20 giorni) oppure persistente. La persistente può essere primaria ma soprattutto secondaria. La primaria può essere anche una pseudo-insonnia in quanto il soggetto non percepisce il fatto di dormire e crede di essere insonne; in questo caso l'actigrafia chiarisce la situazione. L'insonnia primaria più diffusa è quella psicofisiologica legata a condizionamenti esterni. Un lutto o uno stress possono causare una temporanea insonnia che può determinare dei condizionamenti nella persona che ha paura ad andare a letto perché teme di non riuscire a dormire. Questi soggetti possono migliorare la situazione modificando l'ambientazione della camera. Le più comuni cause di insonnia: * Ritmi di vita irregolari e disordinati. * Elevato consumo di caffeina e di bevande alcoliche. * Esercizio fisico dopo le ore 20. * Temperature inadeguate nella camera da letto. * Ambiente rumoroso. * Sonnellini nel corso della giornata. * Bere troppi caffè * Andare a letto troppo presto o troppo tardi. * Guardare la televisione in camera da letto. * Consumare superalcolici e fumare dopo le 20. Osservando alcune regole possiamo migliorare il sonno: * Coricarsi entro le 23 e alzarsi alle 7 o alle 8 (8-9 ore di sonno) * Evitare il sonnellino durante il giorno. * Bere al massimo 3 caffè al giorno (entro le ore 19). * Nel tardo pomeriggio favorire il relax, evitare il tè, la cioccolata e non fumare (la nicotina è uno stimolante). Evitare bevande gassate e bevande contenenti caffè. Dobbiamo sempre avere presente che la camera da letto non è una cucina e neppure un ufficio. Deve essere e rimanere un ambiente tranquillo, mantenuto alla giusta temperatura, buio e silenzioso. Il corpo ha i suoi automatismi:andare a letto sempre più o meno alla stessa ora serve a rendere più facile il passaggio dalla veglia al sonno. * Medico, presidente dell'associazione “Più vita in Salute”