domenica 27 febbraio 2022

Ecco la strategia per tenere allenato il cervello

di Gabriella Bruschi*
Allenare la mente: chi fa selezione del personale per le aziende lo sa bene. Contano certamente le competenze tecniche per ricoprire un certo ruolo, ma altrettanto importati sono le abilità cognitive. Capacità di concentrazione, attenzione, memoria, lucidità, resistenza sono le principali abilità necessarie per eseguire al meglio il proprio lavoro. Abilità che solo per il 20% sono da attribuire al proprio Dna, mentre per il rimanente 80% dipendono dalla capacità di ciascuno di saperle stimolare e irrobustire, a prescindere dall’età. “Sempre più aziende vanno alla ricerca di personale con specifiche caratteristiche cognitive per svolgere un dato lavoro” dice Giuseppe Alfredo Iannoccari neuropsicologo, docente di Scienze Umane all’Università Statale di Milano e presidente dell’associazione Assomensana. Ogni lavoro ha bisogno di abilità cognitive specifiche. Dal lavoratore addetto al controllo di un prodotto finito, al manager che deve focalizzarsi su più settori contemporaneamente. Lo stesso vale per un insegnante che deve sintetizzare e rendere semplici argomenti difficili, magari in smart working, per uno studente che deve preparare un esame, per chi deve esporre un progetto in un convegno. Le abilità cognitive si possono migliorare e con esse anche il rapporto con la vita? “Gli studi scientifici più recenti hanno evidenziato una grande novità: le attività cognitive si possono incrementare, migliorare, stimolare con le adeguate strategie ottenendo eccellenti risultati a qualsiasi età” dice Iannoccari. “E d’altro canto, migliorare le proprie abilità consente di avere maggiori soddisfazioni nel proprio lavoro, aumentare l’autostima, in generale rendere migliore il proprio rapporto con la vita”. Bisogna pensare al cervello come un muscolo: sappiamo bene che allenandoci in palestra il bicipite migliora. La stessa cosa avviene per il cervello: va allenato, stimolato, irrorato perché possa avere la migliore performance possibile nel presente e anche nel futuro”. Qual è l’approccio migliore per migliorare le abilità cognitive? “Innanzitutto per stimolare la nostra mente occorre non smettere mai di imparare, di cimentarci in nuove cose e attività” risponde Iannoccari. “I neuroni così stimolati, continueranno a produrre quelle sostanze chimiche che ne incrementano il volume e la tonicità consentendo loro di lavorare meglio, a qualsiasi età”. Se al contrario le abilità cognitive non vengono stimolate, alla lunga si sperimentano situazioni frustranti che possono portare depressione, isolamento, timore di non essere all’altezza. “Si crea in sostanza un circolo vizioso: meno mi impegno a fare, meno imparo e meno riesco a fare. Ma se faccio meno, il mio cervello meno si attiva e si arriverà alla cosiddetta “inflazione mentale”: è come pensare di lasciare il capitale sotto il materasso senza farlo fruttare, nel tempo verrà eroso dall’inflazione e diminuirà. Se invece lo si mette a frutto potrà aumentare”. Che cosa fa rallentare il cervello? “In tutte le professioni sono sempre gli schemi automatici a fare da freno. Se si ripete di continuo una medesima attività, non si attiva nulla nel cervello: dal pianista che replica sempre lo stesso spartito, al contabile che rivede gli stessi conti, all’operaio che esegue sempre la medesima mansione, fino a chi gioca sempre allo stesso gioco di carte o fa lo stesso allenamento sportivo. Cambiare le regole, modificare gli schemi: è la strategia per un cervello in ottima forma? “Modificare gli schemi, apprenderne di nuovi, provare le varianti, sperimentare nuovi giochi, cambiare le regole: sono tutte azioni che fanno uscire dalla “confort zone” del cervello e smuovono i neuroni”. L’attività cerebrale non è necessariamente legata al solo fattore anagrafico. Eravamo tutti convinti che la vita fosse una curva a campana, ascendente fino a un certo punto e poi discendente. Oggi, invece, la vita è considerata una crescita continua, ricca di successivi apprendimenti e opportunità. Ciò è testimoniato dal numero sempre crescente di persone lucidissime, molto colte e piene di progetti nuovi anche oltre i 90 anni. Dunque il tema è proprio qui. Che cosa hanno in comune le attività cognitive di un 30enne e quelle di uno di questi senior? “Il fattore più importante -che soprattutto è un atteggiamento e uno stato mentale- è la curiosità: essa è il motore per capire cose nuove, sperimentare nuove abilità che, una volta acquisite, aprono la strada ad altre nuove, e così via allargando sempre più gli interessi”. Chi invece ha un atteggiamento rinunciatario, a 30 come a 90 anni, nei confronti di ciò che gli è sconosciuto, nuovo o apparentemente difficile, è destinato a peggiorare rapidamente: la rinuncia nuoce gravemente alla salute. La curiosità consente invece di raccogliere gli stimoli e portarli alle altre abilità: alla memoria, considerata la regina di tutte le attività cognitive, all’attenzione, alla concentrazione. Ci sono ben 17 tipi di memoria diversi – spiega Iannoccari – quella per i nomi, quella per i volti e quella per i numeri, ma anche quella procedurale (l’abilità di sapere come fare le cose), la prospettica (ricordarsi di fare una cosa più tardi), semantica (ricordare che significato hanno i termini e a che cosa servono gli oggetti). Ci sono persone molto dotate su alcuni fronti, ma meno in altri. Un po’ come accade per gli sportivi: chi eccelle nella maratona non è detto che abbia le medesime performance nei 100 metri. Ognuna di queste può essere stimolata con trucchi, esercizi e strategie anche divertenti che Assomensana ha messo a punto nei corsi di Ginnastica Mentale che si svolgono in più di 30 province italiane. Alcuni sono molto semplici: si potrebbe per esempio iniziare con l’abbandonare o limitare le cosiddette “protesi mentali” costituite da agende e rubriche elettroniche e ricominciare a imparare a memoria alcuni numero di telefono e memorizzare appuntamenti e compleanni, suggerisce Iannoccari. Oppure si può evitare di frammentare troppo l’attenzione spostandosi continuamente dall’attività principale allo smart phone o ai social: si potrebbero creare dei “Tech-break” nel corso della giornata in cui concentrare queste attività. Altro meccanismo utile al cervello è la narrazione verbale: raccontarsi, raccontare episodi, ripetere trame di film o di romanzi sono tutte attività che tengono allenato il cervello. Infine il suggerimento di sperimentare qualsiasi tipo di attività nuove: uno sport, un viaggio, un corso, un hobby, uno strumento musicale, un gioco, persino provare a usare la mano non dominante nei piccoli gesti. “Sono tutte attività collaterali all’attività lavorativa principale, ma che diventano sinergiche con essa e la migliorano” conclude Iannoccari. E’ da poco uscito il suo nuovo libro sul tema: “I 10 pilastri per un cervello efficiente” edito da Franco Angeli. * Per gentile concessione di Firstonline, autorevole giornale web di economia e finanza diretto da Franco Locatelli e presieduto da Ernesto Auci

sabato 26 febbraio 2022

Premiato brevetto torinese contro la metastasi del cancro

È stato premiato all’Expo di Dubai come migliore brevetto italiano nella sezione Life Science and Healthcare nell’ambito dell’Intellectual Property Awards 2021. Si tratta di un complesso chimerico specifico per le cellule tumorali sviluppato da Lorena Quirico, Francesca Orso e Daniela Taverna del Dipartimento di Biotecnologie Molecolari e Scienze per la Salute, del Centro per le Biotecnologie Molecolari dell'Università di Torino. Il progetto è stato finalizzato a cercare terapie più efficaci per la cura del cancro oltre che maggiormente focalizzate sul tumore. Una delle principali cause di mortalità legata al cancro è la formazione di metastasi in organi distanti da quello dove il tumore ha avuto una sua prima origine. Questo perché, purtroppo, le attuali terapie non sono sufficienti a eradicare la malattia e sono spesso devastanti per l’organismo, che viene quindi debilitato dalla terapia stessa. Il team guidato da Daniela Taverna ha sviluppato un complesso macromolecolare che comprende molecole di natura diversa capaci di esercitare azioni differenti. Il complesso chimerico è composto da due porzioni: una sequenza chiamata aptamero, in grado di riconoscere selettivamente un antigene presente in grande quantità sulle cellule tumorali unita a un piccolo RNA non-codificante, il miR-148b, con funzione anti-metastatica. Tale complesso ha mostrato una elevata capacità di bloccare la metastatizzazione, che è ancora oggi la causa principe della mortalità per cancro. Il complesso chimerico è stato oggetto di brevettazione nazionale e internazionale ed è stato premiato a Dubai, in seguito al concorso organizzato dal ministero dello Sviluppo Economico (Mise) - Direzione Generale per la Tutela della Proprietà Industriale – Ufficio Italiano Brevetti e Marchi, in collaborazione con Netval. Un importante riconoscimento che mostra ancora una volta come sia cruciale la ricerca svolta nelle Università pubbliche, enti pubblici di ricerca nazionali e a Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs) per le ricadute che questa può avere in termini di avanzamento tecnologico in ambito sanitario.

Quegli antiossidanti che ci preservano dai radicali liberi

di Roberto Rey*
Gli antiossidanti svolgono un ruolo importante nell’ambito della prevenzione in quanto ostacolano la formazione dei pericolosi radicali liberi e cercano di neutralizzare quelli già costituiti. Una dieta variata e ricca di frutta e verdura consente di integrare e rafforzare le naturali difese antiossidanti e preservare così lo stato di salute dell’organismo. É importante mantenere in equilibrio la bilancia ossidativa su cui pesano da una parte i fattori di rischio (radicali liberi) e dall’altra i fattori di protezione (gli antiossidanti). Una dieta ricca di frutta e verdure o integrata con antiossidanti offre evidenti benefici su alcune forme di neoplasie (polmone esofago, stomaco, colon, retto, ovaio, mammella) e sulla prevenzione primaria delle malattie cardiovascolari. I fattori protettivi antiossidanti sono: 1. Carotenoidi: alfa e beta carotene, licopene, luteina, che sono abbondanti in carote, peperoni, pomodori, melone, nonché in broccoli e in vegetali a foglia verde. 2. Flavonoidi: abbondanti in tè verde e nero, olio di oliva, vino rosso, arancia rossa e fragole. 3. Oligoelementi: il Selenio, abbondante in spinaci, broccoli, cavoli, cipolle e funghi; lo Zinco, abbondante in spinaci e cavoletti di Bruxelles. 4. Le vitamine C, E, A e quelle del gruppo B. La vitamina C è abbondante in agrumi, pomodori, broccoli, cavoli e fragole; la vitamina E abbonda in olio di oliva, asparagi, avocado e cereali integrali; la vitamina B in ortaggi verdi e cereali integrali.  Le fonti alimentari più utili e benefiche come Aantiossidanti sono: al primo posto mirtilli, cavolo verde, barbabietola, prugne nere, fragole; al secondo arancia, cavoletti di Bruxelles, pompelmo, kiwi; al terzo spinaci, pomodori, cetrioli, albicocche, cipolle, melone. Ecco, perciò, alcune semplici “regole” nutrizionalmente corrette: assunzione abbondante di frutta e verdura; assunzione ridotta di latticini contenenti elevate percentuali di grassi saturi; evitare cibi preconfezionati contenenti grassi saturi; attenzione alla cioccolata, assumerne solo piccole quantità di nero fondente al 70-90%; attenzione alle torte commerciali; friggere di rado e a fiamma bassa e mai riutilizzare l’olio; moderazione nel consumo del caffè (meglio se decaffeinato). Inoltre: ridurre drasticamente il burro e utilizzare olio di oliva extravergine; incrementare l’apporto dei prodotti della pesca, ricchi di omega 3 e di omega 6; privilegiare le carni bianche rispetto alle carni rosse (bene coniglio e tacchino); adottare dieta normolipidica con prevalenza di grassi mono e poli insaturi, lievemente iperproteica, meglio la soia e altre leguminose; incrementare cibi integrali e non raffinati. Non esagerare nel consumo di pane e derivati o di primi piatti (pasta, riso ecc,). L’Università di Boston ha fatto uno studio per quantificare il potere antiossidante dei vari cibi del mondo vegetale. A tal fin é stato attribuito loro un valore ORAC (capacità assorbente ossigeno), valore della capacità di azione antiossidante. Essenziale anche l’attività fisica regolare senza la quale le difese organiche contro i radicali liberi possono affievolirsi. Allo stesso modo é efficace, per l’anti invecchiamento, un’appropriata alimentazione che fornisca all’organismo almeno 5.000 U di antiossidanti al giorno. * Medico, presidente dell'associazione Più Vita in Salute

lunedì 21 febbraio 2022

Ecco le regole per evitare il mal di schiena

di Roberto Rey*
La colonna vertebrale è la struttura cardine su cui noi organizziamo ogni posizione che assumiamo nella vita quotidiana. Il dolore alla schiena, che a sorpresa ci blocca per qualche giorno, è spesso dovuto a: accumulo di tensioni o errori di postura o scarsa attenzione nei confronti delle posizioni scorrette che assumiamo durante le varie attività giornaliere. Per evitare la comparsa di eventi acuti è bene rispettare alcune indicazioni di corretta postura: a) non rimanere troppo a lungo nella stessa posizione, in quanto l’immobilità sulla sedia causa tensioni muscolari che nel lungo periodo possono portare a contratture dolorose da una parte e a debolezza dall’altra. La schiena durante la posizione seduta è sollecitata sia nella zona lombare che in quella cervicale e questo spiega perché è consigliabile fare, ogni due ore, regolari intervalli, finalizzati all’allungamento della colonna dorsale oppure fare una breve camminata. In ufficio è utile stare seduti su sedie che consentano di appoggiare le braccia e non obblighino a pesare solo sulla regione lombosacrale. b) Non accavallare le gambe. É un’abitudine che fa distribuire in modo non armonico il peso del corpo. c) Quando si è alla guida di un’auto non ci si deve insaccare sul sedile, ma fare in modo che i fianchi abbiano una posizione più alta di quella delle ginocchia in modo da non gravare troppo sulla zona lombare. É bene appoggiarsi allo schienale e al poggiatesta in modo che la schiena sia ben dritta durante la guida. Se il viaggio è lungo è bene fare una sosta ogni 2-3 ore, per camminare e rilassare la muscolatura delle gambe, delle braccia e delle spalle. Le tre principali cause del mal di schiena sono: 1. Il sovrappeso; 2. La scarsa attività fisica; 3. Le posture scorrette. A queste possono aggiungersene altre che, incidendo sugli equilibri posturali, finiscono per causare problemi di tipo muscolare, tendineo e articolare. Una causa importante sono anche le calzature non adeguate quindi: a) scartare i tacchi alti (sono tollerati quelli inferiori a 4 cm); b) utilizzare calzature comode, a pianta larga in modo che il peso corporeo sia distribuito su tutta la pianta del piede; c) l’uso di calzature non adeguate dovrebbe essere solo occasionale. Una ricerca che ha coinvolto più di 5.000 persone affette da mal di schiena per problemi collegati alla colonna vertebrale, ha dimostrato un legame tra i dolori collegati alla colonna, soprattutto a livello lombare e il fumo della sigaretta. Il motivo sembra legato a due ragioni: 1. Il fumo aumenta la produzione di tossine e di radicali liberi che fanno invecchiare precocemente i dischi intervertebrali; 2. Il fumo produce danni ai polmoni con conseguente minore ossigenazione del sangue. Altre condizioni meno importanti e meno frequenti che possono concorrere a creare problemi alla colonna sono: a) La miopia. In assenza di occhiali con lenti correttive lo sforzo di mettere a fuoco e accomodare, può portare lentamente a mettere in tensione alcuni muscoli a livello cervicale e dorsale. b) Oltre ai problemi di vista, come causa del mal di schiena dobbiamo aggiungere quelli della masticazione, dovuti al cattivo allineamento tra arcata superiore e inferiore. c) Anche stress e psiche hanno un ruolo importante; infatti, il dolore lombare è più frequente tra coloro che soffrono di depressione e di disturbi d’ansia e tra coloro che hanno problemi sul lavoro e vivono situazioni di disagio sociale ed economico. d) L’inclinazione del collo provocata dal telefono cellulare determina un carico aggiunto sopra la spalla e il deltoide. La spiegazione del collegamento tra le varie situazioni è quella per cui le tensioni muscolari finiscono per incidere sul distretto lombare provocando disturbi di ogni genere, probabilmente perché mente e corpo vengono penalizzati dalla frustrazione. Il tratto lombare è evidentemente quello su cui incidono maggiormente le tensioni muscolari. La mente è la centrale operativa mentre il corpo è l’esecutore che mette in atto ciò che gli viene comandato e non sempre il risultato finale è il migliore in termini di salute e benessere. * Medico, presidente dell'Associazione Più Vita in Salute

domenica 20 febbraio 2022

Il "nemico" Glaucoma, grande rischio per i parenti

di David Ciacci e Francesca Jonsson*
Il glaucoma e l’ipertensione endoculare non ben trattata rappresentano la seconda causa di cecità al mondo dopo la cataratta ma, a differenza di quest’ultima, la perdita visiva associata al glaucoma è irreversibile. In Italia sono circa 800.000 i pazienti accertati, equivalenti al 2.5% della popolazione, con una prevalenza maggiore al nord d’Italia. É una patologia oculare che può presentare diversi quadri clinici, nella maggior parte dei casi accomunati da un aumento della pressione intraoculare (> 20 mmHg). L’aumento della pressione all’interno del bulbo oculare è dovuta a una aumentata produzione o a un ridotto assorbimento del liquido che normalmente circola all’interno del segmento anteriore dell’occhio, l’umor acqueo. L’aumento pressorio, a carico del segmento anteriore dell’occhio (lo spazio compreso tra la cornea e l’iride) può esser presente fin dalla nascita come nel glaucoma congenito, può manifestarsi improvvisamente con un attacco acuto di glaucoma con grave dolore e annebbiamento visivo, oppure può insorgere in maniera subdola e lenta, come nella maggior parte dei casi in corso di glaucoma cronico ad angolo aperto o glaucomi secondari ad altre patologie (ad esempio eccessivo uso di cortisone). Il glaucoma primario ad angolo aperto rappresenta la tipologia più comune, rappresentando il 75% dei casi. È una patologia caratterizzata da una pressione intraoculare > 20 mmHg e da danni secondari ischemici al nervo ottico, con conseguente perdita del campo visivo. Il meccanismo per il quale un rialzo pressorio porti al danneggiamento delle cellule nervose della retina rimane ancora sconosciuto, ma è stato ipotizzato un danno di tipo meccanico, da compressione e un danno ischemico, legato alla compressione dei vasi sanguigni. Esiste una variante del glaucoma ad angolo aperto, ossia il “normal tension glaucoma”, conosciuto come glaucoma a bassa pressione, nel quale la pressione intraoculare è normale, ma la patologia progredisce con danni del campo visivo e perdita progressiva della vista, in pazienti asintomatici che non sanno di avere la patologia. Esistono diversi fattori di rischio che aumentano la probabilità di sviluppare il glaucoma, come l’età avanzata, il sesso maschile, la razza nera, la presenza di patologie vascolari sistemiche e la familiarità. I parenti di primo grado di un paziente con glaucoma hanno un rischio fino a nove volte superiore alla popolazione generale di sviluppare tale patologia; ciò nonostante, oltre il 50% delle persone nei Paesi sviluppati non è a conoscenza di esserne affetto. Da questi presupposti deriva l’importanza fondamentale di una diagnosi precoce, di uno stretto follow-up dei pazienti affetti dalla patologia e una scrupolosa attività di screening dei familiari stretti. * Centro oculistico Chiros (Torino)

Ideato dispositivo per prevenire le fratture ossee

Un gruppo di studenti ha ideato un dispositivo innovativo e un algoritmo per comprendere e prevenire le fratture ossee. Nel corso della vita, infatti, circa il 40% della popolazione italiana incorre in una rottura di femore, vertebra o polso. Le fratture dovute all’osteoporosi hanno conseguenze importanti in termini di mortalità e di disabilità motoria, con elevati costi sanitari e sociali. Il progetto GAP (image-Guided experimental and computational Analysis of fractured Patients) si inserisce in questo ambito e punta a superare i limiti della diagnostica attuale delle fratture ossee, per sviluppare metodi di diagnosi precoce più efficaci. L’idea è nata all’interno dell’Alta Scuola Politecnica (ASP), il programma internazionale riservato ai migliori studenti del Politecnico di Milano e del Politecnico di Torino. Il gruppo di lavoro si è focalizzato sullo studio delle fratture ossee alla microscala, dove sussistono ancora molti dubbi sull’origine e sulla propagazione delle fratture. Non è ancora chiaro quale sia il ruolo di piccole cavità presenti nell’architettura ossea, definite lacune. Per avere un punto di vista completo gli studenti dell’ASP hanno analizzato il fenomeno sia attraverso una campagna sperimentale, sia con dei modelli computazionali. In dettaglio, è stato progettato e realizzato un dispositivo di micro-compressione che permette sia di testare i campioni ossei femorali in condizioni che riproducono la situazione di lavoro in-vivo all’interno del corpo umano, sia di acquisire immagini di determinate sezioni ossee. Ciò è stato possibile grazie all’utilizzo della tecnologia innovativa, basata sulla generazione di luce di sincrotrone e di laser ad elettroni liberi di alta qualità, dell’Elettra Sincrotrone di Trieste. La luce del sincrotrone è una radiazione elettromagnetica caratterizzata da particelle cariche con una velocità elevatissima, vicina a quella della luce, e che, di conseguenza, ha una lunghezza d'onda molto limitata. Queste caratteristiche fanno sì che il picco di radiazione rientri nella categoria dei raggi X e che sia molto adatta per analizzare un tessuto come le ossa. Questo è il punto fondamentale della ricerca, perché nessuno prima aveva studiato il fenomeno con immagini di risoluzione così alta. La qualità e la quantità di immagini acquisite e analizzate sono, infatti, l’elemento di forza di questo studio. Altrettanto innovativa è stata la tecnica utilizzata per processare questa grande mole di dati. Gli studenti, dovendo esaminare oltre due milioni di immagini, hanno deciso di automatizzare il processo, sviluppando una rete neurale convoluzionale in grado di identificare autonomamente le lacune ossee. Le reti neurali sono algoritmi di deep learning oggi al centro dell’attenzione della comunità scientifica internazionale, per il loro potenziale nell’analizzare le immagini cliniche. La realizzazione di questo algoritmo ha permesso di risparmiare oltre due milioni di ore nella fase di post-processing. Parallelamente il fenomeno è stato esaminato attraverso simulazioni computazionali. È stato realizzato e validato un modello che permette di riprodurre prove di compressione ossea che potrà essere utilizzato per analisi future, senza la necessità di nuovi campioni delle ossa. Il progetto GAP, coordinato da Maria Chiara Sbarra, insieme a Irene Aiazzi, Bingji Liu, Alessandro Casto e Giovanni Ziarelli, ha ottenuto risultati importanti in soli due anni di lavoro. Il team multidisciplinare, guidato dalla professoressa Laura Vergani e dalla dottoranda Federica Buccino del Dipartimento di Meccanica del Politecnico di Milano, ha collaborato con l’ETH di Zurigo, il centro di ricerca internazionale Elettra Sincrotrone di Trieste e il Gruppo San Donato.

venerdì 18 febbraio 2022

Come è cambiato il rapporto degli italiani con la salute

Per UniSalute, assicurazione sanitaria appartenente al gruppo Unipol, Nomisma ha sviluppato l’Osservatorio Sanità, con l’obiettivo di monitorare e comprendere le abitudini degli italiani in merito ai temi della salute e della prevenzione. Il report 2021 che ne è derivato ha messo al centro delle tematiche l’alimentazione degli italiani, con una lettura delle trasformazioni intervenute a seguito del periodo pandemico. Nello specifico, la ricerca Nomisma ha evidenziato che, nell’ultimo anno, il 51% degli italiani ha modificato le proprie abitudini alimentari e che, nel 40% dei casi, si è trattato di un cambiamento positivo e migliorativo rispetto agli stili alimentari pre-pandemia. Sempre più italiani, infatti, associano le scelte nutrizionali al mantenimento del proprio benessere e il 37% vede nel controllo dell’alimentazione un modo per restare in salute. Un approccio che si evince anche dal fatto che più di un italiano su quattro segue una dieta o un regime alimentare controllato e che la maggior parte di essi (il 54%) lo fa per il proprio benessere fisico, non solo per piacersi di più. Il 31%, però, ha detto di seguire (o di avere intenzione di farlo in futuro) diete “fai da te”, trovate su Internet o conosciute tramite passaparola, a fronte di una quota minore che si affida a dietologi, personal trainer o al medico di base. Le rilevazioni di Nomisma realizzate per UniSalute hanno evidenziato anche che, nonostante le abitudini virtuose a livello alimentare, un italiano su quattro ha messo su peso rispetto al periodo precedente al lockdown. Un approfondimento dell’Osservatorio Sanità UniSalute ha riguardato il rapporto degli italiani con il movimento nel post pandemia. Oggi, il 30% delle persone dichiara di non svolgere nessun tipo di attività fisica, quota in crescita rispetto al periodo pre-Covid, quando la percentuale di coloro che non facevano esercizio fisico era pari al 25% della popolazione. Fra l'altro, nel 2021, solo il 21% degli italiani ha praticato attività sportiva con continuità, mentre nel periodo precedente all’emergenza sanitaria lo faceva il 28%. Un dato poco confortante se si considera anche che il 52% delle persone cammina meno di 30 minuti al giorno. L’Osservatorio Sanità UniSalute ha dedicato un focus alla valutazione del benessere fisico e psicologico degli italiani. Dall’analisi Nomisma è emerso che il 29% delle persone è preoccupata per il proprio stato di salute psichica e che il 41% si sente spesso giù di morale. Non solo: il 69% degli italiani ha affermato di provare spesso un senso di spossatezza e mancanza di energie, mentre una persona su tre ha ammesso di avere di frequente problemi a prendere sonno. Tuttavia, la pandemia – aumentando l’attenzione posta sui temi della salute e del benessere – ha portato gli italiani a mostrare una maggiore propensione alla prevenzione. Infatti, un italiano su tre afferma di fare prevenzione e visite regolari con l’obiettivo di mantenere sotto controllo il proprio stato di salute. Un ulteriore 29% tende a fare controlli e visite non appena si presentano i primi disturbi o sintomi. E il 9%, pur stando bene, si impegna per migliorare il proprio stato di salute e sentirsi meglio.  Un altro argomento affrontato da Nomisma nell’ambito dell’Osservatorio Sanità UniSalute 2021 è stato quello della cronicità. In Italia quattro persone su 10, tra i 18 e i 75 anni, soffrono di almeno una patologia cronica. Tra le più diffuse l’ipertensione, che colpisce il 18% delle persone comprese in questa fascia d’età, le allergie, di cui soffre il 14% degli italiani; artrite e artrosi (13%), osteoporosi (6%). Il 5% di italiani, inoltre, ha diabete o asma e il 4% deve combattere contro un tumore.  Oggi, il 56% degli italiani che soffrono di queste patologie si sottopone agli esami con la stessa regolarità di quanto faceva prima del Covid, mentre il 30% ha addirittura aumentato la frequenza rispetto al 2019. Tuttavia, rimane un 15% dei malati che, nonostante l’allentarsi dell’emergenza sanitaria , non ha ancora ripreso a effettuare i controlli legati alla patologia con la stessa frequenza del periodo pre-pandemico.

mercoledì 16 febbraio 2022

Il geriatra Isaia spiega i problemi della vecchiaia

Pubblichiamo un ampio stralcio dell'intervista che Loredana Masseria ha fatto per L'approfondimento dell'Asl Torino a Gianluca Isaia, presidente della Associazione Geriatri Extraospedalieri (Age) Piemonte-Valle D’Aosta e dell'Accademia di Medicina di Torino.
Dottor Isaia, qual è la differenza tra vecchio e anziano? In realtà i nostri pazienti sono vecchi, anche se noi non usiamo questo termine nell’accezione corretta. Oggi dire ‘vecchio’ ha assunto una connotazione negativa ma, in realtà, in tutta la letteratura, l’anziano è un Vecchio che richiama nel significato l’elemento della saggezza, della memoria, identifica una persona nella quale trovare risposte. Anziano è una parola più recente, usata spesso con l’intenzione di recare offesa a nessuno. Probabilmente l’utilizzo del termine anziano è nato quando ancora non c’era la cultura del vecchio. Il ‘vecchio’ prima era il 65enne che oggi è ancora giovane, ma effettivamente 25 anni fa dire a un 65enne che era vecchio poteva turbare. Oggi, la cultura del ‘vecchio’ è stata compresa e molti anziani quotidianamente mi dicono: ‘Non mi chiami anziano, sono vecchio!. Parliamo di 85enni, 90enni, che preferiscono questo termine e questo dimostra un iniziale cambiamento culturale, che è alla base dell’accettazione della vecchiaia come qualità e non come peso. Secondo lei, quindi è giusto spostare l’asticella dai 65 ai 75 anni per definire il limite anagrafico dell’età geriatrica. In termini generali è assolutamente giusto, perché a 65 anni ormai si fanno le maratone, si gioca a calcetto, addirittura ci si sposa. Ma dobbiamo fare dei distinguo che riguardano non solo l’età ma il grado di funzionalità della persona. Noi usiamo spesso le scale valutative che ci danno un quadro sulla mortalità, sulla demenza, sulla capacità di uscire da una degenza in condizioni più o meno buone e, queste scale, questi test, considerano l’età solo in maniera marginale; in realtà dobbiamo valutare tanti altri aspetti, come la capacità di alzarsi da soli, di uscire da soli, di ricordare alcune cose. Talvolta ci sono 60enni che potrebbero essere considerati vecchi perché hanno un quadro di salute talmente compromesso da un punto di vista fisico e cognitivo che presentano le performance di un 90enne. E poi ci sono magari degli 80enni che sono ancora in perfetta forma. Quindi direi che è sicuramente corretta la decisione presa dalla comunità scientifica internazionale di spostare l’asticella oltre i 75 anni. Ma questo significherà lavorare di più! Non voglio entrare in un campo politico, occorre fare dei distinguo e capisco che lavorare fino a 67 anni può essere frustrante, però, è anche vero, e noi lo notiamo, che spesso quando si smette di lavorare si va incontro a delle patologie come la demenza o la depressione. Ognuno di noi ha un ruolo sociale individuale determinato sia dal lavoro, e questo dipende dal tipo di lavoro (se usurante o meno), sia dal grado partecipazione attiva in famiglia; quando di punto in bianco si perde quel ruolo, magari si riduce la capacità economica, si inizia a spendere anche di più perché c’è necessità di maggiore assistenza, alla fine la persona viene messa ai margini, tende a perdere quel ruolo sociale e questo è l’incipit di tutta una serie comorbilità che forse, se avesse lavorato un po’ di più, sarebbero arrivate dopo o in misura più leggera. In tal senso, sarebbe bene individuare percorsi volontari di uscita dal lavoro graduali. Quindi questo significa, tenuto conto anche dell’aspettativa di vita che si è innalzata, che prima i vecchi soffrivano di meno di depressione perché mantenevano nella famiglia e nella società un ruolo più attivo? Prima, diciamo fino a 50 anni fa, le famiglie erano patriarcali, o anche matriarcali, comunque, si viveva tutti insieme, quindi i vecchi non conoscevano l’emarginazione e anche quando erano più bisognosi di assistenza, comunque erano lì, in famiglia, avevano sempre un loro posto, una casa, erano circondati dai nipoti ai quali trasmettevano storie, conoscenze, sicurezza; adesso, con la società moderna non esistono più le famiglia numerose, i figli vanno spesso all’estero o comunque lontano da casa e i vecchi si ritrovano soli. Lontani dai figli, vanno ad abitare in case più piccole, perdono i loro punti di riferimento, le loro abitudini, spesso si sentono inutili...queste sono le condizioni che minano la loro salute sia psichica che fisica. La vecchiaia può essere considerata una malattia? La vecchiaia non è una malattia. C’è sempre stato questo dubbio circa la vecchiaia intesa come malattia, sin dall’antica Roma. E’ chiaro che se il vecchio non si muove più dal letto, non riesce a comunicare ed è quasi in uno stato semi vegetativo, può sembrare che non sia degno di una vita; ma dobbiamo accettare che nella vecchiaia vi sia un cambiamento, con delle limitazioni funzionali e con un diverso stato cognitivo ma senza che per questo il vecchio venga declassato. Io lo noto spesso con i pazienti quando arrivano in reparto,e posso dire che il paziente fragile, anche quello più compromesso, comunque ha delle risorse e si ha sempre da imparare. Tra tutte le patologie che possono colpire un anziano, perché parlare proprio della depressione? Perché la depressione è una patologia tra le più frequenti nell’anziano. E aggiungo, è anche una delle più sotto diagnosticate nell’anziano. Questo per tante ragioni, abbiamo voluto rimarcare l’attenzione su questa patologia perché spesso si dà per scontata, nella convinzione che se uno invecchia è normale che sia triste, quasi con una sorta di rassegnazione fatalista che porta a pensare che sia inutile ricorrere al medico. La medesima cosa avviene spesso anche per la demenza. In realtà dobbiamo pensarci e discuterne, a partire dalla prevenzione, pensare a una rete assistenziale che limiti e che prevenga le limitazioni funzionali che si sa, prima o poi arriveranno e che dovremo accettare in questa nuova condizione. E poi, la depressione quando si manifesta ha dei tratti distintivi. Ad esempio, l’anziano ha anche un altro problema: assume tante pastiglie ed è dimostrato che più è alto il numero di compresse che prende un paziente tanto peggiore è il tono dell’umore e tanto peggiore è l’aderenza al trattamento farmacologico. Quindi, se si prescrivono 10-15 compresse al giorno a un anziano, cosa che avviene abbastanza comunemente, è probabile che questa persona decida di assumerne un 20% in meno. Il problema è che decide lui quali terapie assumere e quali no. Tra queste 15 compresse ve ne saranno alcune che non sono essenziali per la sua sopravvivenza o per la sua vita, ma lui potrebbe decidere di non prendere proprio le altre, quelle che invece sono fondamentali per la sua salute. In aggiunta, c’è anche il problema che se una persona assume già tante pastiglie, magari viene scartata l’ipotesi dell’antidepressivo proprio per non appesantire ulteriormente il programma terapeutico. E’ necessario quindi prestare molta attenzione alle reali necessità individuali, valutando ogni persona nel suo insieme senza focalizzarci solamente sulle singole patologie. Sappiamo che la depressione è una piaga e chi ne viene colpito è estremamente danneggiato perché una diagnosi di disturbo depressivo maggiore riduce la sopravvivenza media, aumenta il rischio di mortalità, di ospedalizzazione per altre malattie e peggiora il recupero da altre patologie, infine, aumenta il rischio di istituzionalizzazione, cioè il depresso viene più spesso ricoverato in RSA. Fortunatamente molte RSA presentano alti standard qualitativi, tuttavia l’ambiente domestico andrebbe preservato e mantenuto il più possibile. Cosa si può fare sul Territorio? Le risposte possono essere diverse, ma occorre sempre pensare alla prevenzione e alla persona. Non si può generalizzare. Occorre distinguere tra la sindrome depressiva o la distimia, cioè quell’atteggiamento deflesso, che dura diversi anni ma è più lieve rispetto alla sindrome depressiva maggiore. Occorre ascoltare e capire il paziente, comprendere le sue esigenze, il livello culturale. A volte ci sono anziani che culturalmente hanno già difficoltà a esprimersi, o hanno difficoltà a relazionarsi con altre persone, magari con persone molto più giovani. Per esempio, capisco la buona volontà dei gruppi di animatori che nelle RSA creano momenti di aggregazione per far ballare gli ospiti, o le tombole a Natale. Sono interventi importanti, ma penso che se capitasse a me, che non ballo e non amo la tombola, sarei un paziente in forte sofferenza e probabilmente non sarei in grado di beneficiare delle ricadute positive di tali accortezze. Quindi gli interventi vanno studiati e programmati sulla persona. Può spiegare meglio la correlazione tra depressione nell’anziano e livello culturale? Esiste un’associazione tra sindrome depressiva e demenza vascolare. La demenza vascolare è un sottogruppo del deterioramento cognitivo che trae origine prevalentemente da fenomeni voluttuari: abitudine al fumo, scarsa attività fisica, oppure comorbidità, ipertensione, diabete, colesterolo, alcol... chi ha questo corredo sintomatologico è chiaro che probabilmente andrà incontro a un problema cognitivo di tipo vascolare e questo è un fattore maggiormente predisponente a una sindrome depressiva. Però le cause che ho elencato sono spesso legate a scarsa consapevolezza della prevenzione, e quindi, forse derivano anche da un retaggio culturale che andrebbe cambiato, almeno per le generazioni future. Se invece si parla di scolarità non c’è una correlazione netta, se c’è una ha bassa scolarità non è detto che vi siano più possibilità di diventare depressi, questo si addice più propriamente alla demenza anziché alla depressione. Ultima domanda. Quanto è peggiorata la situazione con il Covid? Tantissimo, tantissimo. Abbiamo scritto pagine e pagine su questo argomento perché prima di tutto l’anziano non ha tutti gli strumenti cognitivi per usare la tecnologia in modo fluido, non è ovviamente un nativo digitale, quindi, mentre i giovani potevano organizzare gli incontri sul web, o comunque chattare per tenersi in contatto con gli amici o semplicemente per tenersi aggiornati, gli anziani si sono trovati sprovvisti di questo strumento. In più, tutte le cose che erano soliti fare quotidianamente sono transitoriamente saltate e la routine per l’anziano è fondamentale, perché la routine dà sicurezza. Con il Covid improvvisamente è cambiato tutto: non potevano più uscire, o non volevano più uscire per paura, neanche per una passeggiata sotto casa. La paura bloccava anche i familiari che non andavano a trovarli e questo ha incrementato la depressione e ha creato un altro grosso problema: quello del non continuare le cure. Molte visite mediche di controllo non sono state effettuate, visite spesso importanti. Anche gli accessi al Pronto Soccorso sono diminuiti in corso di lockdown rigido. Ad esempio, per paura del Covid anche chi ha avuto sintomi lievi di infarto talvolta è rimasto a casa, con conseguenze facilmente immaginabili. Ma ancora oggi, anche se la situazione epidemiologica sembra essere in netto miglioramento, molti anziani convivono con l’ansia e il timore di potersi ammalare. Potremmo dire che per paura di morire di Covid, scelgono di non vivere come vivano un tempo.

Aterosclerosi, come nasce, i suoi rischi e come difendersi

di Roberto Rey*
L’aterosclerosi è caratterizzata dall'indurimento e dall’aumento di spessore delle pareti delle arterie che distribuiscono il sangue, e quindi l’ossigeno, ai vari organi del nostro corpo. Questa condizione patologica è causata dal deposito di grassi che si accumulano nel rivestimento interno delle pareti. L’aterosclerosi è causa di importanti patologie cardiovascolari (infarto miocardico, ictus cerebrale, vasculopatia agli arti inferiori) dovute all’ostacolato flusso del sangue che nei casi estremi risulta del tutto impedito. L’aterosclerosi è malattia multifattoriale, esordisce precocemente e poi progredisce in maniera più o meno rapida; con l’età aumentano i fenomeni legati alla malattia. Contano le caratteristiche genetiche (presenza di eventi cardiovascolari tra i parenti prossimi). La patologia diventa evidente dopo i 50 anni ed è più frequente negli uomini; viene anche definita “malattia del benessere” ed è causata da scorrette abitudini di vita, in particolare da quelle alimentari. I fattori di rischio dell’aterosclerosi sono: la pressione arteriosa elevata, il fumo di sigaretta, gli eventi infiammatori, il colesterolo LDL superiore a100, il colesterolo HDL inferiore a 40, l'età superiore a 45 anni (uomini) e 55 anni (donne) nonchè la familiarità per infarto in età precoce: nei parenti di primo grado prima dei 55 anni se maschi, prima dei 65 anni se femmine. Può essere causata da anomalo deposito di grassi e di calcio che si accumulano nel rivestimento interno delle pareti arteriose. Ci sono condizioni di rischio che sono modificabili (fumo di sigaretta, ipertensione, obesità). Valutando la presenza e la severità di tutti questi fattori è possibile stimare la probabilità che un soggetto ha di andare incontro a eventi cardiovascolari aterosclerotici. Il colesterolo si ossida per la presenza di radicali liberi e successivamente penetra nelle arterie e dà origine alle placche aterosclerotiche. Il colesterolo è un grasso e come tale è una forma di energia; se viene prodotto in eccesso dal fegato e rimane inutilizzato nel circolo sanguigno, ci fa capire che non sappiamo regolare i nostri bisogni naturali e pertanto accumuliamo nel corpo risorse che rimangono inutilizzate e diventano dannose. Il colesterolo che si accumula e non viene usato si infiltra nelle pareti dei vasi arteriosi e forma le placche. È quindi manifestazione di staticità e sedentarietà sia fisica che mentale. Scarsa attività muscolare, scarso slancio vitale, quieto vivere e rassegnazione sono i presupposti per arrivare a valori elevati di colesterolo, che potrebbero essere contenuti con tante passeggiate e con diete a misura delle nostre necessità. Quando abbiamo a disposizione un'adeguata energia consumiamola in modo salutare.  Accumulare i grassi significa non sapere usare quello che serve per vivere bene. Nel nostro corpo ciò che non viene usato correttamente si trasforma in sostanza dannosa. Le tossine e le scorie finiscono per impedire al sangue di circolare liberamente e correttamente. In presenza di fattori di rischio per aterosclerosi (aumento della colesterolemia, della pressione arteriosa, della glicemia, o presenza di sostanze che favoriscono eventi infiammatori) spesso derivanti da eccesso di tessuto adiposo, la parete arteriosa produce molecole che facilitano l’aderenza dei globuli bianchi del sangue alla parete interna (endotelio). Finite nello spazio sottoendoteliale, queste cellule modulano la loro attività grazie a proteine che influenzano il comportamento delle cellule muscolari lisce presenti nelle pareti delle arterie e quello delle stesse cellule dell’endotelio. Tali modificazioni sono regolate da sostanze (i mediatori) tipiche dei fenomeni infiammatori e immunitari (ad esempio leucotrieni, citochine e i componenti del complemento). Per effetto di questi processi le cellule muscolari lisce presenti nella tonaca media delle arterie migrano nello spazio sottoendoteliale, proliferano e producono enzimi che innescano il processo dell’aterogenesi in quanto modificano le caratteristiche biologiche dell’endotelio, l’attivazione e la proliferazione cellulare, la morte cellulare e le caratteristiche della matrice extracellulare. In questa fase avvengono le variazioni e l’ossidazione di particolari famiglie di lipoproteine che tengono attivo il processo infiammatorio. Durante la progressione delle lesioni si possono formare sia dei depositi di calcio sia dei depositi lipidici all’esterno delle cellule, che portano alla formazione di una placca aterosclerotica ricca di lipidi e con un centro necrotico. La placca aterosclerotica è costituita da una capsula esterna fibrosa di spessore variabile che circonda un nucleo più morbido fatto prevalentemente di grassi. L’analisi biochimica rivela che la capsula fibrosa è costituita prevalentemente da una sostanza - “il collagene” - e da aggregazioni di enzimi secreti dalle cellule muscolari lisce. Questa struttura di contenimento conferisce stabilità alla placca che può così resistere alle deformazioni provocate dalla trazione e dalle forze che su di essa vengono esercitate dal torrente sanguigno e dalla vasodilatazione. Sono individuabili due tipologie di placche aterosclerotiche: 1) Lesioni che producono stenosi del lume ma hanno un cappuccio fibroso; 2) Lesioni con minore capacità stenosante, con più deposito centrale di lipidi, con cappuccio fibroso più sottile e lacerabile e più facilmente causa di trombosi e occlusione dell’arteria interessata. Minor rigidità fa bene alle arterie quindi non facciamone un problema. Le occasioni che danno gioia, entusiasmo e libertà mentale sono quelle che portano beneficio al cuore e alle arterie. Pensare come star bene non deve tradursi in costrizioni della nostra libertà anzi deve liberare da convenzioni sociali e da opinioni qualunquistiche. * Medico, presidente dell'associazione “Pù vita in Salute”

giovedì 10 febbraio 2022

I cibi anti-infiammatori che difendono il nostro corpo

di Roberto Rey*
L'infiammazione nasce come meccanismo di difesa; ma se persiste e diventa cronica, si trasforma in un reale pericolo per il nostro organismo. Uno stato infiammatorio costante é una vera minaccia in quanto diventa un veleno per l'organismo ed é capace di danneggiare cellule e tessuti fino a compromettere la funzionalità di interi organi e favorire malattie cardiovascolari, metaboliche e neurodegenerative e anche gastrointestinali. Lo stato infiammatorio é una condizione negativa che si viene a creare per la presenza di una causa irritante, che dobbiamo ridurre e possibilmente annullare completamente. Riuscire a spegnere i processi infiammatori rappresenta un grande risultato nell'ambito della prevenzione delle malattie che si può e si deve mettere in atto; richiede un grande impegno, ma permette di ottenere la migliore longevità possibile. L'infiammazione é una reazione localizzata in un tessuto che subisce una "aggressione"; si manifesta con arrossamento, calore, gonfiore, dolore e talvolta febbre. Durante l'infiammazione, determinate cellule specializzate (mastociti) liberano istamina e serotonina che, stimolando la vasodilatazione, determinano rossore e calore. I capillari, anch'essi sovraccarichi, producono un liquido che si infiltra nei tessuti provocando gonfiore e dolore. L'infiammazione si accompagna ad accumulo di globuli bianchi, che contribuiscono alla guarigione del tessuto danneggiato. L'infiammazione scatena un “incendio” che se non viene spento completamente rimane attivo fino a diventare cronico e perciò é indispensabile rimediare quanto prima possibile. Le infiammazioni sono provocate soprattutto dai radicali liberi, che sono i responsabili del cosidetto stress ossidativo nelle cellule del nostro organismo e che contribuiscono a causare molte malattie (infarto, ictus, cancro, cataratta, alzheimer). L'infiammazione sistemica e di bassa intensità é il segnale che fa capire che qualcosa non sta andando bene e che bisogna intervenire. I cibi anti-infiammatori che proteggono il nostro organismo sono numerosi; ma i sei più importanti ed efficaci sono: 1) i pomodori (meglio ancora se cotti), sono ricchi di licopene, che é un potente antiossidante, e danno ottimi risultati in caso di infiammazioni associate al sovrappeso; 2) l'olio extravergine di oliva, che contiene l'oleo cantale (che é quasi un farmaco antinfiammatorio); 3) la frutta a guscio: mandorle, noci, pistacchi - sono protettori nei confronti delle malattie cardiovascolari e del diabete in quanto riducono i marcatori dell'infiammazione; 4) verdure a foglia verde, ricche di folati (vitamina B9) difendono da diabete e tumori; 5) pesce ricco di omega 3 – acidi grassi essenziali; 6) frutti di bosco - frutta e verdure fresche di stagione, contengono antiossidanti - la vitamina C (kiwi, agrumi, ananas, ribes, peperoni, broccoli, papaia, prezzemolo, cavoletti di bruxelles, spinaci, radicchio e fragole) - la vitamina E previene l'ossidazione di acidi grassi polinsaturi provocata dai radicali liberi, é liposolubile e si trova in olio di oliva, nelle nocciole e nelle mandorle, nell'avocado, nelle albicocche, negli spinaci e nelle uova. * Medico, presidente dell'associazione “Più vita in Salute”

Le ragioni della spinta verso la "nutraceutica"

Con crescente frequenza, a partire dai primi anni 2000, si è fatto ricorso, soprattutto nella pubblicistica, al termine di “nutraceutica”, crasi di nutrizione e farmaceutica. Si tratta di un neologismo, la cui origine risale alla fine degli anni ’80 e che quindi è coevo a quello di alimentazione funzionale. I nutraceutici sono sostanze che svolgono comprovate funzioni fisiologiche o attività biologiche, derivate mediante le tecniche della sintesi farmaceutica da piante, agenti microbici e alimenti. I nutraceutici possono essere assunti attraverso i cibi funzionali da essi arricchiti oppure sotto forma d’integratori in compresse, capsule, fiale o polveri solubili. Si tratta quindi di una categoria a cavallo tra l’alimentazione funzionale e gli integratori. “La dimensione mondiale del mercato dei cibi funzionali – si legge in un fresco rapporto dell'Area studi di Mediobanca - è stimata a fine 2021 in circa 500 miliardi di dollari, con aspettative di crescita a un tasso medio annuo al 6,9% che porterebbe il comparto a 750 miliardi nel 2027. La categoria più consistente è quella dei cibi per il controllo del peso (slimming o weight management), pari a 214 miliardi di dollari, seguita dagli integratori, che valgono a livello globale 140 miliardi (+7,7% le attese). I baby food arrivano a 73 miliardi (+6,5%), ma sono le specialità vegan (25 miliardi, +9%) a mostrare le attese più rosee”. Sono diversi i trend di lungo periodo candidati a sostenere la crescita del mercato dei cibi funzionali. In primo luogo, l’allungamento della speranza di vita ha comportato l’aumento della quota di popolazione longeva, con conseguente incremento dei costi sanitari. Ciò ha reso evidente ai sistemi di sanità pubblica la necessità di favorire l’ingresso della popolazione nella fascia di età avanzata in condizioni di relativa buona salute e benessere complessivo. A tale obiettivo concorre certamente un regime alimentare in cui l’assunzione dei nutrienti necessari avvenga in maniera corretta e bilanciata, riducendo la probabilità d’insorgenza delle patologie fisiche e intellettive tipicamente legate all’avanzare dell’età (malattie cardiovascolari, osteoporosi, disturbi della vista, deterioramento delle funzioni cerebrali, ecc.). Tuttavia, è sempre più evidente la diffusione di stili di alimentazione disordinati e squilibrati, ipercalorici e iperlipidici. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, infatti, il 39% di coloro che hanno più di 18 anni è in sovrappeso, con sostanziale raddoppio dal 20% del 1975. Inoltre, circa il 13% della popolazione mondiale si trova in condizione di obesità, un valore in questo caso triplicato dal 1975. Il sovrappeso e l’obesità tra i bambini e gli adolescenti di età compresa tra 5 e 19 anni sono aumentati a livello mondiale dal 4% del 1975 a poco più del 18%. A fronte di circa 900 milioni di persone sottonutrite nel mondo, ve ne sarebbero 1,5 miliardi obese o sovrappeso, tanto che i decessi annui per mancanza di alimentazione (circa 36 milioni) non sono troppo distanti da quelli per suo eccesso (29 milioni). I costi diretti e indiretti legati al disordine alimentare e ai connessi problemi metabolici sono enormi. Le pur incerte stime li indicano complessivamente in 4.800 miliardi di dollari all’anno, vicino al 3,5% del Pil mondiale, con picchi del 4,8% in America Latina (circa 500 miliardi di dollari) e del 4,3% nel Nord America (1.000 miliardi). Il vulnus economico per l’Europa è stimato in circa 900 miliardi, oltre il 3% del suo Pil. Inoltre, al di là di un’eccessiva assunzione calorica o lipidica, vi è anche un tema di qualità del cibo. Porzioni significative della popolazione seguono un regime alimentare connotato da carenza di componenti nutrizionali essenziali al mantenimento di un adeguato stato di salute. Una dieta bilanciata richiederebbe, ad esempio, un’incidenza del 50% nel consumo di frutta e verdura, mentre nella popolazione adolescente europea tale porzione è limitata al 17%. Sempre in Europa il consumo di zuccheri è del 15% superiore ai livelli raccomandati, del 47%; il consumo di carne li eccede del 36% (38% le carni rosse, 51% gli insaccati). Il riassortimento della dieta ridurrebbe le morti legate al disordine alimentare del 15%, ma un’ampia porzione della popolazione non appare in grado di organizzare la propria alimentazione quotidiana per raggiungere le soglie raccomandate. E merita ricordare che una non trascurabile fascia della popolazione mondiale nutre un atteggiamento di diffidenza verso i farmaci, paventandone l’assuefazione e gli effetti collaterali. Tale tendenza è potenziata dalle crescenti evidenze di resistenza microbica ai farmaci, che si sviluppa quando microrganismi come batteri, virus, funghi e parassiti mutano in modo da rendere inefficaci i presidi farmacologici utilizzati per il loro contrasto. Si tratta di un fenomeno naturale che viene accelerato da comportamenti impropri, quali l’abuso di antibiotici, la loro dispersione accidentale nell'ambiente con reingresso nella catena alimentare o, ancora, lo smaltimento non controllato di quelli non utilizzati o scaduti. Il fenomeno della resistenza antimicrobica può contribuire a spingere i consumatori verso la nutraceutica, in particolare quella cui sono associati effetti di potenziamento delle risposte del sistema immunitario. L’emergenza pandemica ha agito da ulteriore acceleratore: l'epidemia ha provocato in particolare un'impennata nella domanda di alimenti e integratori con funzione di supporto del sistema immunitario. Gli integratori a base di vitamina C sono stati particolarmente ricercati. Sebbene nessuna vitamina o cibo, in qualunque quantità, sia in grado di impedire il contagio da Covid-19 una volta che una persona è stata esposta al virus, è pur vero che le persone che soffrono di carenze nutrizionali hanno maggiori probabilità di soffrire delle complicazioni indotte da qualsiasi infezione o malattia e la cattiva alimentazione rientra tra i tanti fattori che potrebbero contribuire a una debole risposta immunitaria. L’Italia ha una posizione di particolare rilievo con riferimento al mercato degli integratori la cui dimensione è pari a circa 3,8 miliardi di euro nel 2020. Si tratta del primo mercato europeo, stimato valere 14,6 miliardi, con una quota del 26%, davanti alla Germania (18,8%), alla Francia (14,7%), al Regno Unito (9,5%) e alla Spagna (7,2%). Le aspettative di crescita del mercato europeo sono nell’ordine del 6% annuo, con l’Italia che dovrebbe toccare nel 2025 una dimensione pari a 4,8 miliardi. Tra il 2008 e il 2020 il mercato italiano degli integratori è triplicato, con una crescita media annua superiore al 9%. La forte propensione dei consumatori italiani per gli integratori è evidente considerando che la loro spesa media procapite è di circa 64 euro rispetto ai 33 della Germania, ai 32 della Francia e ai 21 del Regno Unito. Si stima che in Italia il 54% della popolazione faccia ricorso agli integratori, rispetto a quote che si collocano tra il 20% e il 25% in Germania, Francia e Regno Unito. Da tenere presente che in Italia gli integratori sono venduti essenzialmente attraverso il canale delle farmacie e parafarmacie (87% a valore).

mercoledì 9 febbraio 2022

Un micro-telescopio contro la maculopatia senile

Un vero e proprio 'telescopio galileiano' miniaturizzato, è stato messo a punto per restituire, almeno in parte, la vista alle persone affette da maculopatia senile. Lo ha riportato l'Ansa Salute, sottolineando che, per la prima volta in Italia e tra le prime al mondo, questo sistema è stato impiantato su tre pazienti (due uomini e una donna, tra i 65 e gli 80 anni), assistiti dalla Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs, dal professor Stanislao Rizzo, direttore della Uoc di Oculistica del Policlinico Gemelli e ordinario di Clinica Oculistica all'Università Cattolica, campus di Roma. “Questo tipo di trattamento – ha spiegato Rizzo all'Ansa - è riservato ai pazienti con una forma avanzata di maculopatia. La macula è la parte centrale della retina, il tessuto più nobile e sofisticato del nostro organismo, composto da cellule altamente specializzate, i fotorecettori, che trasformano uno stimolo luminoso, un'immagine, in un impulso elettrico che viaggia dalla retina al cervello, nell'area dove la visione si forma. E' la macula che ci consente di vedere i dettagli, di riconoscere i volti dei nostri cari, di vedere i colori e di leggere libri o gli sms sul cellulare”. La maculopatia è un problema sociale di grande rilevanza nel mondo occidentale e lo sarà sempre di più visto l'invecchiamento della popolazione. In Italia è affetto da questa condizione oltre un milione di persone, 200-300.000 dei quali in forma grave. L'intervento è del tutto simile a un intervento di cataratta classica. “Rispetto all'intervento tradizionale – ha commentato il professor Rizzo - cambia solo la larghezza dell'incisione, che è di 2 millimetri nell'intervento classico e di 7 in questo. L'intervento si effettua in day surgery e dura 15-20 minuti”.

venerdì 4 febbraio 2022

Stare col gatto migliora il benessere psicologico

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Il 17 febbraio si celebra la festa nazionale del gatto, istituita in Italia nel 1990 dopo un referendum tra i lettori di una rivista specializzata e ai cosiddetti 'gattari', amanti dei gatti, farà piacere sapere che condividere pezzi di vita con gli adorati mici fa anche bene alla salute. I benefici sembrano essere provati dalla scienza secondo una panoramica sul portale Healthline: avere un gatto ha un effetto calmante, migliora il benessere psicologico, riduce la frequenza di disturbi come mal di testa, mal di schiena e raffreddore, anche se (in media) i benefici sembrano svanire con il passare del tempo.

Come vivere in salute il più a lungo possibile

di Roberto Rey*
Vivere in salute il più a lungo possibile non é solo un desiderio o una speranza, ma é un vero obiettivo raggiungibile con il dovuto impegno. É necessario mettere in atto una strategia utile a evitare le malattie che sono prevedibili e prevenibili, Pur non potendo sperare di vivere tutta una vita in salute é nostro compito impegnarci per ammalarci il meno possibile. Più prevenzione oggi, meno malattie domani. La possibilità di vivere a lungo é in continua crescita. Nei primi anni del 1900 l’aspettativa di vita era di 43 anni per gli uomini e di 45 anni per le donne. Nel 1990 era di 75 anni per gli uomini e di 85 per le donne. Oggi la prospettiva é di 80/85 anni per gli uomini e di 90 anni per le donne. La terza età può essere una fase della vita, più o meno brillante a seconda delle condizioni di salute; di conseguenza dobbiamo sempre mantenere una buona salute durante la vita, per invecchiare bene e con soddisfazione.  Quando abbiamo la fortuna di avere nelle nostre mani un patrimonio importante come la salute, dobbiamo gestirlo nel modo migliore possibile. Ognuno deve metterlo ai primi posti del proprio interesse e lo deve governare con competenza e con attenzione adeguata. Anche se abbiamo a disposizione un buon Servizio Sanitario, sia pubblico che privato, pronto a curarci quando ci ammaliamo, abbiamo comunque il dovere di imparare a mettere in atto le regole della prevenzione, perché vivere in salute é il primo obiettivo. Prevenire le malattie permette di vivere più a lungo e nelle migliori condizioni di salute . Oggi dobbiamo continuare a difendere la nostra salute per garantirci la possibilità di una buona condizione di vita anche nei prossimi anni. La vita media si sta allungando ed é in costante crescita, quindi prevenire le malattie ci può garantire il futuro in quanto la longevità é una fortuna o una sofferenza a seconda delle condizioni di salute. Alcune regole comportamentali da osservare per mantenere la salute: 1. Non fumare e non bere alcolici 2. Dormire bene per circa 7-8 ore ogni notte 3. Evitare stress eccessivi in termini di intensità e durata 4. Non mangiare al di fuori dei tre pasti regolari (colazione, pranzo e cena) 5. Bere un litro e mezzo di acqua al giorno (6/8 bicchieri) 6. Mangiare e nutrirsi in modo corretto (in termini di quantità e qualità) 7. Variare gli alimenti, scegliendo quelli più adatti per le proprie condizioni di salute 8. Controllare il peso corporeo, mantenerlo regolare e costante nel tempo 9. Assumere più antiossidanti e meno radicali liberi. Gli antiossidanti sono un efficace strumento di prevenzione e anche di supporto in caso di malattie; gli antiossidanti esogeni vengono assunti attraverso il cibo (soprattutto attraverso i vegetali) e gli antiossidanti endogeni vengono prodotti dal nostro organismo 10. Controllare i radicali liberi che noi stessi produciamo. Una quantità modesta può essere utile ma non devono mai essere in superiorità numerica rispetto agli antiossidanti 11. Camminare molto e fare attività fisica adeguata 12. Fare esercizi respiratori per garantire una buona ossigenazione di tutti gli organi.  Dieci validi motivi per adottare la prevenzione delle malattie: La prevenzione é tutto quello che può essere fatto per conservare o anche migliorare la salute La salute é un dono, anzi un patrimonio ricevuto alla nascita che bisogna correttamente gestire e proteggere Più prevenzione oggi – meno necessità di cure domani Vivere in salute dipende dalle nostre scelte comportamentali più che dalla buona sorte La prevenzione é lo strumento essenziale per rimanere in salute e va utilizzato in modo corretto ed efficace Con l’aumento della durata della vita é importante un pari aumento degli anni di vita in salute La prevenzione é un ottimo investimento; permette di ottenere guadagni importanti in termini di più salute e minore spesa per le cure e permette di vivere con maggiore serenità e gioia nel contesto della vita quotidiana Prevenire le malattie rallenta l’invecchiamento e l’età biologica, ci fa apparire e sentire più giovani dell’età anagrafica La prevenzione riduce i numeri dei malati e di conseguenza riduce la richiesta e la necessità di cure Più prevenzione: meno malati, migliore assistenza sanitaria e minore spesa.  Prevenire le malattie é fondamentale perché: - Significa vivere in salute e non c’é vita migliore di quella vissuta in salute; - La prevenzione rallenta l’invecchiamento psico-fisico quindi l’età biologica risulta inferiore rispetto a quella anagrafica; - Permette di allungare la vita; - La prevenzione contrasta, riduce e abolisce i fattori di rischio quali: alimentazione scorretta, attività fisica scarsa e scorretta, abitudine al fumo e all’alcol, eccessivo stress, insufficiente sonno/riposo, ressione arteriosa elevata, aAumento di peso – obesità, aumento della glicemia, aumento di trigliceridemia, colesterolemia totale e LDL; diminuzione degli antiossidanti (Vitamine C ed E), dei carotenoidi e dei flavonoidi; elevato stress ossidativo che produce: stanchezza e poca energia, difficoltà a mantenere la concentrazione, perdita di memoria, scarsa qualità del sonno, aumento del peso, umore altalenante, stipsi/diarrea, diminuizione della vista, scarso desiderio sessuale, rughe, macchie cutanee e perdita del tono della pelle. * Medico, presidente dell'associazione “Più vita in salute”

Lotta contro il cancro, l'intervista a Silvia Novello (Unito)

In occasione della Giornata Mondiale Contro il Cancro 2022, Unito News, pubblicazione web dell'Università di Torino, ha fatto il punto sul contrasto alle neoplasie con Silvia Novello, docente di oncologia medica al Dipartimento di Oncologia dell’Università di Torino, responsabile della Struttura Semplice Dipartimentimentale di Oncologia Polmonare al “San Luigi Gonzaga” di Orbassano e presidente di Walce (Women Against Lung Cancer in Europe). Ecco l'intervista. Professoressa Novello, lo slogan della Giornata mondiale contro il cancro 2021 è stato “Io sono e Io farò", che vuole sottolineare l'importanza dell'agire individuale in merito alla prevenzione oncologica. Ma quali sono gli strumenti che i cittadini hanno a disposizione per prevenire il sorgere di eventuali neoplasie? I cittadini hanno in mano strumenti efficaci e possono fare molto in termini di prevenzione primaria. Questo non significa che sia semplice né scontato, ma tanti sono gli accorgimenti e le attenzioni che possono avere nei confronti di loro stessi per ridurre il rischio di malattia tumorale. Partendo dal peggiore: una delle cause di vari tipi di tumore (polmone, testa e collo, pancreas, vescica, etc) è il fumo di sigaretta. Poi ci sono i corretti stili di vita, intesi in senso lato, che comprendono un’alimentazione adeguata e l’attività fisica. Per quanto riguarda l’alimentazione, nulla va esasperato; abbiamo la fortuna di vivere in un contesto geografico che ci offre una dieta equilibrata, se si basa su prodotti locali consumati in modo appropriato. L’attività fisica invece, commisurata all’età e alle possibilità del singolo individuo, è fondamentale. Oggi parliamo di cancro, ma queste attenzioni che il cittadino riserva a sè stesso lo mettono al riparo anche da altre malattie invalidanti molto temute, come le patologie polmonari o cardiovascolari. Infine, quando parliamo di prevenzione ci riferiamo anche a quelle persone che hanno già avuto un cancro e per le quali l’obiettivo è prevenire la ricaduta o l’insorgenza di un nuovo tumore e gli accorgimenti sopra citati li riducono in modo significativo. Negli ultimi anni, le maggiori innovazioni terapeutiche in ambito oncologico sono state l’immunoterapia e la terapia di precisione. Quali sono stati i benefici che queste cure hanno portato ai pazienti e quanto tempo ci è voluto per svilupparle? I tempi per perfezionare queste cure sono stati lunghi, in alcuni casi parliamo di decenni. Ma l’effetto volano che ne è scaturito ha portato ad avere benefici indiscussi e palesi in tempi poi più rapidi per altre categorie di pazienti e malattie. Non si tratta infatti di esercizi scientifici che portano solo a dati utili per la ricerca perchè l’introduzione dell’immunoterapia nel trattamento di malattie come il melanoma e il carcinoma polmonare ne ha modificato la storia. Introdotta in primis nella cura di queste malattie in fase metastatica, ci ha consentito di poter cominciare a parlare di “cronicizzazione”, come facciamo per altre patologie. Abbiamo dati che continuano ad esser positivi anche con lunghi tempi di osservazione - superiori ai cinque anni - insperati con approcci terapeutici precedenti. Per la medicina di precisionem il concetto è ancora più affascinante: con i ricercatori preclinici cerchiamo un “bersaglio” sulla cellula tumorale e sviluppiamo molecole capaci di colpire quel bersaglio, con l’obiettivo di personalizzare la cura, migliorandone l’efficacia e riducendone la tossicità. Obiettivo raggiunto in alcuni casi in modo ottimale, come per il tumore polmonare: già ora, circa un terzo dei pazienti con malattia in stadio avanzato può esser trattato con farmaci a bersaglio molecolare. La sfida vera di queste due terapie sarà il loro inserimento o consolidamento nella malattia precoce, insieme alla chirurgia. In questo caso l’obiettivo diventa l’abbattimento della mortalità. Recentemente il Ministro della Salute, Roberto Speranza, ha dichiarato: “È particolarmente strategico investire nella prevenzione e nella ricerca, supportando la comunità scientifica nella lotta contro il cancro”. Nella sua esperienza da docente e medico, che tipo di supporto ha riscontrato? Il supporto è stato crescente, soprattutto nell’ultimo periodo. C’è stata una sorta di presa di coscienza, vista la situazione, che ha portato a una maggiore erogazione di fondi per la ricerca. Più in generale, sono tre gli ambiti in cui ho visto realizzato praticamente questo sostegno. Innanzitutto, la possibilità effettiva di aumentare i ricercatori e i dottorandi che afferiscono ai vari Dipartimenti, compreso quello di Oncologia UniTo. Per questi ragazzi la sfida sarà avere la forza e la possibilità di tenerli in seno all’Ateneo, anche al termine dell’impegno come ricercatori o dottorandi. Poi c’è stata l’apertura a progetti di ricerca che vedono UniTo come capofila in iniziative che riguardano proprio la medicina di precisione; faccio riferimento, nello specifico, a una tematica del Pnrr con un progetto su Diagnostica e Terapie Innovative nella Medicina di precisione, coordinato dal professor Alberto Bardelli del Dipartimento di Oncologia. Infine, il coinvolgimento dell’Aou San Luigi come sede piemontese per il programma nazionale di prevenzione secondaria per il tumore polmonare, come da delibera proprio del ministro Speranza firmata nel novembre 2021. I dati AIRC ci dicono che in Italia nel 2021 ci sono state circa 377.000 nuove diagnosi di tumore, di cui 195.000 fra gli uomini e 182.000 fra le donne. La distanza tra queste due categorie è sempre più ravvicinata, tanto che lei l’ha definita una “triste parità di genere”. L’aumento del numero di donne affette da cancro da quali fattori dipende? Nel mio pragmatismo non mi piace girare troppo intorno alle cose, preferisco arrivare diretta al punto: il motivo sta nel trascurarsi delle donne, nel non badare a sè stesse nel controllo proprio di quei fattori prima menzionati. A partire dal fumo di sigaretta, che vede le nostre adolescenti primeggiare a livello europeo. Svettare con questi numeri non ci fa certo piacere, ma sta di fatto che la differenza fra donne e uomini fumatori è andata riducendosi, fin quasi ad azzerarsi, per riflettersi poi - con quello che noi chiamiamo “tempo di latenza”, ossia il tempo che intercorre fra l’esposizione a un fattore e lo sviluppo di una patologia - in un aumento di incidenza e mortalità per tumore polmonare e non solo. Una malattia come il tumore polmonare, che era a pressoché unico retaggio maschile, ora è una malattia molto comune fra le donne. Sedentarietà e dieta inadeguata sono certamente altri fattori di rischio. Tra i dati positivi troviamo il tasso di mortalità, che in Italia è in diminuzione e l’aumento della percentuale di sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi del cancro, sia per gli uomini che per le donne. Possiamo leggere questi dati con ottimismo? L’ottimismo deve per forza esistere in oncologia, lo sguardo deve sempre essere rivolto al futuro perché ogni diagnosi può essere potenzialmente anticipata e resa meno invasiva e ogni cura più efficace e meno tossica, ma per questo bisogna continuare ad investire nella ricerca e i cittadini devono affidarsi alla medicina. Purtroppo in questo periodo stiamo riscontrando molto scetticismo da parte dei pazienti, che si sentono disorientati o tendono a fare autodiagnosi. Ma l’appello resta immutato: affidarsi a chi conosce la materia.

Covid, ecco quante persone sono salvate dai vaccini

di Roberto Buzzetti* Una domanda che si sente spesso ripetere è “quanto sono utili i vaccini anti Covid-19?” La risposta che viene normalmente data è in termini di efficacia (riduzione relativa del rischio, o in parole povere, “sconto”). Ad esempio un’efficacia del 90% è da intendersi come il fatto che, a fronte di 100 casi, ogni “n” di non vaccinati, sugli stessi “n” di vaccinati avremo 10 casi. Si è qui provato a riformulare la domanda in un altro modo; ci si è chiesti quanti casi di malattia, di ricovero, di decesso si osserverebbero in totale assenza di vaccino? Per formulare una risposta si sono utilizzati i dati forniti dal Bollettino dell'Istituto Superiore di Sanità del 19 gennaio 2022, con gli eventi (nuovi casi diagnosticati, ricoveri, decessi) avvenuti negli ultimi 30 giorni (dal 3 dicembre 2021 al 2 gennaio 2022), in quattro diverse classi di età. La popolazione (denominatori) è riferita a metà periodo (per i casi di ospedalizzazione e di morte sono indicati gli intervalli temporali nei quali era stata posta la diagnosi di Covid-19). Nella classe di età da 12 a 39 anni tra i non vaccinati si sono verificati 11 decessi su 2.498.210 persone; nella classe di età da 40 a 59 anni tra i non vaccinati si sono verificati 141 decessi su 2.417.183 persone; nella classe di età da 60 a 79 anni tra i non vaccinati si sono verificati 739 decessi su 1.080.476 persone; nella classe di età 80 anni e oltre tra i non vaccinati si sono verificati 883 decessi su 198.565 persone. Se nessuno fosse mai stato vaccinato, ci si sarebbe dovuti aspettare: nella classe di età da 12 a 39 anni 77 deceduti; nella classe di età da 40 a 59 anni 1.075 deceduti; nella classe di età da 60 a 79 anni 9.282 deceduti; nella classe di età 80 anni e oltre 20.342 deceduti e quindi in totale 30.776 decessi, cioè 27.034 in più rispetto ai 3.742 osservati. Queste stime devono considerarsi come orientative e andrebbero raffinate tenendo conto di tutti i fattori che possono interferire, quali il genere (maschi o femmine), la regione di residenza, la presenza di co-morbidità, la pregressa infezione e altro in modo da rendere perfettamente confrontabili i gruppi tra loro. Augurandosi che in un breve futuro possano essere condotti degli studi più puntuali per validare questa ipotesi, si ritiene comunque che l'ordine di grandezza delle cifre calcolate non dovrebbe di molto modificarsi dimostrando così inequivocabilmente l'importanza del vaccino per risparmiare decine di migliaia di vite umane. Comunque, i dati ci confermano in modo inequivocabile che rispetto a un anno fa la letalità è passata dal 34,2 per mille al 4,7 per mille, cioè è diminuita di 7,2 volte. Speriamo che queste evidenze convincano anche gli ultimi riottosi a chiedere di essere vaccinati e ciò permetterà che sia risparmiato a molti di loro un decesso del tutto evitabile. * Epidemiologo clinico (stralcio di un articolo più ampio)

giovedì 3 febbraio 2022

La pandemia ha raddoppiato i giovani in depressione

Un'analisi pubblicata su Jama Pediatrics evidenzia la crisi mondiale della salute mentale, soprattutto fra giovanissimi: “l'incidenza di depressione e ansia fra adolescenti è raddoppiata rispetto a prima della pandemia e oggi – riporta l'Ansa - secondo il report che ha incluso 29 studi condotti su oltre 80.000 giovani, un adolescente su quattro, in Italia e nel mondo, ha i sintomi clinici di depressione e uno su cinque segni di un disturbo d'ansia”. Non solo: la nuova normalità portata dalla pandemia e la didattica a distanza hanno acuito il senso di isolamento dei ragazzi, sempre più presenti on-line, eppure ancora più soli ed esposti agli attacchi della Rete, pericolosa cassa di risonanza per bullismo e cyber bullismo, due facce della stessa medaglia in preoccupante ascesa. Nel 2021, complice il raddoppio del tempo trascorso “connessi”, il numero di casi di vessazioni online fra ragazzi è cresciuto del 59%: in Italia ne è vittima il 37% degli studenti fra i 13 e i 15 anni, mentre un ampio 31% ha subito violenza fisica. La pandemia degli ultimi due anni ha accelerato ed esasperato gli atti di cyber bullismo e creato le cosiddette ‘classi connesse’. Questo significa che la scuola non finisce più quando suona la campanella e gli studenti vanno a casa; così, anche gli atti di bullismo che un tempo rimanevano confinati all’interno dell’istituto, proseguono spesso in rete. Chi subisce atti di cyber bullismo si sente assediato, inseguito anche dentro casa propria, senza possibilità di rifugio o via di fuga. Il bullismo è una forma di comportamento aggressivo e intenzionale, di natura sia fisica che psicologica, oppressivo e vessatorio, ripetuto nel corso del tempo e attuato nei confronti di persone considerate come bersagli facili o incapaci di difendersi, che tendono a subirlo con rassegnazione e mancanza di autostima. Un fenomeno che trova sul web un naturale palcoscenico, dando vita alla sua declinazione “cyber”. Come ricorda l'Ansa, l’Italia è stato il primo paese europeo a introdurre la parola cyber bullismo all’interno del proprio ordinamento grazie alla Legge N. 71 del 2017 che all’articolo 2 lo definisce come “qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d'identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonchè la diffusione di contenuti on line aventi ad oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo”. I dispositivi digitali come cellulari, computer, e tablet si trasformano, quindi, in pericolosi veicoli per la condivisione di informazioni negative, oscene o false, come immagini, testi o video che possono compromettere le informazioni personali della persona vittima dell’attacco e danneggiare la sua reputazione e autostima.

I rischi e le cause del "fegato grasso"

di Rodolfo Rocca, C. Martelletti, A. Armandi Uno dei più frequenti riscontri all’ecografia dell’addome superiore, eseguita per i più svariati motivi (prevenzione, dolore addominale, follow-up oncologico) è rappresentato dalla steatosi epatica. In linea generale, si tratta di un riscontro casuale in quanto questa condizione, nella maggior parte dei casi, è asintomatica . La steatosi epatica, usualmente nota come “fegato grasso”, è una condizione medica caratterizzata da un accumulo anomalo ed eccessivo di trigliceridi (grasso) all’interno degli epatociti (le cellule del fegato). Quando oltre il 5% degli epatociti è interessato da questo iperaccumulo, la steatosi epatica viene rilevata durante l’esame ecografico. Tra le cause che possono portare alla steatosi, sicuramente le più comuni sono l’abuso alcolico (Alcoholic Fatty Liver, ALF) o la presenza di fattori di rischio metabolici quali l’obesità e il diabete (Non-Alcoholic Fatty Liver, NAFL), di cui la malattia epatica diventa una spia. La steatosi semplice è considerata una condizione benigna, con basso rischio di progressione a malattia avanzata; tuttavia, è da sottolineare che una percentuale significativa di soggetti con NAFL (10-15%) e con ALF presenta un’infiammazione più severa del fegato. Tale infiammazione, con il passare del tempo e in particolari condizioni, può determinare cicatrici fibrose all’interno del fegato in misura sempre maggiore, fino al suo completo sovvertimento, arrivando alla cirrosi con le sue temibili complicanze, incluso il tumore al fegato (epatocarcinoma). La malattia da fegato grasso (NAFLD), che include la NAFL, la NASH e la cirrosi, è associata all’obesità e al diabete mellito di tipo 2 (mediati dall’insulino-resistenza) e alla sindrome metabolica (ipertensione arteriosa, basso colesterolo HDL, ipertrigliceridemia, aumento della circonferenza addominale, intolleranza glicidica o franco diabete). Quindi, particolare attenzione deve essere posta ai pazienti obesi o diabetici, poichè sviluppano più frequentemente la NAFLD e nei quali la malattia di fegato ha più probabilità di progredire verso una cirrosi. La steatosi epatica, inoltre, risulta associata alle più conosciute patologie cardiovascolari, quali l’infarto miocardico e l’ictus, causate anch’esse dall’accumulo eccessivo di “grasso” nei vasi sanguigni. In Italia, il progressivo cambiamento dello stile di vita e delle abitudini alimentari degli ultimi decenni ha influenzato in modo significativo l’epidemiologia di tale patologia. Nella popolazione adulta si stima una prevalenza di NAFLD del 25%, valore certamente significativo; i dati epidemiologici più drammatici riguardano la popolazione pediatrica in cui l’obesità, e di conseguenza la steatosi epatica, stanno nettamente aumentando. Infatti, lo stile di vita riveste un ruolo importante nello sviluppo e nella progressione di tale condizione: dieta ipercalorica, dieta ricca di grassi (saturi), alto consumo di fruttosio (contenuto nelle bibite zuccherate e nei prodotti da forno industriali) e la sedentarietà, di fatto, sono strettamente associati al fegato grasso, perché inducono nell’organismo uno stato di insulino-resistenza. La NAFLD è destinata a diventare negli anni a venire la causa primaria di cirrosi ed epatocarcinoma, nonché prima indicazione a trapianto di fegato, superando le ben più note eziologie: epatite C, epatite B e abuso alcolico. È oltremodo necessario valutare la presenza di familiarità per la suddetta patologia (sono conosciute cause genetiche che portano allo sviluppo di NAFLD in assenza dei noti fattori di rischio) e la presenza di comorbidità associate alla stessa.
In considerazione dell’alta prevalenza di questa condizione nella popolazione e delle sue potenziali implicazioni cliniche, appaiono quindi di fondamentale importanza sia la sua precoce individuazione sia una prevenzione efficace. Di fronte al riscontro ecografico di steatosi epatica bisogna dunque escludere: altre cause di malattia di fegato, il consumo eccessivo di alcol, l’assunzione di farmaci potenzialmente epatotossici, valutare le comorbidità associate sopra menzionate. L’esecuzione degli esami del sangue, per valutare la funzionalità epatica, e dell’ecografia associata all’elastografia epatica che valuta l’entità della fibrosi, può fornire elementi sufficienti a formulare diagnosi di steatosi epatica avanzata e da sorvegliare attentamente. Qualora emerga una fibrosi significativa all’elastografia o un’alterazione rilevante agli esami ematochimici, oppure se si rientra in un gruppo ad alto rischio di progressione, può essere utile eseguire una visita specialistica epatologica per seguire il corretto iter diagnostico e terapeutico. Nei pazienti con elevato sospetto di progressione di malattia, può essere indicata l’esecuzione di una biopsia epatica per una corretta stadiazione del danno. Non ci sono farmaci approvati per il trattamento della NAFLD. La prima linea di terapia, raccomandabile in tutti i pazienti con il fegato grasso e anche finalizzata al contenimento del rischio cardiovascolare, è non-farmacologica ed è perseguibile attraverso la modificazione dello stile di vita: un aumento dell’attività fisica aerobica quotidiana, una corretta ed equilibrata alimentazione (ridurre grassi, zuccheri semplici ed incrementare verdura, frutta lontano dai pasti, pesce e carni magre), un consumo alcolico contenuto e un graduale calo ponderale sono associati ad un miglioramento della malattia epatica. E' inoltre raccomandabile l’ottimale controllo dei disordini metabolici concomitanti, in particolare il diabete mellito (se possibile con farmaci che danno beneficio anche alla malattia epatica), l’ipertensione arteriosa e la dislipidemia.

L'arma della prevenzione contro la malattia mentale

di Filippo Bogetto*
Come in tutta la medicina, anche in psichiatria la prevenzione si può suddividere in: primaria (prima della comparsa di segnali psicopatologici), secondaria (quando si presentano elementi psicopatologici non ancora tali da permettere una diagnosi clinica definita), terziaria (volta a mantenere la salute mentale dopo un episodio patologico), quaternaria (si propone di evitare gli eccessi terapeutici). L'azione preventiva, come quella terapeutica, riguarda fattori biologici, psicologici e sociali strettamente connessi fra loro e che si influenzano l'un l'altro. La prevenzione primaria può rivolgersi alla popolazione generale o, più selettivamente, a popolazioni a rischio in relazione a fattori specifici. Fra questi si possono distinguere fattori perinatali quali infezioni materne, complicazioni ostetriche, scarsa nutrizione, farmaci inappropriati; fattori infantili quali la salute fisica, traumi, modificazioni epigenetiche dovute a influenze negative dell'ambiente sulle attività regolate dai geni; fattori puberali e adolescenziali, quali cambiamenti cerebrali e ormonali e abuso di sostanze; fattori familiari, quali depressione materna perinatale, trascuratezze genitoriali, maltrattamenti, malattie mentali; fattori sociali, quali bullismo, abusi, isolamento, stigma. Su questi ultimi fattori, interventi psicopedagogici e psicoterapeutici possono aumentare la resilienza, cioè la capacità di adattarsi bene dopo avversità, traumi, situazioni stressanti.  La prevenzione secondaria può permettere di intervenire tempestivamente in caso di sintomi e comportamenti non ancora definibili come patologici. Un esempio può essere costituito da vissuti d'ansia e di tristezza temporanei e correlati a riconosciute difficoltà esistenziali. In particolare, nelle età infantili e adolescenziali possono far prevedere futuri sviluppi patologici i ritardi nel linguaggio e nella motricità, l’irritabilità, l’iperattività con problemi di condotta, le difficoltà cognitive, le difficoltà nei rapporti sociali. Anche in questi casi, si è dimostrata l'efficacia di interventi precoci, in particolare psicoterapeutici, al fine di prevenire l'insorgenza di disturbi d'ansia, depressivi, del comportamento alimentare e dell'abuso di sostanze.  La prevenzione terziaria mira a far sì che un episodio psicopatologico non si ripresenti o si cronicizzi o lasci conseguenze negative. Due esempi rilevanti sono rappresentati dal disturbo bipolare, caratterizzato dal ripetersi di episodi di depressione e di euforia, e dalla schizofrenia. Nel disturbo bipolare il provvedimento più importante rimane l'assunzione dei sali di litio, per tempi prolungati; nella schizofrenia occorre il mantenimento di un’adeguata terapia antipsicotica, naturalmente modulandone le dosi. In associazione vanno proseguiti interventi psicoterapeutici e psicoriabilitativi.  La prevenzione quaternaria può essere riassunta dicendo che le terapie psicofarmacologiche non devono essere demonizzate, come purtroppo sovente avviene, in quanto costituiscono un presidio fondamentale nella cura delle malattie mentali; purché assunte solo in risposta a una diagnosi accurata. E' facile dire che la follia è in tutti noi, che la creatività è associata a una dose di follia e così via, dimenticando che la malattia mentale è sofferenza, dolore e, a volte, distruzione della vita.  * Professore emerito di Psichiatria – Università di Torino

L'importanza di un buon sonno notturno

di Piergiorgio Strata*
L’attuale pandemia dimostra che i virus continuano a diffondersi, mutano e si adattano facilmente ai nuovi ambienti mentre le nostre armi di difesa sono deboli.  Il nostro attuale nemico si chiama Covid-19. Qui vorrei descrivere alcuni dati che dimostrano come un buon sonno possa fornire un contributo a mantenere efficienti le nostre difese immunitarie. Già nel 1983, un gruppo di ricercatori guidati dall’americano Allan Retschaffen, si chiese se la morte che segue una totale mancanza di sonno fosse dovuta allo stato di disagio e di stress oppure al venir meno del sonno. Con un ingegnoso esperimento sottopose due gruppi di ratti in condizioni di ricevere lo stesso carico di disagio, ma con la possibilità di dormire a un solo gruppo. Gli esperimenti dimostrarono che nei ratti in cui mancava il sonno mangiavano molto di più, ma perdevano peso e vi era un aumento della temperatura corporea. L’aspetto più significativo associato alla perdita di sonno era l’instaurarsi di ferite infette che si manifestano nella regione più profonda della pelle degli animali. Quindi, assieme al rallentamento dei processi metabolici anche il sistema immunitario manifesta evidenti segni di indebolimento. In conclusione possiamo dire che la morte per deprivazione di sonno ha come causa principale il crollo del sistema che difende l’organismo dall’invasione di estranei: i nemici che ci annientano. A sostegno del concetto che la diminuzione delle ore di sonno aumenta la suscettibilità di subire malattie infettive ha trovato la conferma da un altro dato significativo. A un gruppo di volontari di ambo i sessi è stato somministrato, per via nasale, un tipo di rinovirus che causa un raffreddore molto blando. Nella settimana precedente negli stessi individui, tramite un particolare braccialetto, è stata valutata la durata del loro sonno. Ne è venuto fuori che coloro che nella settimana precedente avevano dormito meno, l’incidenza del raffreddore è stata più alta, confermando così che con la diminuzione del sonno aumentano i fattori infiammatori. Interessante quanto riporta Anthony Beevor nel suo libro dal titolo ‘Stalingrado’. Durante la seconda guerra mondiale, tra l’estate del 1942 e il 2 febbraio 1943, le truppe tedesche assediavano la città di Stalingrado. I russi sferravano attacchi di notte rendendo impossibile il sonno dei soldati tedeschi, i quali dovendo rimanere in allerta anche di giorno vivevano in uno stato continuo di carenza di sonno. Hitler inviò Dieter Girgensohn, patologo della sesta armata per svolgere indagini sul fenomeno. Egli notò che l’aumento del numero dei morti non era dovuto ai combattimenti, ma soprattutto per il sopraggiungere di malattie infettive con un tasso di cinque volte superiore al periodo precedente. Abbiamo trascorso un lungo periodo di guerra con un Coronavirus che ha sovvertito il nostro mondo sociale ed economico in tutto il mondo. La guerra ha visto il virus attaccare soprattutto le persone più avanti con l’età, nelle quali notoriamente il sistema immunitario è più debole, ma non abbiamo mai raccomandato di tenere in considerazione l’importanza di riposare bene la notte, che può essere una delle cose migliori per mantenere in perfetta forma il nostro sistema immunitario, così come la nostra salute mentale e il nostro benessere. * Professore emerito, Dipartimento Neuroscienze - Università di Torino