martedì 28 giugno 2022

Antivirale made in Unito contro Covid-19 e nuovi virus

Il progetto di ricerca italo-svedese Viper, guidato dall’Università di Torino e che si propone di studiare nuovi antivirali efficaci contro SARS-CoV-2, ha vinto il prestigioso bando Nato - Science for Peace and Security (SPS) Programme. L’obiettivo di Viper (Learning a lesson: fighting SARS-CoV-2 Infection and get ready for other future PandEmic scenaRios) è rispondere a malattie virali emergenti, attuali e future, attraverso lo sviluppo di antivirali ad ampio spettro. Il network internazionale coinvolto in Viper è composto dai partner svedesi del Karolinska Institutet di Stoccolma e dell’Università di Uppsala e dai partner italiani dell’Università di Torino (Proff. Marco L. Lolli e Giorgio Gribaudo), Università di Messina (Prof.ssa Anna Piperno) e Università di Padova (Prof.ssa Cristina Parolin). Università ed enti di ricerca dei due Paesi saranno impegnati nello sviluppo preclinico della molecola MEDS433, un inibitore dell’enzima diidroorotato deidrogenasi (DHODH) di ultima generazione, dalle potenti attività antivirali ad ampio spettro, capace di inibire la replicazione oltre che di SARS-CoV-2 anche di un’ampia gamma di virus umani. I gruppi di ricerca italo-svedesi, che possiedono competenze scientifiche sinergiche, agiranno come un unico esteso gruppo di ricerca europeo. Viper inizierà ufficialmente il suo percorso attraverso la presentazione dettagliata dei suoi obiettivi progettuali. In tale occasione verrà messa a punto un’agenda di lavoro che vedrà le ricercatrici e i ricercatori coinvolti incontrarsi periodicamente durante i 27 mesi del progetto. Le attività di Viper prevedono lo sviluppo su larga scala di MEDS433 (Torino) a supporto della sperimentazione  in vitro e in vivo, la sua formulazione in innovativi agenti veicolanti (Messina e Uppsala), lo studio in vitro delle proprietà antivirali e del meccanismo molecolare dell’attività antivirale delle molecole formulate (Torino e Padova) e lo studio dell’efficacia delle formulazioni in vivo in un modello murino di SARS-CoV-2 (Stoccolma). Il programma Nato Sps, attivo da oltre sei decenni, è uno dei più grandi e importanti programmi di partenariato dell’alleanza che affronta le sfide della sicurezza del XXI secolo. Attivo in scenari quali cyber defence, sicurezza energetica e tecnologie avanzate, in questo caso Sps viene diretto alla difesa antiterroristica da agenti biologici, affrontando di riflesso una tematica di enorme attualità, data dalla pandemia di Covid-19. Il programma Sps, oltre che sovvenzionare progetti pluriennali di alto impatto tecnologico, promuove la cooperazione scientifica pratica tra ricercatori, lo scambio di competenze e know-how tra le comunità scientifiche della Natp e dei Paesi partner. “Gli effetti devastanti della malattia Covid-19 – sottolinea Marco L. Lolli, docente del Dipartimento di Scienza e Tecnologia del Farmaco dell’Università di Torino e coordinatore del progetto – hanno insegnato al mondo come, in assenza di farmaci antivirali ad ampio spettro, sia difficile controllare la diffusione iniziale di una pandemia emergente e di riflesso salvare vite umane nell’attesa dello sviluppo di vaccini e farmaci specifici per il virus emergente”. MEDS433 è un antivirale interamente “made in UniTo”. Infatti è stato inventato e caratterizzato chimicamente dal gruppo di ricerca MedSynth del prof. Lolli al Dipartimento di Scienza e Tecnologia del Farmaco e la sua attività antivirale ad ampio spettro, nei confronti di un'estesa varietà di virus umani, sia a Dna che a Rna, compresi i più importanti virus respiratori, è stata definita nel Laboratorio di Microbiologia e Virologia del Dipartimento di Scienza della Vita e Biologia dei Sistemi, diretto dal prof. Giorgio Gribaudo, sempre all’Università di Torino. “Data la sua potente attività antivirale a concentrazioni nanomolari e la bassa tossicità, MEDS433 – conclude il Pprof. Lolli – può essere considerato un nuovo e promettente antivirale, non solo perché arricchisce il nostro armamentario farmacologico contro SARS-CoV-2, ma anche per affrontare futuri eventi pandemici. Siamo molto orgogliosi che questo consorzio si sia formalizzato perché avremo gli strumenti necessari per portare MEDS433 alla sperimentazione umana, cosi da fornire una soluzione strategica per affrontare le fasi iniziali della diffusione di un nuovo virus emergente”.

giovedì 23 giugno 2022

Il Piemonte investe 23 milioni per avere nuovi OSS

Al via una nuova misura per la formazione degli operatori socio sanitari in Piemonte: con un investimento di 23 milioni, l’assessorato regionale alla Formazione professionale finanzia nuovi corsi che saranno organizzati in tutto il Piemonte. Un intervento che ben si inserisce in una politica condotta dall’assessore Elena Chiorino (foto), che sostiene e supporta la formazione professionale attraverso la certificazione delle competenze anche in ambito sanitario. Nello specifico, i corsi saranno rivolti a giovani e adulti, disoccupati, ma anche occupati, ai quali verrà rilasciata la qualifica di OSS.  La vera novità della misura è la compartecipazione ai costi dei soggetti interessati, fino a un massimo di 1.500 euro per partecipante, in base alle fasce Isee; per i redditi inferiori ai 10 mila euro, il corso sarà interamente gratuito, poiché finanziato dalla Regione Piemonte. Fino al 12 luglio sarà aperto il bando per individuare le agenzie formative che organizzeranno i corsi. Per l’assessore regionale alla Formazione professionale, la misura ha il duplice obiettivo: soddisfare il più possibile il fabbisogno di personale qualificato che oggi è tra le figure più ricercate e favorire l’occupazione dei giovani e degli adulti, qualificando ex novo o rafforzando le competenze di coloro che già lavorano o hanno lavorato in strutture sanitarie, socio-sanitarie o socio-assistenziali. Per l’assessore Chiorino un nuovo “traguardo formativo” - 1.000 ore, di cui 440 in stage - in grado di rispondere velocemente all’esigenza sanitaria, attraverso un’offerta formativa mirata. Per informazioni legate al bando è possibile consultare la pagina all’indirizzo: https://bandi.regione.piemonte.it/contributi-finanziamenti/offerta-formativa-regionale-operatore-socio-sanitario-periodo-2022-2024.  

mercoledì 22 giugno 2022

Tumore al pancreas, nuova scoperta di Unito

Un nuovo studio preclinico, svolto al Centro di Biotecnologie Molecolari “Guido Tarone” dell’Università di Torino, ha reso possibile la scoperta di una nuova terapia focalizzata per un sottogruppo di pazienti affetti da neoplasia maligna del pancreas. Il gruppo di ricerca guidato dalla professoressa Miriam Martini e dal professor Emilio Hirsch ha dimostrato che la proteina PI3K-C2γ gioca un ruolo chiave nello sviluppo del tumore al pancreas. L'indagine scientifica ha permesso di far luce sui meccanismi di sviluppo di questo tumore e potrebbe consentire, in futuro, di massimizzare l’efficacia delle attuali opzioni terapeutiche di uno dei tumori attualmente più aggressivi. In Italia, ogni anno vengono diagnosticati circa 13.000 nuovi casi di tumore al pancreas e la percentuale di sopravvivenza a cinque anni è meno del 10%. Si prevede che, entro il 2030, il tumore al pancreas diventi la seconda causa di morte oncologica. La gravità e la mancanza di trattamenti efficaci rendono necessari studi per la ricerca di nuove terapie e marcatori che possano aiutare a scegliere il farmaco più efficace. Per poter crescere, le cellule tumorali hanno bisogno di nutrienti e fonti d’energia. L’aggressività del tumore al pancreas è dovuta alla capacità di adattarsi in condizioni avverse, come ad esempio la scarsità di nutrienti e fonti energetiche, che vengono sfruttate dalle cellule per sopravvivere. Recentemente, sono stati sviluppati farmaci che impediscono l’utilizzo di tali nutrienti, come ad esempio la glutammina. PI3K-C2γ controlla la via di segnalazione intracellulare di mTOR, che regola il metabolismo e la crescita della cellula e influisce sull’utilizzo della glutammina per favorire la progressione tumorale. Nel tumore al pancreas, la proteina PI3K-C2γ non è presente in circa il 30% dei pazienti, i quali sviluppano una forma maggiormente aggressiva della malattia Maria Chiara De Santis, primo autore dello studio pubblicato sulla prestigiosa rivista internazionale Gut, ha dimostrato che la perdita di PI3K-C2γ accelera lo sviluppo del tumore, ma allo stesso tempo rende più sensibili a farmaci che colpiscono mTOR e all’utilizzo della glutammina. Lo studio guidato dagli scienziati di UniTo è stato frutto di un intenso lavoro di collaborazione con gruppi nel territorio italiano e internazionale, tra cui quelli dei professori Francesco Novelli, Paola Cappello e Paolo Ettore Porporato (Università di Torino), Andrea Morandi (Università di Firenze), Vincenzo Corbo e Aldo Scarpa (Università di Verona), Gianluca Sala e Rossano Lattanzio (Università di Chieti) ed Elisa Giovannetti (Università di Amsterdam e Fondazione Pisana per la Scienza).

martedì 21 giugno 2022

In Piemonte arriva lo psicologo delle cure primarie

Su proposta dell’assessore della Regione Piemonte alla Sanità, Luigi Icardi (foto), la giunta regionale ha approvato l’attuazione del Progetto innovativo di istituzione dello ‘Psicologo delle Cure Primarie’ per l’anno 2022 e il relativo finanziamento statale. La somma messa a disposizione dalla Regione alle Aziende sanitarie locali del Piemonte è di 1.837.616 euro. Come sottolineato dall’assessore alla Sanità, la diffusa precarietà, sia economica che di salute, indotta dalla pandemia e l’isolamento vissuto in particolar modo da adolescenti e soggetti fragili hanno inevitabilmente comportato un aumento del disagio psichico e lo sviluppo di situazioni psicopatologiche che necessitano di una tempestiva presa in cura psicologica o psichiatrica. Intenzione della Regione è utilizzare le risorse statali in arrivo per potenziare e rendere omogenee sul territorio piemontese le prestazioni di tipo psicologico. Nello specifico, il fondo sarà finalizzato ad allineare i bisogni delle comunità e dei pazienti, anche alla luce delle criticità emerse durante l’emergenza pandemica; rafforzare le strutture e i servizi sanitari di prossimità e i servizi domiciliari; sviluppare la telemedicina e superare la frammentazione e la mancanza di omogeneità dei servizi sanitari offerti sul territorio; sviluppare soluzioni di telemedicina avanzate a sostegno dell’assistenza domiciliare. Lo psicologo delle Cure primarie sarà lo specialista di riferimento del territorio, attualmente nel Distretto sanitario e successivamente all’interno delle Case di Comunità, diventando il punto di riferimento continuativo per tutta quella fetta di popolazione che ha necessità di una prima presa in carico di tipo psicologico. I servizi specialistici di psicologia delle Aziende sanitarie locali saranno coordinati dalle Strutture di Psicologia con competenze sovra locali e ogni Asl dovrà individuare un referente aziendale psicologo responsabile del progetto innovativo. Dallo studio multicentrico internazionale dell’Organizzazione mondiale della Sanità risulta che il 24% dei pazienti che si reca dal medico di famiglia presenta un disturbo psicopatologico: le forme di disagio psicologico più frequenti sono la depressione, con una prevalenza del 10,4% e il disturbo d’ansia generalizzata, la cui prevalenza è del 7,9%. Attualmente le problematiche di tipo psicologico, sia primarie che conseguenti a stati di cronicità o invalidità (malattie cardiovascolari, i tumori, le malattie respiratorie croniche, il diabete e la depressione), sono presenti nel 21-26% dei pazienti che afferiscono ai Servizi della medicina di base.

domenica 19 giugno 2022

I piemontesi "promuovono" medico di famiglia e ospedali

Secondo una fresca indagine di Ires Piemonte, i piemontesi sono soddisfatti del servizio sanitario regionale, in particolare dei medici di famiglia e gli ospedali locali. “La pandemia sembra aver rafforzato nell’opinione dei piemontesi l’importanza e l’utilità dei servizi pubblici” scrive Ires Piemonte. E focalizzando l’attenzione su quelli connessi alla salute, si conferma il primato dell’apprezzamento per i medici di famiglia: il 79,4% delle persone intervistate ha espresso un giudizio positivo,dichiarandosi abbastanza (63,7%) o molto soddisfatto (15,7%), in leggero aumento rispetto all’anno precedente (78,4%). I più soddisfatti sono i giovani con età compresa tra 18 e 24 anni (87,7%) e le persone con età maggiore di 64 anni (84,6%), fascia in cui si concentra un ricorso maggiore al medico di medicina generale. Una maggiore frequenza di giudizi positivi si riscontra nel quadrante Metropolitano (82,2%), seguito dai quadranti Nord Est, Sud Est (quasi 77%) e Cuneese (75,2%). Sui servizi pubblici ospedalieri il 70,8% delle persone esprime un giudizio positivo dichiarandosi abbastanza (63%) o molto soddisfatto (7,8%), anche questo dato è in aumento di un punto percentuale rispetto all’anno precedente. Le donne sono un po’ più soddisfatte degli uomini (72,3% verso 69,2%), così come i giovani (18-24 anni) e gli over 64, analogamente a quanto riscontrato per il medico di famiglia. Emergono importanti differenze territoriali: l’apprezzamento dei servizi ospedalieri è superiore nel quadrante Cuneese (79,7%), minore nei quadranti Nord Est (72,2%), Metropolitano (71,4%) e Sud Est (59,1%).

A Torino parco delle tecnologie innovative per la salute

A Torino è stata presentata alle imprese piemontesi PAsTISs - PArco per le Tecnologie Innovative per la Salute, la nuova infrastruttura di ricerca congiunta del Politecnico e dell'Università degli Studi di Torino che risponde alla necessità di sviluppo e innovazione tecnologica per la salute e per il benessere, con il fine ultimo di creare sinergia tra scienza, industria e cittadini. Durante l’evento è stato possibile visitare i laboratori e apprezzare le attrezzature della nuova infrastruttura che si trova nel cuore della Cittadella Politecnica. Pastiss, all'avanguardia nell'ingegneria biomedica, mira ad aggregare il know-how e le strumentazioni necessarie per lo studio della materia vivente e per lo sviluppo di nuove tecnologie diagnostiche, terapeutiche e sportive. L’infrastruttura è stata co-finanziata da Politecnico, Università di Torino e da fondi europei Fesr (Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale) attraverso il bando infra-P della Regione Piemonte. Si tratta di un’infrastruttura di ricerca aperta che mette a disposizione servizi per le imprese e per altri centri di ricerca. Nel corso dell’evento è stato presentato alle aziende il vasto catalogo di servizi offerti da Pastiss e anche alcuni casi di studio di collaborazioni di successo con le aziende nelle aree ICT per la salute (Cionic Inc), Biomeccanica integrativa (Apr), Nuovi materiali e nanotecnologie per le applicazioni biologiche (R&D Nobil Bio Ricerche). “Pastiss è frutto della strategia del nostro ateneo indirizzata al trasferimento tecnologico verso le imprese e all’impatto sulla società - ha spiegato il professor Alberto Audenino, coordinatore dell’infrastruttura di ricerca - strategia perseguita sia valorizzando pienamente le nostre competenze settoriali in ottica multidisciplinare sia collaborando con l’Università di Torino e il Polo BioPMed. Fondamentale è stato il supporto della Regione Piemonte che ci ha aiutati a creare un solido sistema territoriale di ricerca integrata sulle tecnologie per la salute. Il PNRR nazionale e l’S3 2021-27 regionale ci confermano che la direzione che abbiamo intrapreso è quella giusta, ci incoraggiano a incrementare il nostro impegno; non possiamo mancare agli appuntamenti, noi ci saremo”.

mercoledì 15 giugno 2022

Prevenzione: scompenso cardiaco e malattie renali relazioni di Marco Ribezzo e Franca Giacchino

di Ernesto Bodini*
Le ultime due conferenze dei Lunedì della Salute e della Prevenzione, organizzati a Torino dall'Associazione Più Vita in Salute, presieduta da Roberto Rey e coordinata da Giovanni Bresciani, sono state dedicate ai temi della “Prevenzione e prospettive terapeutiche dello scompenso cardiaco”, a cura del dott. Marco Ribezzo (foto) della Clinica Maria Pia Hospital (Torino), e “Perché parlare di reni, cuore e sistema vascolare in modo unitario?”, a cura della nefrologa dott.ssa Franca Giacchino dell’Università di Torino. Entrando subito nel merito della sua relazione, il dott. Ribezzo ha spiegato che l’insufficienza cardiaca (o scompenso cardiaco) è una grave condizione medica che impedisce al cuore di pompare una quantità sufficiente di sangue per soddisfare le esigenze del nostro corpo, e può essere causata da condizioni mediche che danneggiano o aumentano il carico di lavoro del cuore. «I sintomi dello scompenso cardiaco – ha ricordato – sono aspecifici, ossia non facilmente comprensibili; tuttavia, si possono rilevare segnali come la stanchezza, la sonnolenza per carenza di ossigeno al cervello, dolori addominali (angina abdominis) per carenza di ossigeno alle anse intestinali, oppure problemi alle coronarie con dolori al petto, tosse per sofferenza polmonare, etc. (angina pectoris). E quando lo scompenso cardiaco si fa più evidente i disturbi sono facilmente individuabili come l’affaticamento e la spossatezza, la mancanza di fiato e ritenzione di liquidi; quando la parte sinistra del cuore è particolarmente affaticata viene meno il fiato, se invece è la parte destra più affaticata si verifica la ritenzione di liquidi con edemi (gonfiori) agli arti inferiori». È dato a sapere che l’ipertensione arteriosa (I.P.) non curata o non ri-conosciuta tempestivamente è l’evento patologico più frequente (cardiopatia ipertensiva), tant’è che un paziente su tre è affetto da ipertensione. Ma altro evento patologico che può manifestarsi è il diabete (un soggetto su tre), patologia che assume una certa importanza se in presenza di comorbilità come ad esempio le dislipidenie, l’ipertensione, etc.; tutti fattori che vanno ad intaccare le pareti delle arterie. «Altre cause – ha precisato il relatore – sono le malattie delle valvole cardiache che nel tempo alterano il normale funzionamento del cuore, in quanto va incontro ad uno sforzo maggiore e quindi favorendo l’attività cardiaca in modo anomalo. Per quanto riguarda le cardiopatie congenite (ossia dalla nascita), negli anni alterano la normale attività cardiaca, e altre malattie colpiscono il cuore sino a causare un progressivo interessamento delle sue pareti, oppure le stesse negli anni si assottigliano con non minori conseguenze. Alcune di queste malattie sono talvolta scritte nel nostro DNA (codice genetico) e non è prevenibile il loro manifestarsi. Inoltre, ci sono le infezioni del cuore (miocardite, endocardite, pericardite), se acuta l’infezione dei tessuti cardiaci crea una disfunzione del muscolo sino a provocare lo scompenso cardiaco». Altre malattie più “impegnative” dal punto di vista della comprensione, sono quelle definite elettriche, ossia relative alla alterazione del ritmo cardiaco (irregolarità), la cui incidenza nella popolazione generale è molto elevata: 15 milioni di casi in Europa, ed è la prima causa di accesso al P.S., e il 30-35% dei ricorsi al P.S. è per scompenso cardiaco in soggetti di età molto diversa, anche se orientativamente sono più gli anziani, mentre la prognosi non è ottimale. «Lo scompenso cardiaco – ha precisato il clinico – dipende dalla causa che lo ha determinato, ed è una manifestazione di malattia che ha un decorso progressivamente peggiorativo. Anche la mortalità non è modesta: si verifica nel 50% dei casi affetti da scompenso cardiaco a 5 anni dalla diagnosi. A tutto ciò influiscono l’età, le comorbilità (altre patologie correlate), lo stile di vita, se i soggetti soni maschi o femmine, le condizioni di vita in genere, la cultura: è stato dimostrato che chi è più acculturato si cura di più; e tutti questi fattori determinano la “velocità di discesa” di questa curva». Ma quali le opzioni terapeutiche? A parte i casi infettivi non esiste una cura, questa patologia non guarisce ma si può gestirla al meglio superando la fase acuta, controllando il suo andamento nel miglior modo possibile. È quindi importante cominciare dalla prevenzione: modificare lo stile di vita in genere, assumere una dieta equilibrata, non fumare e fare regolare attività fisica. Sono comunque disponibili dei farmaci che vanno ad agire sulle cause che hanno determinato l’affaticamento del muscolo cardiaco: antipertensivi, le cui potenzialità consistono nel ridurre l’ipertensione aiutando il cuore nella sua funzione, i betabloccanti che rallentano i battiti cardiaci, i diuretici che contribuiscono a ridurre i liquidi in eccesso. «Altri approcci terapeutici – ha concluso il dott. Ribezzo – sono “più invasivi”, soprattutto in presenza di una vulvopatia, e tale richiede un intervento chirurgico di “riparazione” o sostituzione della valvola difettosa; oppure l’applicazione di un pacemaker dalle molteplici funzioni, o l’applicazione del defibrillatore per ripristinare il ritmo cardiaco. Ultimo provvedimento terapeutico il trapianto cardiaco».
Quanto alla relazione della dott.ssa Franca Giacchino, innazi tutto va rilevato che a volte si dà poca importanza alla funzione dei nostri reni, ma già dal 2010 veniva dimostrato quanto questi organi sono coinvolti a livello vascolare, quindi come il manifestarsi dell’ipertensione arteriosa (I.A.), talvolta come causa altre volte invece come effetto; ma anche il diabete e le cardiomiopatie. Solo recentemente, invece, è stato evidenziato come le malattie renali siano legate anche all’obesità, che costituisce il collante di altre patologie croniche degenerative. «In seguito – ha spiegato la relatrice – si sono considerati alcuni aspetti fisiologici come l’invecchiamento sulla funzione renale, come pure la gravidanza nella donna. In questo periodo pandemico è ulteriormente considerata in modo globale la salute, sottolineando l’importanza della prevenzione con la diagnosi precoce e l’accesso alle cure». Si stima che la malattia renale sia presente nel 10% della popolazione mondiale, con una prevalenza intorno al 7% in Italia (circa 4 milioni di pazienti), ed è l’11ª causa di morte, e nel 2040 si prevede che diventerà la 5ª causa. «La malattia renale – ha precisato – spesso non è riconosciuta facilmente in quanto solitamente è asintomatica (ad eccezione della calcolosi renale), ma se si riesce a diagnosticarla precocemente la si può curare rallentando il suo decorso o fermarlo. Nei casi più ostici il ricorso terapeutico è alla dialisi e, in estrema ratio, al trapianto renale. Attualmente in Italia sono 45 mila i pazienti in dialisi, e il 13% è in lista di attesa per il trapianto, e ogni anno 8 mila persone entrano in dialisi. In Piemonte i pazienti in dialisi sono circa 3.400, e ogni anno altri 700 entrano in dialisi». Ma cos’é la malattia renale? È una disfunzione alterata dell’organo, come ha ben illustrato la relatrice, che può essere stadiata in 5 gradi, e quello più severo è la cosiddetta insufficienza renale, ossia quando la sua funzione è inferiore a 15 ml. Per valutare la funzione renale è fattibile un semplice prelievo di sangue, ricercando il dosaggio della creatinina che deriva dal metabolismo muscolare, il cui valore varia da soggetto e soggetto…; ma la valutazione più completa richiede la raccolta delle urine delle ultime 24 ore. «In merito alle cause della malattia renale – ha spiegato – talune non sono modificabili come l’età, la storia familiare, la razza, etc.; altre invece sono modificabili con la terapia, una dieta e uno stile di vita più appropriati, svolgendo regolare attività fisica, prevenire l’obesità, il diabete, etc. Ed è accertato da tempo che l’obesità può influenzare lo stato di salute con ripercussioni anche sull’attività renale, le cui conseguenze possono manifestarsi in calcolosi renale, nefropatia cronica, etc. Nelle persone obese i reni sono sottoposti a un carico maggiore (iperfiltrazione) per compensare l’aumento del peso corporeo». Citando il sistema PASSI, avviato nel 2005, la relatrice ha spiegato che riguarda un’attività di monitoraggio dei programmi di prevenzione delle malattie croniche. È un progetto del ministero della Salute e delle Regioni per la sorveglianza dell’evoluzione di questi fenomeni, soprattutto nella popolazione adulta. Il consumo di frutta e verdura, va ribadito, riduce sensibilmente il rischio di contrarre malattie croniche come quella renale. Un apporto elevato si associa alla ipotensione, a minori eventi negativi cardiovascolari, e a minore incidenza di declino della funzione renale. Ma molto negativamente incide l’obesità la cui valutazione la si misura in diversi gradi. «Per quanto riguarda la sindrome metabolica – ha concluso la dott.ssa Giacchino – tale è definita da una circonferenza addominale maggiore di 94 cm. per i maschi e 80 cm. per le femmine; oltre a considerare i valori dei trigliceridi e del colesterolo (HDL), la glicemia e la pressione arteriosa. In sostanza, è una patologia caratterizzata da più fattori interconnessi: fisiologici, biochimici, clinici e metabolici che possono aumentare il rischio del manifestarsi di altre patologie, il più delle volte con conseguenze sull’attività renale». * Giornalista scientifico

domenica 12 giugno 2022

L'Intelligenza artificiale un asso contro l'infarto

Riuscire a capire da un elettrocardiogramma l’aspettativa di vita di un paziente quando è stata diagnosticata la rara sindrome cardiaca di Brugada, utilizzando tecniche di Intelligenza Artificiale. Questo è l’obiettivo del lavoro portato avanti dal gruppo di ricerca del Politecnico di Torino coordinato dal professor Eros Pasero (foto) – docente del Dipartimento di Elettronica e Telecomunicazioni-DET, che vuole mettere a disposizione dei cardiologi gli strumenti offerti dall’Intelligenza Artificiale per estrarre informazioni “nascoste” negli elettrocardiogrammi. Ora il progetto è stato selezionato dal ministero degli Affari Esteri (MAECI) tra i vincitori del bando scientifico Italia-Israele 2021-2023, che prevede un finanziamento di 300 mila euro. La sindrome di Brugada è un disturbo dell’attività elettrica del cuore che può provocare episodi di aritmia ventricolare anche letali. Questa sindrome è nota per essere una delle principali cause di morte cardiaca improvvisa e, purtroppo, non prevedibile. Soprattutto persone giovani muoiono all’improvviso senza nessuna sintomatologia particolare. La mancanza di sintomi rende spesso difficile capire se una persona è affetta da sindrome di Brugada e, a oggi, impossibile diagnosticare un evento fatale futuro. La ricerca viene portata avanti in collaborazione con l’Università di Torino, con il contributo del professor Fiorenzo Gaita, celebre aritmologo che insieme alla professoressa Carla Giustetto fornisce le competenze cardiologiche necessarie per questo tipo di studio, che verrà supportato anche dall’Università di Tel Aviv, dove tre scienziati collaboreranno con il professor Pasero per cercare di ottimizzare le tecniche di previsione. “I sistemi di Intelligenza Artificiale sono sempre più utilizzati per fare previsioni - spiega il professor Pasero - I dati di cui disponiamo per analizzare gli eventi fatali dovuti alla sindrome di Brugada sono purtroppo molto scarsi. Ma i risultati finora ottenuti con i nostri algoritmi sui primi 1000 pazienti sono molto incoraggianti portando a prevedere l’evento fatale in oltre il 90% dei casi. L’uso di nuovi algoritmi che stiamo sperimentando offrono inoltre la possibilità di vedere all’interno degli elettrocardiogrammi patologie non diagnosticate proponendo in futuro nuove prospettive diagnostiche”.

Studio dell'Università di Torino sugli incidentalomi

L’Università di Würzburg e l’Università di Torino hanno guidato il più vasto studio internazionale, retrospettivo sui tumori surrenalici di scoperta occasionale (incidentalomi). Il lavoro – avviato nel 2015 coinvolgendo centri afferenti all’ENSAT (European Network for the Study of Adrenal Tumors) di 15 diversi Paesi – ha incluso oltre 3.600 pazienti ed è stato recentemente pubblicato sulla prestigiosa rivista Lancet Diabetes & Endocrinology. Per l’Università di Torino, i professori Massimo Terzolo, nella foto, (direttore del Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche) e Giuseppe Reimondo hanno coordinato lo studio che ha dimostrato un eccesso di mortalità nei pazienti con adenoma surrenalico capaci di produrre cortisolo, il principale ormone secreto dalle ghiandole surrenaliche, in modo autonomo e non regolato. Per la prima volta, è stato dimostrato che il rischio di morte varia per età e sesso. Le donne di età inferiore ai 65 anni con secrezione autonoma di cortisolo hanno il più alto rischio relativo di morte, con un incremento stimato di oltre 4 volte, mentre gli uomini con età maggiore di 65 anni non hanno un significativo incremento di rischio. È stato anche confermato che la frequenza delle malattie cardio-metaboliche aumenta progressivamente con il grado di autonomia di cortisolo. I tumori surrenalici sono molto diffusi nella popolazione e sono spesso diagnosticati inaspettatamente nel corso di esami radiologici effettuati per altre ragioni, senza un sospetto specifico di patologia surrenalica. Tali tumori sono pertanto definiti incidentalomi surrenalici, termine che sottolinea la loro scoperta occasionale e inattesa. L’approccio diagnostico e terapeutico agli incidentalomi surrenalici rappresenta un problema clinico emergente, perché l’impiego sempre più frequente di esami d’immagine sofisticati nella pratica medica ha portato a un progressivo incremento della frequenza con la quale sono scoperti, che varia tra il 5 e il 10% nella popolazione adulta. In circa il 50% dei casi, questi tumori sono in grado di produrre cortisolo in modo autonomo, indipendente dai meccanismi di controllo centrali. Le linee guida della European Society of Endocrinology (ESE) pubblicate nel 2016 in collaborazione con ENSAT, suggerivano di considerare i pazienti con secrezione autonoma di cortisolo come a maggior rischio cardiovascolare. Questa conclusione era basata su studi precedentemente pubblicati che avevano rilevato un’associazione tra secrezione autonoma di cortisolo e alcune comorbidità tipiche della sindrome di Cushing conclamata: ipertensione, diabete, obesità e dislipidemia. Il livello di evidenza scientifica era però debole per la scarsa numerosità degli studi effettuati, che avevano valutato complessivamente solo qualche centinaio di pazienti. In particolare, erano assai limitati i dati sul rischio di mortalità associata alla secrezione autonoma di cortisolo. Per confermare o confutare se i pazienti con incidentaloma surrenalico e secrezione autonoma di cortisolo fossero a maggior rischio di mortalità, nel 2015 è stato avviato lo studio in questione che ha coinvolto l’ENSAT, un network che comprende i centri Europei di riferimento per i pazienti con tumori surrenalici, ponendo come obiettivo iniziale quello di raccogliere i dati di almeno 2.000 pazienti. “Il nostro studio – spiegano i ricercatori – rileva l'associazione tra secrezione autonoma di cortisolo e la patologia cardio-metabolica con conseguente incremento di comorbidità e mortalità, suggerendo che sono le donne più giovani di 65 anni a sopportare le peggiori conseguenze della condizione. Questa evidenza dimostra come la secrezione autonoma di cortisolo possa essere considerata una malattia di genere e rappresenta un primo passo verso l’individualizzazione della terapia”. “Tuttavia – concludono - solo studi prospettici di intervento, potranno determinare se il trattamento medico o chirurgico sia in grado di ridurre significativamente la morbilità e la mortalità cardio-metabolica di tali pazienti. Il nostro studio ha il merito di stabilire il razionale e la base statistica per poter disegnare questi indispensabili studi di intervento e di fornire indicazioni utili a identificare i pazienti a maggiore rischio con una positiva ricaduta sulla qualità e i costi della strategia terapeutica”.