mercoledì 16 febbraio 2022

Aterosclerosi, come nasce, i suoi rischi e come difendersi

di Roberto Rey*
L’aterosclerosi è caratterizzata dall'indurimento e dall’aumento di spessore delle pareti delle arterie che distribuiscono il sangue, e quindi l’ossigeno, ai vari organi del nostro corpo. Questa condizione patologica è causata dal deposito di grassi che si accumulano nel rivestimento interno delle pareti. L’aterosclerosi è causa di importanti patologie cardiovascolari (infarto miocardico, ictus cerebrale, vasculopatia agli arti inferiori) dovute all’ostacolato flusso del sangue che nei casi estremi risulta del tutto impedito. L’aterosclerosi è malattia multifattoriale, esordisce precocemente e poi progredisce in maniera più o meno rapida; con l’età aumentano i fenomeni legati alla malattia. Contano le caratteristiche genetiche (presenza di eventi cardiovascolari tra i parenti prossimi). La patologia diventa evidente dopo i 50 anni ed è più frequente negli uomini; viene anche definita “malattia del benessere” ed è causata da scorrette abitudini di vita, in particolare da quelle alimentari. I fattori di rischio dell’aterosclerosi sono: la pressione arteriosa elevata, il fumo di sigaretta, gli eventi infiammatori, il colesterolo LDL superiore a100, il colesterolo HDL inferiore a 40, l'età superiore a 45 anni (uomini) e 55 anni (donne) nonchè la familiarità per infarto in età precoce: nei parenti di primo grado prima dei 55 anni se maschi, prima dei 65 anni se femmine. Può essere causata da anomalo deposito di grassi e di calcio che si accumulano nel rivestimento interno delle pareti arteriose. Ci sono condizioni di rischio che sono modificabili (fumo di sigaretta, ipertensione, obesità). Valutando la presenza e la severità di tutti questi fattori è possibile stimare la probabilità che un soggetto ha di andare incontro a eventi cardiovascolari aterosclerotici. Il colesterolo si ossida per la presenza di radicali liberi e successivamente penetra nelle arterie e dà origine alle placche aterosclerotiche. Il colesterolo è un grasso e come tale è una forma di energia; se viene prodotto in eccesso dal fegato e rimane inutilizzato nel circolo sanguigno, ci fa capire che non sappiamo regolare i nostri bisogni naturali e pertanto accumuliamo nel corpo risorse che rimangono inutilizzate e diventano dannose. Il colesterolo che si accumula e non viene usato si infiltra nelle pareti dei vasi arteriosi e forma le placche. È quindi manifestazione di staticità e sedentarietà sia fisica che mentale. Scarsa attività muscolare, scarso slancio vitale, quieto vivere e rassegnazione sono i presupposti per arrivare a valori elevati di colesterolo, che potrebbero essere contenuti con tante passeggiate e con diete a misura delle nostre necessità. Quando abbiamo a disposizione un'adeguata energia consumiamola in modo salutare.  Accumulare i grassi significa non sapere usare quello che serve per vivere bene. Nel nostro corpo ciò che non viene usato correttamente si trasforma in sostanza dannosa. Le tossine e le scorie finiscono per impedire al sangue di circolare liberamente e correttamente. In presenza di fattori di rischio per aterosclerosi (aumento della colesterolemia, della pressione arteriosa, della glicemia, o presenza di sostanze che favoriscono eventi infiammatori) spesso derivanti da eccesso di tessuto adiposo, la parete arteriosa produce molecole che facilitano l’aderenza dei globuli bianchi del sangue alla parete interna (endotelio). Finite nello spazio sottoendoteliale, queste cellule modulano la loro attività grazie a proteine che influenzano il comportamento delle cellule muscolari lisce presenti nelle pareti delle arterie e quello delle stesse cellule dell’endotelio. Tali modificazioni sono regolate da sostanze (i mediatori) tipiche dei fenomeni infiammatori e immunitari (ad esempio leucotrieni, citochine e i componenti del complemento). Per effetto di questi processi le cellule muscolari lisce presenti nella tonaca media delle arterie migrano nello spazio sottoendoteliale, proliferano e producono enzimi che innescano il processo dell’aterogenesi in quanto modificano le caratteristiche biologiche dell’endotelio, l’attivazione e la proliferazione cellulare, la morte cellulare e le caratteristiche della matrice extracellulare. In questa fase avvengono le variazioni e l’ossidazione di particolari famiglie di lipoproteine che tengono attivo il processo infiammatorio. Durante la progressione delle lesioni si possono formare sia dei depositi di calcio sia dei depositi lipidici all’esterno delle cellule, che portano alla formazione di una placca aterosclerotica ricca di lipidi e con un centro necrotico. La placca aterosclerotica è costituita da una capsula esterna fibrosa di spessore variabile che circonda un nucleo più morbido fatto prevalentemente di grassi. L’analisi biochimica rivela che la capsula fibrosa è costituita prevalentemente da una sostanza - “il collagene” - e da aggregazioni di enzimi secreti dalle cellule muscolari lisce. Questa struttura di contenimento conferisce stabilità alla placca che può così resistere alle deformazioni provocate dalla trazione e dalle forze che su di essa vengono esercitate dal torrente sanguigno e dalla vasodilatazione. Sono individuabili due tipologie di placche aterosclerotiche: 1) Lesioni che producono stenosi del lume ma hanno un cappuccio fibroso; 2) Lesioni con minore capacità stenosante, con più deposito centrale di lipidi, con cappuccio fibroso più sottile e lacerabile e più facilmente causa di trombosi e occlusione dell’arteria interessata. Minor rigidità fa bene alle arterie quindi non facciamone un problema. Le occasioni che danno gioia, entusiasmo e libertà mentale sono quelle che portano beneficio al cuore e alle arterie. Pensare come star bene non deve tradursi in costrizioni della nostra libertà anzi deve liberare da convenzioni sociali e da opinioni qualunquistiche. * Medico, presidente dell'associazione “Pù vita in Salute”

giovedì 10 febbraio 2022

I cibi anti-infiammatori che difendono il nostro corpo

di Roberto Rey*
L'infiammazione nasce come meccanismo di difesa; ma se persiste e diventa cronica, si trasforma in un reale pericolo per il nostro organismo. Uno stato infiammatorio costante é una vera minaccia in quanto diventa un veleno per l'organismo ed é capace di danneggiare cellule e tessuti fino a compromettere la funzionalità di interi organi e favorire malattie cardiovascolari, metaboliche e neurodegenerative e anche gastrointestinali. Lo stato infiammatorio é una condizione negativa che si viene a creare per la presenza di una causa irritante, che dobbiamo ridurre e possibilmente annullare completamente. Riuscire a spegnere i processi infiammatori rappresenta un grande risultato nell'ambito della prevenzione delle malattie che si può e si deve mettere in atto; richiede un grande impegno, ma permette di ottenere la migliore longevità possibile. L'infiammazione é una reazione localizzata in un tessuto che subisce una "aggressione"; si manifesta con arrossamento, calore, gonfiore, dolore e talvolta febbre. Durante l'infiammazione, determinate cellule specializzate (mastociti) liberano istamina e serotonina che, stimolando la vasodilatazione, determinano rossore e calore. I capillari, anch'essi sovraccarichi, producono un liquido che si infiltra nei tessuti provocando gonfiore e dolore. L'infiammazione si accompagna ad accumulo di globuli bianchi, che contribuiscono alla guarigione del tessuto danneggiato. L'infiammazione scatena un “incendio” che se non viene spento completamente rimane attivo fino a diventare cronico e perciò é indispensabile rimediare quanto prima possibile. Le infiammazioni sono provocate soprattutto dai radicali liberi, che sono i responsabili del cosidetto stress ossidativo nelle cellule del nostro organismo e che contribuiscono a causare molte malattie (infarto, ictus, cancro, cataratta, alzheimer). L'infiammazione sistemica e di bassa intensità é il segnale che fa capire che qualcosa non sta andando bene e che bisogna intervenire. I cibi anti-infiammatori che proteggono il nostro organismo sono numerosi; ma i sei più importanti ed efficaci sono: 1) i pomodori (meglio ancora se cotti), sono ricchi di licopene, che é un potente antiossidante, e danno ottimi risultati in caso di infiammazioni associate al sovrappeso; 2) l'olio extravergine di oliva, che contiene l'oleo cantale (che é quasi un farmaco antinfiammatorio); 3) la frutta a guscio: mandorle, noci, pistacchi - sono protettori nei confronti delle malattie cardiovascolari e del diabete in quanto riducono i marcatori dell'infiammazione; 4) verdure a foglia verde, ricche di folati (vitamina B9) difendono da diabete e tumori; 5) pesce ricco di omega 3 – acidi grassi essenziali; 6) frutti di bosco - frutta e verdure fresche di stagione, contengono antiossidanti - la vitamina C (kiwi, agrumi, ananas, ribes, peperoni, broccoli, papaia, prezzemolo, cavoletti di bruxelles, spinaci, radicchio e fragole) - la vitamina E previene l'ossidazione di acidi grassi polinsaturi provocata dai radicali liberi, é liposolubile e si trova in olio di oliva, nelle nocciole e nelle mandorle, nell'avocado, nelle albicocche, negli spinaci e nelle uova. * Medico, presidente dell'associazione “Più vita in Salute”

Le ragioni della spinta verso la "nutraceutica"

Con crescente frequenza, a partire dai primi anni 2000, si è fatto ricorso, soprattutto nella pubblicistica, al termine di “nutraceutica”, crasi di nutrizione e farmaceutica. Si tratta di un neologismo, la cui origine risale alla fine degli anni ’80 e che quindi è coevo a quello di alimentazione funzionale. I nutraceutici sono sostanze che svolgono comprovate funzioni fisiologiche o attività biologiche, derivate mediante le tecniche della sintesi farmaceutica da piante, agenti microbici e alimenti. I nutraceutici possono essere assunti attraverso i cibi funzionali da essi arricchiti oppure sotto forma d’integratori in compresse, capsule, fiale o polveri solubili. Si tratta quindi di una categoria a cavallo tra l’alimentazione funzionale e gli integratori. “La dimensione mondiale del mercato dei cibi funzionali – si legge in un fresco rapporto dell'Area studi di Mediobanca - è stimata a fine 2021 in circa 500 miliardi di dollari, con aspettative di crescita a un tasso medio annuo al 6,9% che porterebbe il comparto a 750 miliardi nel 2027. La categoria più consistente è quella dei cibi per il controllo del peso (slimming o weight management), pari a 214 miliardi di dollari, seguita dagli integratori, che valgono a livello globale 140 miliardi (+7,7% le attese). I baby food arrivano a 73 miliardi (+6,5%), ma sono le specialità vegan (25 miliardi, +9%) a mostrare le attese più rosee”. Sono diversi i trend di lungo periodo candidati a sostenere la crescita del mercato dei cibi funzionali. In primo luogo, l’allungamento della speranza di vita ha comportato l’aumento della quota di popolazione longeva, con conseguente incremento dei costi sanitari. Ciò ha reso evidente ai sistemi di sanità pubblica la necessità di favorire l’ingresso della popolazione nella fascia di età avanzata in condizioni di relativa buona salute e benessere complessivo. A tale obiettivo concorre certamente un regime alimentare in cui l’assunzione dei nutrienti necessari avvenga in maniera corretta e bilanciata, riducendo la probabilità d’insorgenza delle patologie fisiche e intellettive tipicamente legate all’avanzare dell’età (malattie cardiovascolari, osteoporosi, disturbi della vista, deterioramento delle funzioni cerebrali, ecc.). Tuttavia, è sempre più evidente la diffusione di stili di alimentazione disordinati e squilibrati, ipercalorici e iperlipidici. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, infatti, il 39% di coloro che hanno più di 18 anni è in sovrappeso, con sostanziale raddoppio dal 20% del 1975. Inoltre, circa il 13% della popolazione mondiale si trova in condizione di obesità, un valore in questo caso triplicato dal 1975. Il sovrappeso e l’obesità tra i bambini e gli adolescenti di età compresa tra 5 e 19 anni sono aumentati a livello mondiale dal 4% del 1975 a poco più del 18%. A fronte di circa 900 milioni di persone sottonutrite nel mondo, ve ne sarebbero 1,5 miliardi obese o sovrappeso, tanto che i decessi annui per mancanza di alimentazione (circa 36 milioni) non sono troppo distanti da quelli per suo eccesso (29 milioni). I costi diretti e indiretti legati al disordine alimentare e ai connessi problemi metabolici sono enormi. Le pur incerte stime li indicano complessivamente in 4.800 miliardi di dollari all’anno, vicino al 3,5% del Pil mondiale, con picchi del 4,8% in America Latina (circa 500 miliardi di dollari) e del 4,3% nel Nord America (1.000 miliardi). Il vulnus economico per l’Europa è stimato in circa 900 miliardi, oltre il 3% del suo Pil. Inoltre, al di là di un’eccessiva assunzione calorica o lipidica, vi è anche un tema di qualità del cibo. Porzioni significative della popolazione seguono un regime alimentare connotato da carenza di componenti nutrizionali essenziali al mantenimento di un adeguato stato di salute. Una dieta bilanciata richiederebbe, ad esempio, un’incidenza del 50% nel consumo di frutta e verdura, mentre nella popolazione adolescente europea tale porzione è limitata al 17%. Sempre in Europa il consumo di zuccheri è del 15% superiore ai livelli raccomandati, del 47%; il consumo di carne li eccede del 36% (38% le carni rosse, 51% gli insaccati). Il riassortimento della dieta ridurrebbe le morti legate al disordine alimentare del 15%, ma un’ampia porzione della popolazione non appare in grado di organizzare la propria alimentazione quotidiana per raggiungere le soglie raccomandate. E merita ricordare che una non trascurabile fascia della popolazione mondiale nutre un atteggiamento di diffidenza verso i farmaci, paventandone l’assuefazione e gli effetti collaterali. Tale tendenza è potenziata dalle crescenti evidenze di resistenza microbica ai farmaci, che si sviluppa quando microrganismi come batteri, virus, funghi e parassiti mutano in modo da rendere inefficaci i presidi farmacologici utilizzati per il loro contrasto. Si tratta di un fenomeno naturale che viene accelerato da comportamenti impropri, quali l’abuso di antibiotici, la loro dispersione accidentale nell'ambiente con reingresso nella catena alimentare o, ancora, lo smaltimento non controllato di quelli non utilizzati o scaduti. Il fenomeno della resistenza antimicrobica può contribuire a spingere i consumatori verso la nutraceutica, in particolare quella cui sono associati effetti di potenziamento delle risposte del sistema immunitario. L’emergenza pandemica ha agito da ulteriore acceleratore: l'epidemia ha provocato in particolare un'impennata nella domanda di alimenti e integratori con funzione di supporto del sistema immunitario. Gli integratori a base di vitamina C sono stati particolarmente ricercati. Sebbene nessuna vitamina o cibo, in qualunque quantità, sia in grado di impedire il contagio da Covid-19 una volta che una persona è stata esposta al virus, è pur vero che le persone che soffrono di carenze nutrizionali hanno maggiori probabilità di soffrire delle complicazioni indotte da qualsiasi infezione o malattia e la cattiva alimentazione rientra tra i tanti fattori che potrebbero contribuire a una debole risposta immunitaria. L’Italia ha una posizione di particolare rilievo con riferimento al mercato degli integratori la cui dimensione è pari a circa 3,8 miliardi di euro nel 2020. Si tratta del primo mercato europeo, stimato valere 14,6 miliardi, con una quota del 26%, davanti alla Germania (18,8%), alla Francia (14,7%), al Regno Unito (9,5%) e alla Spagna (7,2%). Le aspettative di crescita del mercato europeo sono nell’ordine del 6% annuo, con l’Italia che dovrebbe toccare nel 2025 una dimensione pari a 4,8 miliardi. Tra il 2008 e il 2020 il mercato italiano degli integratori è triplicato, con una crescita media annua superiore al 9%. La forte propensione dei consumatori italiani per gli integratori è evidente considerando che la loro spesa media procapite è di circa 64 euro rispetto ai 33 della Germania, ai 32 della Francia e ai 21 del Regno Unito. Si stima che in Italia il 54% della popolazione faccia ricorso agli integratori, rispetto a quote che si collocano tra il 20% e il 25% in Germania, Francia e Regno Unito. Da tenere presente che in Italia gli integratori sono venduti essenzialmente attraverso il canale delle farmacie e parafarmacie (87% a valore).

mercoledì 9 febbraio 2022

Un micro-telescopio contro la maculopatia senile

Un vero e proprio 'telescopio galileiano' miniaturizzato, è stato messo a punto per restituire, almeno in parte, la vista alle persone affette da maculopatia senile. Lo ha riportato l'Ansa Salute, sottolineando che, per la prima volta in Italia e tra le prime al mondo, questo sistema è stato impiantato su tre pazienti (due uomini e una donna, tra i 65 e gli 80 anni), assistiti dalla Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs, dal professor Stanislao Rizzo, direttore della Uoc di Oculistica del Policlinico Gemelli e ordinario di Clinica Oculistica all'Università Cattolica, campus di Roma. “Questo tipo di trattamento – ha spiegato Rizzo all'Ansa - è riservato ai pazienti con una forma avanzata di maculopatia. La macula è la parte centrale della retina, il tessuto più nobile e sofisticato del nostro organismo, composto da cellule altamente specializzate, i fotorecettori, che trasformano uno stimolo luminoso, un'immagine, in un impulso elettrico che viaggia dalla retina al cervello, nell'area dove la visione si forma. E' la macula che ci consente di vedere i dettagli, di riconoscere i volti dei nostri cari, di vedere i colori e di leggere libri o gli sms sul cellulare”. La maculopatia è un problema sociale di grande rilevanza nel mondo occidentale e lo sarà sempre di più visto l'invecchiamento della popolazione. In Italia è affetto da questa condizione oltre un milione di persone, 200-300.000 dei quali in forma grave. L'intervento è del tutto simile a un intervento di cataratta classica. “Rispetto all'intervento tradizionale – ha commentato il professor Rizzo - cambia solo la larghezza dell'incisione, che è di 2 millimetri nell'intervento classico e di 7 in questo. L'intervento si effettua in day surgery e dura 15-20 minuti”.

venerdì 4 febbraio 2022

Stare col gatto migliora il benessere psicologico

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Il 17 febbraio si celebra la festa nazionale del gatto, istituita in Italia nel 1990 dopo un referendum tra i lettori di una rivista specializzata e ai cosiddetti 'gattari', amanti dei gatti, farà piacere sapere che condividere pezzi di vita con gli adorati mici fa anche bene alla salute. I benefici sembrano essere provati dalla scienza secondo una panoramica sul portale Healthline: avere un gatto ha un effetto calmante, migliora il benessere psicologico, riduce la frequenza di disturbi come mal di testa, mal di schiena e raffreddore, anche se (in media) i benefici sembrano svanire con il passare del tempo.

Come vivere in salute il più a lungo possibile

di Roberto Rey*
Vivere in salute il più a lungo possibile non é solo un desiderio o una speranza, ma é un vero obiettivo raggiungibile con il dovuto impegno. É necessario mettere in atto una strategia utile a evitare le malattie che sono prevedibili e prevenibili, Pur non potendo sperare di vivere tutta una vita in salute é nostro compito impegnarci per ammalarci il meno possibile. Più prevenzione oggi, meno malattie domani. La possibilità di vivere a lungo é in continua crescita. Nei primi anni del 1900 l’aspettativa di vita era di 43 anni per gli uomini e di 45 anni per le donne. Nel 1990 era di 75 anni per gli uomini e di 85 per le donne. Oggi la prospettiva é di 80/85 anni per gli uomini e di 90 anni per le donne. La terza età può essere una fase della vita, più o meno brillante a seconda delle condizioni di salute; di conseguenza dobbiamo sempre mantenere una buona salute durante la vita, per invecchiare bene e con soddisfazione.  Quando abbiamo la fortuna di avere nelle nostre mani un patrimonio importante come la salute, dobbiamo gestirlo nel modo migliore possibile. Ognuno deve metterlo ai primi posti del proprio interesse e lo deve governare con competenza e con attenzione adeguata. Anche se abbiamo a disposizione un buon Servizio Sanitario, sia pubblico che privato, pronto a curarci quando ci ammaliamo, abbiamo comunque il dovere di imparare a mettere in atto le regole della prevenzione, perché vivere in salute é il primo obiettivo. Prevenire le malattie permette di vivere più a lungo e nelle migliori condizioni di salute . Oggi dobbiamo continuare a difendere la nostra salute per garantirci la possibilità di una buona condizione di vita anche nei prossimi anni. La vita media si sta allungando ed é in costante crescita, quindi prevenire le malattie ci può garantire il futuro in quanto la longevità é una fortuna o una sofferenza a seconda delle condizioni di salute. Alcune regole comportamentali da osservare per mantenere la salute: 1. Non fumare e non bere alcolici 2. Dormire bene per circa 7-8 ore ogni notte 3. Evitare stress eccessivi in termini di intensità e durata 4. Non mangiare al di fuori dei tre pasti regolari (colazione, pranzo e cena) 5. Bere un litro e mezzo di acqua al giorno (6/8 bicchieri) 6. Mangiare e nutrirsi in modo corretto (in termini di quantità e qualità) 7. Variare gli alimenti, scegliendo quelli più adatti per le proprie condizioni di salute 8. Controllare il peso corporeo, mantenerlo regolare e costante nel tempo 9. Assumere più antiossidanti e meno radicali liberi. Gli antiossidanti sono un efficace strumento di prevenzione e anche di supporto in caso di malattie; gli antiossidanti esogeni vengono assunti attraverso il cibo (soprattutto attraverso i vegetali) e gli antiossidanti endogeni vengono prodotti dal nostro organismo 10. Controllare i radicali liberi che noi stessi produciamo. Una quantità modesta può essere utile ma non devono mai essere in superiorità numerica rispetto agli antiossidanti 11. Camminare molto e fare attività fisica adeguata 12. Fare esercizi respiratori per garantire una buona ossigenazione di tutti gli organi.  Dieci validi motivi per adottare la prevenzione delle malattie: La prevenzione é tutto quello che può essere fatto per conservare o anche migliorare la salute La salute é un dono, anzi un patrimonio ricevuto alla nascita che bisogna correttamente gestire e proteggere Più prevenzione oggi – meno necessità di cure domani Vivere in salute dipende dalle nostre scelte comportamentali più che dalla buona sorte La prevenzione é lo strumento essenziale per rimanere in salute e va utilizzato in modo corretto ed efficace Con l’aumento della durata della vita é importante un pari aumento degli anni di vita in salute La prevenzione é un ottimo investimento; permette di ottenere guadagni importanti in termini di più salute e minore spesa per le cure e permette di vivere con maggiore serenità e gioia nel contesto della vita quotidiana Prevenire le malattie rallenta l’invecchiamento e l’età biologica, ci fa apparire e sentire più giovani dell’età anagrafica La prevenzione riduce i numeri dei malati e di conseguenza riduce la richiesta e la necessità di cure Più prevenzione: meno malati, migliore assistenza sanitaria e minore spesa.  Prevenire le malattie é fondamentale perché: - Significa vivere in salute e non c’é vita migliore di quella vissuta in salute; - La prevenzione rallenta l’invecchiamento psico-fisico quindi l’età biologica risulta inferiore rispetto a quella anagrafica; - Permette di allungare la vita; - La prevenzione contrasta, riduce e abolisce i fattori di rischio quali: alimentazione scorretta, attività fisica scarsa e scorretta, abitudine al fumo e all’alcol, eccessivo stress, insufficiente sonno/riposo, ressione arteriosa elevata, aAumento di peso – obesità, aumento della glicemia, aumento di trigliceridemia, colesterolemia totale e LDL; diminuzione degli antiossidanti (Vitamine C ed E), dei carotenoidi e dei flavonoidi; elevato stress ossidativo che produce: stanchezza e poca energia, difficoltà a mantenere la concentrazione, perdita di memoria, scarsa qualità del sonno, aumento del peso, umore altalenante, stipsi/diarrea, diminuizione della vista, scarso desiderio sessuale, rughe, macchie cutanee e perdita del tono della pelle. * Medico, presidente dell'associazione “Più vita in salute”

Lotta contro il cancro, l'intervista a Silvia Novello (Unito)

In occasione della Giornata Mondiale Contro il Cancro 2022, Unito News, pubblicazione web dell'Università di Torino, ha fatto il punto sul contrasto alle neoplasie con Silvia Novello, docente di oncologia medica al Dipartimento di Oncologia dell’Università di Torino, responsabile della Struttura Semplice Dipartimentimentale di Oncologia Polmonare al “San Luigi Gonzaga” di Orbassano e presidente di Walce (Women Against Lung Cancer in Europe). Ecco l'intervista. Professoressa Novello, lo slogan della Giornata mondiale contro il cancro 2021 è stato “Io sono e Io farò", che vuole sottolineare l'importanza dell'agire individuale in merito alla prevenzione oncologica. Ma quali sono gli strumenti che i cittadini hanno a disposizione per prevenire il sorgere di eventuali neoplasie? I cittadini hanno in mano strumenti efficaci e possono fare molto in termini di prevenzione primaria. Questo non significa che sia semplice né scontato, ma tanti sono gli accorgimenti e le attenzioni che possono avere nei confronti di loro stessi per ridurre il rischio di malattia tumorale. Partendo dal peggiore: una delle cause di vari tipi di tumore (polmone, testa e collo, pancreas, vescica, etc) è il fumo di sigaretta. Poi ci sono i corretti stili di vita, intesi in senso lato, che comprendono un’alimentazione adeguata e l’attività fisica. Per quanto riguarda l’alimentazione, nulla va esasperato; abbiamo la fortuna di vivere in un contesto geografico che ci offre una dieta equilibrata, se si basa su prodotti locali consumati in modo appropriato. L’attività fisica invece, commisurata all’età e alle possibilità del singolo individuo, è fondamentale. Oggi parliamo di cancro, ma queste attenzioni che il cittadino riserva a sè stesso lo mettono al riparo anche da altre malattie invalidanti molto temute, come le patologie polmonari o cardiovascolari. Infine, quando parliamo di prevenzione ci riferiamo anche a quelle persone che hanno già avuto un cancro e per le quali l’obiettivo è prevenire la ricaduta o l’insorgenza di un nuovo tumore e gli accorgimenti sopra citati li riducono in modo significativo. Negli ultimi anni, le maggiori innovazioni terapeutiche in ambito oncologico sono state l’immunoterapia e la terapia di precisione. Quali sono stati i benefici che queste cure hanno portato ai pazienti e quanto tempo ci è voluto per svilupparle? I tempi per perfezionare queste cure sono stati lunghi, in alcuni casi parliamo di decenni. Ma l’effetto volano che ne è scaturito ha portato ad avere benefici indiscussi e palesi in tempi poi più rapidi per altre categorie di pazienti e malattie. Non si tratta infatti di esercizi scientifici che portano solo a dati utili per la ricerca perchè l’introduzione dell’immunoterapia nel trattamento di malattie come il melanoma e il carcinoma polmonare ne ha modificato la storia. Introdotta in primis nella cura di queste malattie in fase metastatica, ci ha consentito di poter cominciare a parlare di “cronicizzazione”, come facciamo per altre patologie. Abbiamo dati che continuano ad esser positivi anche con lunghi tempi di osservazione - superiori ai cinque anni - insperati con approcci terapeutici precedenti. Per la medicina di precisionem il concetto è ancora più affascinante: con i ricercatori preclinici cerchiamo un “bersaglio” sulla cellula tumorale e sviluppiamo molecole capaci di colpire quel bersaglio, con l’obiettivo di personalizzare la cura, migliorandone l’efficacia e riducendone la tossicità. Obiettivo raggiunto in alcuni casi in modo ottimale, come per il tumore polmonare: già ora, circa un terzo dei pazienti con malattia in stadio avanzato può esser trattato con farmaci a bersaglio molecolare. La sfida vera di queste due terapie sarà il loro inserimento o consolidamento nella malattia precoce, insieme alla chirurgia. In questo caso l’obiettivo diventa l’abbattimento della mortalità. Recentemente il Ministro della Salute, Roberto Speranza, ha dichiarato: “È particolarmente strategico investire nella prevenzione e nella ricerca, supportando la comunità scientifica nella lotta contro il cancro”. Nella sua esperienza da docente e medico, che tipo di supporto ha riscontrato? Il supporto è stato crescente, soprattutto nell’ultimo periodo. C’è stata una sorta di presa di coscienza, vista la situazione, che ha portato a una maggiore erogazione di fondi per la ricerca. Più in generale, sono tre gli ambiti in cui ho visto realizzato praticamente questo sostegno. Innanzitutto, la possibilità effettiva di aumentare i ricercatori e i dottorandi che afferiscono ai vari Dipartimenti, compreso quello di Oncologia UniTo. Per questi ragazzi la sfida sarà avere la forza e la possibilità di tenerli in seno all’Ateneo, anche al termine dell’impegno come ricercatori o dottorandi. Poi c’è stata l’apertura a progetti di ricerca che vedono UniTo come capofila in iniziative che riguardano proprio la medicina di precisione; faccio riferimento, nello specifico, a una tematica del Pnrr con un progetto su Diagnostica e Terapie Innovative nella Medicina di precisione, coordinato dal professor Alberto Bardelli del Dipartimento di Oncologia. Infine, il coinvolgimento dell’Aou San Luigi come sede piemontese per il programma nazionale di prevenzione secondaria per il tumore polmonare, come da delibera proprio del ministro Speranza firmata nel novembre 2021. I dati AIRC ci dicono che in Italia nel 2021 ci sono state circa 377.000 nuove diagnosi di tumore, di cui 195.000 fra gli uomini e 182.000 fra le donne. La distanza tra queste due categorie è sempre più ravvicinata, tanto che lei l’ha definita una “triste parità di genere”. L’aumento del numero di donne affette da cancro da quali fattori dipende? Nel mio pragmatismo non mi piace girare troppo intorno alle cose, preferisco arrivare diretta al punto: il motivo sta nel trascurarsi delle donne, nel non badare a sè stesse nel controllo proprio di quei fattori prima menzionati. A partire dal fumo di sigaretta, che vede le nostre adolescenti primeggiare a livello europeo. Svettare con questi numeri non ci fa certo piacere, ma sta di fatto che la differenza fra donne e uomini fumatori è andata riducendosi, fin quasi ad azzerarsi, per riflettersi poi - con quello che noi chiamiamo “tempo di latenza”, ossia il tempo che intercorre fra l’esposizione a un fattore e lo sviluppo di una patologia - in un aumento di incidenza e mortalità per tumore polmonare e non solo. Una malattia come il tumore polmonare, che era a pressoché unico retaggio maschile, ora è una malattia molto comune fra le donne. Sedentarietà e dieta inadeguata sono certamente altri fattori di rischio. Tra i dati positivi troviamo il tasso di mortalità, che in Italia è in diminuzione e l’aumento della percentuale di sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi del cancro, sia per gli uomini che per le donne. Possiamo leggere questi dati con ottimismo? L’ottimismo deve per forza esistere in oncologia, lo sguardo deve sempre essere rivolto al futuro perché ogni diagnosi può essere potenzialmente anticipata e resa meno invasiva e ogni cura più efficace e meno tossica, ma per questo bisogna continuare ad investire nella ricerca e i cittadini devono affidarsi alla medicina. Purtroppo in questo periodo stiamo riscontrando molto scetticismo da parte dei pazienti, che si sentono disorientati o tendono a fare autodiagnosi. Ma l’appello resta immutato: affidarsi a chi conosce la materia.

Covid, ecco quante persone sono salvate dai vaccini

di Roberto Buzzetti* Una domanda che si sente spesso ripetere è “quanto sono utili i vaccini anti Covid-19?” La risposta che viene normalmente data è in termini di efficacia (riduzione relativa del rischio, o in parole povere, “sconto”). Ad esempio un’efficacia del 90% è da intendersi come il fatto che, a fronte di 100 casi, ogni “n” di non vaccinati, sugli stessi “n” di vaccinati avremo 10 casi. Si è qui provato a riformulare la domanda in un altro modo; ci si è chiesti quanti casi di malattia, di ricovero, di decesso si osserverebbero in totale assenza di vaccino? Per formulare una risposta si sono utilizzati i dati forniti dal Bollettino dell'Istituto Superiore di Sanità del 19 gennaio 2022, con gli eventi (nuovi casi diagnosticati, ricoveri, decessi) avvenuti negli ultimi 30 giorni (dal 3 dicembre 2021 al 2 gennaio 2022), in quattro diverse classi di età. La popolazione (denominatori) è riferita a metà periodo (per i casi di ospedalizzazione e di morte sono indicati gli intervalli temporali nei quali era stata posta la diagnosi di Covid-19). Nella classe di età da 12 a 39 anni tra i non vaccinati si sono verificati 11 decessi su 2.498.210 persone; nella classe di età da 40 a 59 anni tra i non vaccinati si sono verificati 141 decessi su 2.417.183 persone; nella classe di età da 60 a 79 anni tra i non vaccinati si sono verificati 739 decessi su 1.080.476 persone; nella classe di età 80 anni e oltre tra i non vaccinati si sono verificati 883 decessi su 198.565 persone. Se nessuno fosse mai stato vaccinato, ci si sarebbe dovuti aspettare: nella classe di età da 12 a 39 anni 77 deceduti; nella classe di età da 40 a 59 anni 1.075 deceduti; nella classe di età da 60 a 79 anni 9.282 deceduti; nella classe di età 80 anni e oltre 20.342 deceduti e quindi in totale 30.776 decessi, cioè 27.034 in più rispetto ai 3.742 osservati. Queste stime devono considerarsi come orientative e andrebbero raffinate tenendo conto di tutti i fattori che possono interferire, quali il genere (maschi o femmine), la regione di residenza, la presenza di co-morbidità, la pregressa infezione e altro in modo da rendere perfettamente confrontabili i gruppi tra loro. Augurandosi che in un breve futuro possano essere condotti degli studi più puntuali per validare questa ipotesi, si ritiene comunque che l'ordine di grandezza delle cifre calcolate non dovrebbe di molto modificarsi dimostrando così inequivocabilmente l'importanza del vaccino per risparmiare decine di migliaia di vite umane. Comunque, i dati ci confermano in modo inequivocabile che rispetto a un anno fa la letalità è passata dal 34,2 per mille al 4,7 per mille, cioè è diminuita di 7,2 volte. Speriamo che queste evidenze convincano anche gli ultimi riottosi a chiedere di essere vaccinati e ciò permetterà che sia risparmiato a molti di loro un decesso del tutto evitabile. * Epidemiologo clinico (stralcio di un articolo più ampio)

giovedì 3 febbraio 2022

La pandemia ha raddoppiato i giovani in depressione

Un'analisi pubblicata su Jama Pediatrics evidenzia la crisi mondiale della salute mentale, soprattutto fra giovanissimi: “l'incidenza di depressione e ansia fra adolescenti è raddoppiata rispetto a prima della pandemia e oggi – riporta l'Ansa - secondo il report che ha incluso 29 studi condotti su oltre 80.000 giovani, un adolescente su quattro, in Italia e nel mondo, ha i sintomi clinici di depressione e uno su cinque segni di un disturbo d'ansia”. Non solo: la nuova normalità portata dalla pandemia e la didattica a distanza hanno acuito il senso di isolamento dei ragazzi, sempre più presenti on-line, eppure ancora più soli ed esposti agli attacchi della Rete, pericolosa cassa di risonanza per bullismo e cyber bullismo, due facce della stessa medaglia in preoccupante ascesa. Nel 2021, complice il raddoppio del tempo trascorso “connessi”, il numero di casi di vessazioni online fra ragazzi è cresciuto del 59%: in Italia ne è vittima il 37% degli studenti fra i 13 e i 15 anni, mentre un ampio 31% ha subito violenza fisica. La pandemia degli ultimi due anni ha accelerato ed esasperato gli atti di cyber bullismo e creato le cosiddette ‘classi connesse’. Questo significa che la scuola non finisce più quando suona la campanella e gli studenti vanno a casa; così, anche gli atti di bullismo che un tempo rimanevano confinati all’interno dell’istituto, proseguono spesso in rete. Chi subisce atti di cyber bullismo si sente assediato, inseguito anche dentro casa propria, senza possibilità di rifugio o via di fuga. Il bullismo è una forma di comportamento aggressivo e intenzionale, di natura sia fisica che psicologica, oppressivo e vessatorio, ripetuto nel corso del tempo e attuato nei confronti di persone considerate come bersagli facili o incapaci di difendersi, che tendono a subirlo con rassegnazione e mancanza di autostima. Un fenomeno che trova sul web un naturale palcoscenico, dando vita alla sua declinazione “cyber”. Come ricorda l'Ansa, l’Italia è stato il primo paese europeo a introdurre la parola cyber bullismo all’interno del proprio ordinamento grazie alla Legge N. 71 del 2017 che all’articolo 2 lo definisce come “qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d'identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonchè la diffusione di contenuti on line aventi ad oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo”. I dispositivi digitali come cellulari, computer, e tablet si trasformano, quindi, in pericolosi veicoli per la condivisione di informazioni negative, oscene o false, come immagini, testi o video che possono compromettere le informazioni personali della persona vittima dell’attacco e danneggiare la sua reputazione e autostima.

I rischi e le cause del "fegato grasso"

di Rodolfo Rocca, C. Martelletti, A. Armandi Uno dei più frequenti riscontri all’ecografia dell’addome superiore, eseguita per i più svariati motivi (prevenzione, dolore addominale, follow-up oncologico) è rappresentato dalla steatosi epatica. In linea generale, si tratta di un riscontro casuale in quanto questa condizione, nella maggior parte dei casi, è asintomatica . La steatosi epatica, usualmente nota come “fegato grasso”, è una condizione medica caratterizzata da un accumulo anomalo ed eccessivo di trigliceridi (grasso) all’interno degli epatociti (le cellule del fegato). Quando oltre il 5% degli epatociti è interessato da questo iperaccumulo, la steatosi epatica viene rilevata durante l’esame ecografico. Tra le cause che possono portare alla steatosi, sicuramente le più comuni sono l’abuso alcolico (Alcoholic Fatty Liver, ALF) o la presenza di fattori di rischio metabolici quali l’obesità e il diabete (Non-Alcoholic Fatty Liver, NAFL), di cui la malattia epatica diventa una spia. La steatosi semplice è considerata una condizione benigna, con basso rischio di progressione a malattia avanzata; tuttavia, è da sottolineare che una percentuale significativa di soggetti con NAFL (10-15%) e con ALF presenta un’infiammazione più severa del fegato. Tale infiammazione, con il passare del tempo e in particolari condizioni, può determinare cicatrici fibrose all’interno del fegato in misura sempre maggiore, fino al suo completo sovvertimento, arrivando alla cirrosi con le sue temibili complicanze, incluso il tumore al fegato (epatocarcinoma). La malattia da fegato grasso (NAFLD), che include la NAFL, la NASH e la cirrosi, è associata all’obesità e al diabete mellito di tipo 2 (mediati dall’insulino-resistenza) e alla sindrome metabolica (ipertensione arteriosa, basso colesterolo HDL, ipertrigliceridemia, aumento della circonferenza addominale, intolleranza glicidica o franco diabete). Quindi, particolare attenzione deve essere posta ai pazienti obesi o diabetici, poichè sviluppano più frequentemente la NAFLD e nei quali la malattia di fegato ha più probabilità di progredire verso una cirrosi. La steatosi epatica, inoltre, risulta associata alle più conosciute patologie cardiovascolari, quali l’infarto miocardico e l’ictus, causate anch’esse dall’accumulo eccessivo di “grasso” nei vasi sanguigni. In Italia, il progressivo cambiamento dello stile di vita e delle abitudini alimentari degli ultimi decenni ha influenzato in modo significativo l’epidemiologia di tale patologia. Nella popolazione adulta si stima una prevalenza di NAFLD del 25%, valore certamente significativo; i dati epidemiologici più drammatici riguardano la popolazione pediatrica in cui l’obesità, e di conseguenza la steatosi epatica, stanno nettamente aumentando. Infatti, lo stile di vita riveste un ruolo importante nello sviluppo e nella progressione di tale condizione: dieta ipercalorica, dieta ricca di grassi (saturi), alto consumo di fruttosio (contenuto nelle bibite zuccherate e nei prodotti da forno industriali) e la sedentarietà, di fatto, sono strettamente associati al fegato grasso, perché inducono nell’organismo uno stato di insulino-resistenza. La NAFLD è destinata a diventare negli anni a venire la causa primaria di cirrosi ed epatocarcinoma, nonché prima indicazione a trapianto di fegato, superando le ben più note eziologie: epatite C, epatite B e abuso alcolico. È oltremodo necessario valutare la presenza di familiarità per la suddetta patologia (sono conosciute cause genetiche che portano allo sviluppo di NAFLD in assenza dei noti fattori di rischio) e la presenza di comorbidità associate alla stessa.
In considerazione dell’alta prevalenza di questa condizione nella popolazione e delle sue potenziali implicazioni cliniche, appaiono quindi di fondamentale importanza sia la sua precoce individuazione sia una prevenzione efficace. Di fronte al riscontro ecografico di steatosi epatica bisogna dunque escludere: altre cause di malattia di fegato, il consumo eccessivo di alcol, l’assunzione di farmaci potenzialmente epatotossici, valutare le comorbidità associate sopra menzionate. L’esecuzione degli esami del sangue, per valutare la funzionalità epatica, e dell’ecografia associata all’elastografia epatica che valuta l’entità della fibrosi, può fornire elementi sufficienti a formulare diagnosi di steatosi epatica avanzata e da sorvegliare attentamente. Qualora emerga una fibrosi significativa all’elastografia o un’alterazione rilevante agli esami ematochimici, oppure se si rientra in un gruppo ad alto rischio di progressione, può essere utile eseguire una visita specialistica epatologica per seguire il corretto iter diagnostico e terapeutico. Nei pazienti con elevato sospetto di progressione di malattia, può essere indicata l’esecuzione di una biopsia epatica per una corretta stadiazione del danno. Non ci sono farmaci approvati per il trattamento della NAFLD. La prima linea di terapia, raccomandabile in tutti i pazienti con il fegato grasso e anche finalizzata al contenimento del rischio cardiovascolare, è non-farmacologica ed è perseguibile attraverso la modificazione dello stile di vita: un aumento dell’attività fisica aerobica quotidiana, una corretta ed equilibrata alimentazione (ridurre grassi, zuccheri semplici ed incrementare verdura, frutta lontano dai pasti, pesce e carni magre), un consumo alcolico contenuto e un graduale calo ponderale sono associati ad un miglioramento della malattia epatica. E' inoltre raccomandabile l’ottimale controllo dei disordini metabolici concomitanti, in particolare il diabete mellito (se possibile con farmaci che danno beneficio anche alla malattia epatica), l’ipertensione arteriosa e la dislipidemia.

L'arma della prevenzione contro la malattia mentale

di Filippo Bogetto*
Come in tutta la medicina, anche in psichiatria la prevenzione si può suddividere in: primaria (prima della comparsa di segnali psicopatologici), secondaria (quando si presentano elementi psicopatologici non ancora tali da permettere una diagnosi clinica definita), terziaria (volta a mantenere la salute mentale dopo un episodio patologico), quaternaria (si propone di evitare gli eccessi terapeutici). L'azione preventiva, come quella terapeutica, riguarda fattori biologici, psicologici e sociali strettamente connessi fra loro e che si influenzano l'un l'altro. La prevenzione primaria può rivolgersi alla popolazione generale o, più selettivamente, a popolazioni a rischio in relazione a fattori specifici. Fra questi si possono distinguere fattori perinatali quali infezioni materne, complicazioni ostetriche, scarsa nutrizione, farmaci inappropriati; fattori infantili quali la salute fisica, traumi, modificazioni epigenetiche dovute a influenze negative dell'ambiente sulle attività regolate dai geni; fattori puberali e adolescenziali, quali cambiamenti cerebrali e ormonali e abuso di sostanze; fattori familiari, quali depressione materna perinatale, trascuratezze genitoriali, maltrattamenti, malattie mentali; fattori sociali, quali bullismo, abusi, isolamento, stigma. Su questi ultimi fattori, interventi psicopedagogici e psicoterapeutici possono aumentare la resilienza, cioè la capacità di adattarsi bene dopo avversità, traumi, situazioni stressanti.  La prevenzione secondaria può permettere di intervenire tempestivamente in caso di sintomi e comportamenti non ancora definibili come patologici. Un esempio può essere costituito da vissuti d'ansia e di tristezza temporanei e correlati a riconosciute difficoltà esistenziali. In particolare, nelle età infantili e adolescenziali possono far prevedere futuri sviluppi patologici i ritardi nel linguaggio e nella motricità, l’irritabilità, l’iperattività con problemi di condotta, le difficoltà cognitive, le difficoltà nei rapporti sociali. Anche in questi casi, si è dimostrata l'efficacia di interventi precoci, in particolare psicoterapeutici, al fine di prevenire l'insorgenza di disturbi d'ansia, depressivi, del comportamento alimentare e dell'abuso di sostanze.  La prevenzione terziaria mira a far sì che un episodio psicopatologico non si ripresenti o si cronicizzi o lasci conseguenze negative. Due esempi rilevanti sono rappresentati dal disturbo bipolare, caratterizzato dal ripetersi di episodi di depressione e di euforia, e dalla schizofrenia. Nel disturbo bipolare il provvedimento più importante rimane l'assunzione dei sali di litio, per tempi prolungati; nella schizofrenia occorre il mantenimento di un’adeguata terapia antipsicotica, naturalmente modulandone le dosi. In associazione vanno proseguiti interventi psicoterapeutici e psicoriabilitativi.  La prevenzione quaternaria può essere riassunta dicendo che le terapie psicofarmacologiche non devono essere demonizzate, come purtroppo sovente avviene, in quanto costituiscono un presidio fondamentale nella cura delle malattie mentali; purché assunte solo in risposta a una diagnosi accurata. E' facile dire che la follia è in tutti noi, che la creatività è associata a una dose di follia e così via, dimenticando che la malattia mentale è sofferenza, dolore e, a volte, distruzione della vita.  * Professore emerito di Psichiatria – Università di Torino

L'importanza di un buon sonno notturno

di Piergiorgio Strata*
L’attuale pandemia dimostra che i virus continuano a diffondersi, mutano e si adattano facilmente ai nuovi ambienti mentre le nostre armi di difesa sono deboli.  Il nostro attuale nemico si chiama Covid-19. Qui vorrei descrivere alcuni dati che dimostrano come un buon sonno possa fornire un contributo a mantenere efficienti le nostre difese immunitarie. Già nel 1983, un gruppo di ricercatori guidati dall’americano Allan Retschaffen, si chiese se la morte che segue una totale mancanza di sonno fosse dovuta allo stato di disagio e di stress oppure al venir meno del sonno. Con un ingegnoso esperimento sottopose due gruppi di ratti in condizioni di ricevere lo stesso carico di disagio, ma con la possibilità di dormire a un solo gruppo. Gli esperimenti dimostrarono che nei ratti in cui mancava il sonno mangiavano molto di più, ma perdevano peso e vi era un aumento della temperatura corporea. L’aspetto più significativo associato alla perdita di sonno era l’instaurarsi di ferite infette che si manifestano nella regione più profonda della pelle degli animali. Quindi, assieme al rallentamento dei processi metabolici anche il sistema immunitario manifesta evidenti segni di indebolimento. In conclusione possiamo dire che la morte per deprivazione di sonno ha come causa principale il crollo del sistema che difende l’organismo dall’invasione di estranei: i nemici che ci annientano. A sostegno del concetto che la diminuzione delle ore di sonno aumenta la suscettibilità di subire malattie infettive ha trovato la conferma da un altro dato significativo. A un gruppo di volontari di ambo i sessi è stato somministrato, per via nasale, un tipo di rinovirus che causa un raffreddore molto blando. Nella settimana precedente negli stessi individui, tramite un particolare braccialetto, è stata valutata la durata del loro sonno. Ne è venuto fuori che coloro che nella settimana precedente avevano dormito meno, l’incidenza del raffreddore è stata più alta, confermando così che con la diminuzione del sonno aumentano i fattori infiammatori. Interessante quanto riporta Anthony Beevor nel suo libro dal titolo ‘Stalingrado’. Durante la seconda guerra mondiale, tra l’estate del 1942 e il 2 febbraio 1943, le truppe tedesche assediavano la città di Stalingrado. I russi sferravano attacchi di notte rendendo impossibile il sonno dei soldati tedeschi, i quali dovendo rimanere in allerta anche di giorno vivevano in uno stato continuo di carenza di sonno. Hitler inviò Dieter Girgensohn, patologo della sesta armata per svolgere indagini sul fenomeno. Egli notò che l’aumento del numero dei morti non era dovuto ai combattimenti, ma soprattutto per il sopraggiungere di malattie infettive con un tasso di cinque volte superiore al periodo precedente. Abbiamo trascorso un lungo periodo di guerra con un Coronavirus che ha sovvertito il nostro mondo sociale ed economico in tutto il mondo. La guerra ha visto il virus attaccare soprattutto le persone più avanti con l’età, nelle quali notoriamente il sistema immunitario è più debole, ma non abbiamo mai raccomandato di tenere in considerazione l’importanza di riposare bene la notte, che può essere una delle cose migliori per mantenere in perfetta forma il nostro sistema immunitario, così come la nostra salute mentale e il nostro benessere. * Professore emerito, Dipartimento Neuroscienze - Università di Torino

Ecco le regole per dormire bene

 di Roberto Rey*

Dormire/riposare rappresenta una delle tre attività fondamentali della nostra vita quotidiana. insieme a mangiare/alimentarsi e muoversi/fare attività fisica. Abbiamo la necessità di dormire, ogni notte, dalle sei alle otto ore. Non di più e non di meno, salvo quando abbiamo la necessità di recuperare ore di sonno perso.

I medici attenti devono raccomandare le necessarie ore di sonno e non limitarsi a prescrivere subito sonniferi, che hanno effetti decisamente negativi sulla salute.

Ricordiamoci che non dobbiamo metterci alla guida di veicoli a motore se abbiamo dormito troppo poco. Il sonno causa più incidenti della somma di quelli causati da alcol e droghe.

Se si dorme bene si è più lucidi di mente e, inoltre, migliora anche la nostra forza fisica. Quando, invece, si dorme poco si alterano due ormoni, che fanno sì che si mangi di più e troppo. Se si dorme poco per 7-10 giorni, i livelli di glicemia aumentano tanto da far pensare a una sindrome pre-diabetica.

Riportiamo nove regole per dormire bene; qualora non fossero sufficienti andrebbero associate a ulteriori provvedimenti farmacologici e non. 1. Mantenere il più possibile costante l’ora in cui ci si addormenta e l’ora in cui ci si sveglia. 2. Quando non si riesce a prendere sonno, è meglio alzarsi e cercare di rilassarsi perché girarsi e rigirarsi nel letto non aiuta. 3. Evitare i sonnellini pomeridiani. 4. Non mangiare e non guardare la televisione in camera da letto. 5. Alla sera, non rimanere addormentati sulla poltrona. 6. La camera da letto deve rimanere fresca, l’ambiente deve essere buio e silenzioso. 7. Se si assumono farmaci, controllare se interferiscono con il sonno. 8. Alla sera. non mangiare più della quantità necessaria, perché il sonno potrebbe essere disturbato e interrotto. Preferire alimenti meno grassi e poco conditi. 9. Nelle ore serali, non effettuare esercizi fisici faticosi o attività mentali troppo impegnative.


A queste aggiungiamo ancora altre considerazioni utili per riposare nel modo migliore: l’alimentazione serale deve essere piacevole e soddisfacente ma quantitavamente contenuta; dormire meno di sei ore indebolisce il sistema immunitario e quindi aumenta il rischio di ammalarsi di tumore o di sviluppare l’Alzheimer.

Ultima segnalazione a favore dell’importanza del sonno regolare: arricchisce diverse funzioni del cervello, tra cui la capacità di apprendere, di memorizzare, di compiere scelte e prendere decisioni logiche.

*Roberto Rey, medico è presidente dell'associazione Più vita in salute.

Le buone ragioni per la visita annuale dal dentista

di Marco Mozzati e Valentina Arata
La medicina oggi ricorre ampiamente alla prevenzione in tutti i suoi campi e l’odontoiatria, da molti anni, ha riconosciuto la prevenzione come sua parte integrante e buona abitudine di salute. La salute del cavo orale è alla base di uno stato di salute di tutto il corpo. Questo sia perché la bocca riveste un ruolo importante, permettendo di alimentarsi, respirare, parlare e relazionarsi, sia perché può essere la spia di altre patologie sistemiche dell'organismo più nascoste. Come va impostata allora la prevenzione in odontoiatria?  E chi se ne deve occupare e come? In assenza di qualsiasi problematica si può stabilire che sia buona abitudine, fin da giovane età, eseguire almeno una visita di controllo annuale accompagnata da una seduta di igiene dentale. A questo punto, di solito è proprio il ruolo dell’igienista stabilire le giuste tempistiche di “richiamo” personalizzate per ogni paziente al fine di mantenere sotto controllo l’infiammazione dei tessuti orali e prevenire le problematiche legate all’accumulo di placca e tartaro. Infatti, insieme all’odontoiatra (il dentista) l’altro specialista è l’igienista, una figura relativamente nuova e fondamentale nell’ambito della prevenzione e mantenimento della salute orale. La visita dell’odontoiatra in cosa deve consistere? L’inquadramento anamnestico medico è alla base di qualsiasi visita medica e permette di inquadrare la situazione di salute generale del paziente. Successivamente la visita clinica prevede: a) una valutazione intraorale, in cui lo specialista controlla non solo i denti (eventuali carie e abrasioni), ma anche colore e aspetto di gengive, mucose, guance, labbra, lingua, ghiandole salivari… b) una valutazione extraorale che valuta l’articolazione, i movimenti di apertura della bocca, eventuali dolenzie muscolari e funzionali, ipertrofie muscolari, asimmetrie… c) una valutazione radiografica di supporto che consente oltre a controllare denti e le loro radici, anche le ossa, i seni mascellari, l’articolazione, eventuali presenze di cisti o lesioni osse. Tutte queste osservazioni permettono di intercettare le problematiche e pianificare le eventuali cure. La salute di denti e di tutto il sistema orale sono fondamentali per una buona masticazione, che, a sua volta, consente una buona alimentazione, una buona digestione e assimilazione dei nutrimenti e quindi un corpo in salute. Inoltre patologie della bocca come la parodontite, la piorrea, possono peggiorare alcune malattie sistemiche come il diabete, malattie reumatiche, patologie cardiache… Viceversa, la visita orale può essere la partenza per intercettare malattie del corpo che danno segnali evidenti anche in bocca: erosioni dentali segnalano possibili disturbi gastrici, disturbi alimentari come la bulimia, tendenza al bruxismo. Mucose sanguinanti, alterazione del colore delle mucose possono essere la spia per problematiche ematiche coagulative, patologie epatiche, diabete…Inoltre, alcuni trattamenti farmacologici cronici necessitano di cure preventive orali e mantenimento di igiene più frequenti per contenerne gli effetti collaterali dei trattamenti. In ultimo, non va dimenticata l’importanza della visita odontoiatrica nella prevenzione del cancro orale, che è una patologia molto grave e invalidante, che se intercettata precocemente può essere invece gestita in modo risolutivo e conservativo.

Resilienza, strategia psicologica contro il Covid

di Luciano Peirone* E alla fine arrivò il “mostro che non si vede e non si tocca”… Come in tutte le storie senza lieto fine e senza una attiva partecipazione a quel che si sta facendo, l’ingenua specie umana si è trovata aggredita, e in grave pericolo. Un problema intriso di psicologia: anche se a monte si situano biologia, virologia, immunologia; anche se a valle si situano economia, sociologia, politologia. Ecco perché, in poche semplici parole, bisogna ragionare in termini di complessità: tanti punti di vista, tanti aspetti problematici, necessità di un approccio multidisciplinare, necessità che l’essere umano si riappropri di quella consapevolezza che ha fallito nel non saper vedere e prevedere, nel non saper usare immaginazione e prevenzione, nel non saper usare appieno le facoltà psicologiche del pensiero, delle emozioni, della comunicazione, della socialità. Infatti, cosa ha fatto irruzione nella vita quotidiana dell’intero pianeta, generando una “pandemia” (cioè qualcosa che riguarda assolutamente tutti!)? È il nuovo coronavirus SARS-CoV-2, vale a dire l’agente infettivo che produce la malattia chiamata CoViD-19. Si è scatenata una emergenza (ormai cronicizzata! e con mille sfeccettature), alla quale si sta cercando di rispondere con la resilienza (che è prevalentemente psicologica, in quanto intenzionale). Vanno chiariti questi concetti: Emergenza vuol dire che qualcosa di diverso e sconvolgente entra a perturbare un sistema consolidato seppur instabile e vulnerabile; Resilienza è la risposta - o meglio, una delle risposte, la più idonea e adeguata - a fronteggiare l’emergenza. Di fronte a un pericolo, si tratta di capire cosa accade e di attivarsi per “gestire” l’accadimento: due operazioni che hanno a che fare con la mente e con il comportamento, e quindi con la psiche. Quella contro il nuovo coronavirus è una dura lotta. Occorre sopravvivere, far fronte, adattarsi, e in più “resistere”, nonché “cambiare dentro”, in modo attivo, reattivo, proattivo, dinamico, creativo, con un atteggiamento fortemente psico-socio-culturale. Occorre una innovativa forma mentis al tempo stesso coraggiosa e prudente, anche per gestire le enormi e pesanti conseguenze sanitarie, economiche, sociali, organizzative e politiche derivate da una nuova pandemia che, per essere arginata, va innanzitutto studiata e compresa. Un “lavoro” paziente ed efficace, un “ottimismo” razionale ed equilibrato, una “speranza” misurata e realistica: ecco gli strumenti per gestire la grande sfida, la grande crisi da trasformare in opportunità.  Pertanto, la resilienza è, in particolare, la capacità psicologica di affrontare i traumi della vita, di superarli e di uscirne rinforzati e addirittura trasformati positivamente. Che fare (se non qualcosa anche di profondamente psicologico) di fronte a disturbanti sensazioni come “vivere” la Misteriosa Novità, il Nemico, l’Invisibile, l’Intangibile, l’Ignoto, l’Alieno, il Mutante, l’Incomprensibile, etc.? Che fare (se non qualcosa anche di profondamente psicologico) di fronte a problemi, sintomi e malattie come paura, crisi, stress/distress, burnout, insicurezza, sfiducia, ansia, fobia, panico, angoscia, terrore, shock, trauma, ASD (Acute Stress Disorder), PTSD (Post-Traumatic Stress Disorder), compulsione, ossessione, ipocondria, claustrofobia, crollo dell’autostima, senso di inadeguatezza, senso di colpa, senso di vergogna, indebolimento percettivo-intellettivo, affaticamento cognitivo e fisico, indebolimento del sistema immunitario, somatizzazioni varie, etc. etc.? Ecco allora un esempio di lavoro psicologico (e non solo) che è stato fatto. Un libro sulla base del volontariato culturale e scientifico: sette mesi di lavoro senza compenso alcuno, 49 esperti provenienti da 4 nazioni, 36 contributi, un eBook articolato in 4 sezioni (psicologia, medicina, socioeconomia, sicurezza territoriale). In sintesi, ecco le indicazioni sull’eBook e sul suo progetto. La voce bibliografica è la seguente: Peirone L. (a cura di) (2020). Nuovo coronavirus e resilienza. Strategie contro un nemico invisibile. Torino: Anthropos. Prefazione di Santo Di Nuovo (Presidente di AIP: Associazione Italiana di Psicologia, Professore Ordinario di Psicologia all’Università di Catania). Il link per scaricare l’eBook è il seguente: nuovocoronavirus-ebook.com Il libro è stato pensato e scritto allo scopo dell’ottimale disseminazione online di un prodotto no profit (senza compenso per autori e editore), quindi gratuito e open access, da venire pertanto riversato teoricamente all’infinito, utilizzando i potenti mezzi della comunicazione via Internet, con beneficio di tutti: una politica scientifico-culturale di forte impatto sociale, per cui ogni lettore che lo riceve viene caldamente invitato a realizzare un “effetto valanga”, disseminando ai propri contatti un importante messaggio su un tema che tocca la vita quotidiana di tutti. In definitiva: informare, comunicare, educare... Come si vede chiaramente, si tratta di una tipica operazione di competenza della psicologia e degli psicologi… *Psicologo, psicoterapeuta
di Giovanni Bresciani*
La ginnastica calistenica è un'attività motoria che permette di utilizzare il peso del proprio corpo e la forza di gravità come resistenza per migliorare l’ampiezza e la capacità articolare e per sviluppare la forza muscolare. Prevede ripetizioni consecutive di un esercizio, in numero variabile a seconda del compito motorio. Aumentando il numero delle ripetizioni, si può gradualmente migliorare la resistenza e la forza di un determinato gruppo muscolare. È importante adottare la progressività dell’impegno, che implica l'aumento di ripetizioni al proprio allenamento abituale allo scopo di renderlo un po' più intenso. La calistenica non danneggia le articolazioni.  La ginnastica a corpo libero così come previsto e codificato nell'allenamento calistenico, é strutturata per il miglioramento generale delle proprie performance, la prevenzione di vizi posturali, il controllo muscolare e la sollecitazione del sistema nervoso centrale, ritardando l'incremento dell'ipertrofia stimolando quindi l’accelerazione del metabolismo, il miglioramento della resistenza generale e della resistenza alla forza, l'induzione al dimagrimento (sia grazie al dispendio calorico diretto che per effetto dell'accelerazione metabolica) e, non ultimo, la conservazione della mobilità articolare.  L’allenamento calistenico si caratterizza per una stimolazione muscolare mediante esercizi che si concentrano in modo selettivo su uno o pochi distretti muscolari e, dalla sequenza degli esercizi, si giunge poi ad una stimolazione globale. La parte centrale del lavoro prevede, in successione, esercizi per le braccia e per le gambe, esercizi per la regione posterosuperiore e posteroinferiore del tronco, esercizi per la regione laterale del tronco, esercizi per la stimolazione dell'equilibrio, esercizi per gli addominali, esercizi per le spalle e per la schiena. In tal senso è legittimo parlare di metodo calistenico e di allenamento calistenico finalizzati al miglioramento delle differenti esigenze individuali. L'allenamento calistenico, se correttamente calibrato nelle modalità e nell'intensità dello svolgimento, è tecnicamente proponibile a chiunque, a prescindere dalla fascia di età e dal livello atletico posseduto. Può essere praticato dai più giovani dato che l'utilizzo del proprio corpo come resistenza lo rende certamente più sicuro e lo svolgimento dinamico non compromette la possibilità di sfruttare il fertile periodo di sviluppo delle capacità coordinative oltre che condizionali.Va benissimo per i sedentari e per le persone in sovrappeso, così come per le donne in gravidanza ,consentendo di intervenire efficacemente anche rispetto a eventuali stati dolorosi a carico della colonna vertebrale causati da una postura poco corretta. È consigliata per le persone che debbono effettuare la riabilitazione in seguito a periodi di immobilità dovuti a interventi chirugici, degenze ospedaliere o lunghi periodi di allettamento ed il conseguente mancato movimento del corpo. Come per tutti gli sport esistono vantaggi e svantaggi molto frequentemente attribuibili a seconda del tipo di obiettivi che ci si pone. Ecco i principali vantaggi della ginnastica calistenica: a) È facile: per fare allenamento con la ginnastica calistenica, non servono attrezzi o strumenti, un tappetino sarà sufficiente; b) È economica: non servirà l’abbonamento in palestra, potrete allenarvi a casa o all’aria aperta quando le stagioni lo consentono. Non esistono dei veri e propri svantaggi nell’affrontare un allenamento calistenico, tuttavia ci sono alcuni limiti che a seconda degli obiettivi posti potrebbero disattendere le aspettative. Vediamoli: a) costanza: come per ogni tipo di allenamento, bisogna essere costanti. Il fatto che la ginnastica calistenica possa essere effettuata in totale autonomia, potrà essere un limite per i più pigri. La soluzione è quella di impegnarsi e di coinvolgere qualche amico che fungerà da motivatore; b) la ginnastica calistenica non aumenta in modo significativo la massa muscolare. L’allenamento calistenico rassoda e tonifica. Alcuni studi dimostrano che 30 minuti di ginnastica calistenica al giorno, accompagnati da un’alimentazione equilibrata e uno stile di vita sano, saranno in grado di modellare e far rifiorire il vostro corpo in maniera eccellente! Aumentando progressivamente ritmo e ripetizioni, la ginnastica calistenica sarà in grado di restituirvi risultati molto soddisfacenti! * Coordinatore dell'Associazione Più vita in Salute

Le sette regole della buona alimentazione

di Roberto Rey*
Un’alimentazione corretta permette di mantenere il più possibile una buona condizione di salute, perché i cibi sono una fonte sia di calorie, necessarie per svolgere le funzioni vitali e l’attività fisica, sia di principi nutritivi (i nutrienti), di cui l’organismo ha bisogno per crescere e svilupparsi, consentendo di muoversi, lavorare, divertirsi, fare sport. Il fabbisogno calorico di ciascuna persona è diverso e dipende da molti fattori: età, sesso, costituzione fisica, attività fisica svolta, clima e non solo; per l’uomo varia da 2.300 a 2.700 Kcal, per la donna da 1.800 a 2.200 Kcal al giorno.

I cibi apportano i nutrienti (proteine, glucidi, lipidi) e i micronutrienti (sali minerali e vitamine), che, presenti in piccole quantità, svolgono comunque funzioni essenziali nel nostro organismo e le loro carenze hanno importanti ripercussioni sulla nostra salute. Non bisogna, poi, dimenticare l’importante ruolo delle fibre e, in particolare, quello fondamentale dell’acqua. Tutti gli alimenti contengono nutrienti, in quantità diverse e di vario tipo e solo variando l’assunzione dei cibi potremo garantire la copertura dei nostri fabbisogni.

Le regole fondamentali per una alimentazione sono sette. 1. Controllare costantemente il peso, in modo da evitare sovrappeso e obesità. Gli obesi si ammalano molto più facilmente dei soggetti normopeso. E' bene controllare il peso ogni 30 giorni, in modo da poterlo correggere in tempo. Se compare sovrappeso, occorre ridurre le entrate energetiche consumando cibi a basso apporto calorico (quindi poveri di sostanze grasse) ma ad alto potere saziante e aumentare le uscite (consumi) energetiche svolgendo più attività fisica. 2. Valutare quanti grassi e quali grassi introdurre. É necessaria una quota di grassi che, oltre ad apportare la giusta energia, fornisca acidi grassi essenziali, vitamine liposolubili e colesterolo. I grassi alimentari non dovrebbero costituire più del 30% dell’apporto calorico giornaliero e per i 2/3 essere di origine vegetale, prevalentemente insaturi e polinsaturi con capacità protettive. I grassi di origine animale, prevalentemente saturi, favoriscono l’aterosclerosi. 3. Più cereali, legumi, ortaggi, frutta. Cereali e legumi forniscono carboidrati complessi e fibra. Ortaggi e frutta forniscono zuccheri semplici, fibre, sali minerali, vitamine e acqua. 4. Zuccheri e dolci. Gli Zuccheri semplici devono rappresentare solo una piccola percentuale della quota energetica giornaliera. Se superiore al 10% può facilitare la comparsa di obesità, diabete, malattie cardiovascolari.

5. Il sale. Meglio non eccedere (non più di 5- 6 grammi al giorno). Può favorire l’insorgenza di ipertensione, che è fattore di rischio delle malattie cardiocerebrovascolari. Non aggiungere troppo sale da cucina durante la preparazione dei cibi e limitare il consumo di alimenti di per sé già ricchi di sale. Dare la preferenza alle erbe e alle spezie aromatiche. Comunque, preferire il sale iodato. 6. Bevande alcoliche. Consumarle con grande moderazione. L’abuso di alcool etilico è molto pericoloso: può creare danni al fegato, al pancreas, all’apparato circolatorio, allo stomaco, al sistema nervoso. Sono possibili interferenze con vari farmaci. che possono creare reazioni indesiderate. 7. Come e perché variare. La dieta monotona non dà alcun tipo di soddisfazione e non è in grado di rispondere alle tante esigenze nutritive. Inoltre variare significa soddisfare il gusto e combattere la monotonia dei sapori. 

Per una varia e sana alimentazione è utile scegliere uno o due cibi appartenenti a ciascuno dei diversi gruppi alternandoli nei pasti della giornata e continuare nei giorni successivi, avendo cura di variare sempre le scelte nell’ambito dei singoli gruppi. Gruppo 1. Cereali e tuberi: pane, pasta, riso, farro, avena, mais, orzo, patate, da 2 a 4 porzioni al giorno. Fonte di energia di pronta utilizzazione sotto forma di amido. Vitamine gruppo B. Proteine di scarsa qualità che raggiungono valore nutritivo buono se unite a quelle dei legumi. Gruppo 2: frutta e ortaggi. Fibra. Vitamine A-B-C. Da 3 a 5 porzioni al giorno. Gruppo 3: latte e derivati. Calcio. Proteine. Vitamine A-B2-D. Da 1 a 2 porzioni al giorno. Gruppo 4: carne, pesce, uova, salumi, legumi. Proteine Ferro Zinco Rame Vitamine B-A-D. Da 1 a 2 porzioni al giorno. Gruppo 5: grassi da condimento di origine animale o vegetale. Olio e burro. Da 1 a 3 porzioni al giorno.

*Roberto Rey, medico, presidente dell'associazione "Più vita in salute"


Quando l'occhio diventa "secco"

di Davia Ciacci e Francesca Jonnson*
È noto a tutti che l’utilizzo degli occhi e dell’apparato visivo assumono un ruolo fondamentale nello svolgimento delle nostre attività quotidiane: leggiamo, guidiamo, usiamo il computer tante ore, utilizziamo gli smartphone con cui comunichiamo costantemente, studiamo, guardiamo la televisione, pratichiamo attività sportive. Pertanto è indispensabile avere tale apparato perfettamente funzionante, efficiente e, in caso di patologie, in equilibrio costante. Utilizzare in qualità massimale la vista, significa non stancarsi, non stressarsi, non avere i sintomi da affaticamento che generalmente viene riscontrato in numerosi pazienti. Un buon film lacrimale e una superficie oculare sana sono condizioni essenziali per avere una perfetta qualità della visione. Le lacrime costituiscono una importante struttura sulla superficie dell’occhio e un loro difetto qualitativo o quantitativo può avere un impatto diretto sull’intera superficie oculare. Uno dei principali problemi del discomfort visivo è quindi attribuibile alle patologie del film lacrimale: l’occhio secco, le cheratopatie, l’alterazione della densità lacrimale, il mancato uso o non corretto utilizzo degli occhiali e delle Lac (lenti a contatto), gli esiti di precedenti interventi agli occhi, l’assunzione di farmaci o patologie che possono interferire con l’apparato lacrimale, generano una serie di disturbi corneali e della visione. L’occhio secco, condizione sempre più frequente oggi, si determina quando le lacrime vengono prodotte in modo insufficiente e quando il film lacrimale è di alterata qualità. È, infatti, importante capire la composizione del proprio film lacrimale per poter meglio comprendere la salute della propria superficie oculare e quindi del nostro occhio. La valutazione dell’iperosmolarità, la salinità delle lacrime, spiega in molti casi l’alterazione della superficie oculare. L’eccessiva concentrazione dei sali nelle lacrime, contribuiscono all’alterazione delle cellule della superficie oculare, producono un discomfort visivo e fluttuazioni della visione con astenopia. Un buon film lacrimale, al contrario, rende la visione più stabile e di buona qualità. L’occhio secco ha un’origine multifattoriale ed è causa primaria di discomfort visivo e difficoltà di messa a fuoco, soprattutto nei pazienti che utilizzano il videoterminale tutto il giorno, nei portatori di lenti a contatto, in coloro che sono stati operati agli occhi, o in soggetti affetti da patologie sistemiche (reumatiche, connettiviti, distiroidismi, disturbi immunitari) o in patologie distrofiche della cornea o in soggetti che assumono particolari medicinali. La somministrazione random di sostituti lacrimali non risolvono i problemi del paziente, perché è necessario effettuare una terapia individuale, che si può stabilire solo dopo aver effettuato determinati esami diagnostici: a) la meibografia, che consente lo studio delle ghiandole di Meibomio, a livello delle palpebre, responsabili della componente lipidica delle lacrime. L’alterazione di queste ghiandole riduce la produzione di lipidi con conseguente evaporazione del film lacrimale e manifestazione di secchezza oculare precoce. b) Il but-test, studio della rottura del film lacrimale sulla cornea, che dà un’indicazione circa la qualità del film lacrimale del paziente, c) test di Schirmer, che valuta la quantità delle lacrime prodotte in cinque minuti (può variare da occhio a occhio) e che si rilevano con uno speciale stick di carta millimetrata. d) valutazione della salinità delle lacrime, indice di iperosmolarità, misurata con uno strumento elettronico. * Medici del Centro oclustico Chiros (Torino)

Radicali liberi, meglio conoscerli per evitarli

di Roberto Rey*
I radicali liberi. E' importante conoscerli per poterli evitare o almeno contrastare efficacemente. Sono molecole/atomi capaci di reagire con le cellule del nostro organismo e di alterarne la struttura e la funzionalità; sono molto reattive, caratterizzate dalla presenza di un elettrone spaiato, per cui tendono a sottrarne uno alle molecole vicine più stabili. I meccanismi che determinano un aumento eccessivo e dannoso dei radicali liberi possono essere di origine esterna all’organismo (agenti fisici, chimici, infettivi) oppure di origine interna (obesità, diabete) oppure legati al metabolismo cellulare che può venire alterato durante uno sforzo fisico intenso e prolungato. Lo “stress ossidativo” da essi prodotto può portare all’aterosclerosi delle arterie attraverso tre passaggi: accumulo di grassi all’interno delle arterie e formazione di ”strie lipidiche”, formazione di placche rilevate e sporgenti all’interno dei vasi (ateromi), formazione di coaguli e trombi in quanto la guaina endoteliale non produce più anticoagulanti, ma globuli bianchi e piastrine. In questi casi è necessario intervenire riducendo il processo ossidativo ed evitando tutti quei fattori che possono favorire e incrementare la formazione di radicali liberi: il fumo, sia attivo che passivo, gli agenti inquinanti, le radiazioni ultraviolette (U.V.), il consumo di sostanze alcoliche. Parallelamente devono essere incrementate l’attività fisica e l’alimentazione corretta. I radicali liberi sono coinvolti in meccanismi di degenerazione e di invecchiamento del nostro organismo, in particolare nei meccanismi favorenti l’aterosclerosi precoce e le diverse neoplasie. L’accentuazione dello stress ossidativo porta inevitabilmente a un più veloce logoramento dei nostri apparati, in primis di quello cardiovascolare e di quello cerebrovascolare, tramite ossidazione del colesterolo cattivo (LDL), che causa aterosclerosi e ischemia con conseguente minore afflusso di sangue e di ossigeno ai tessuti. Possono essere colpiti anche il tessuto muscolare e quello cutaneo. A livello cardiovascolare i danni prodotti sono di tipo aterosclerotico e ischemico con il risultato di minor afflusso di sangue e di ossigeno. A livello nervoso vengono causati danni legati a impoverimento e riduzione delle strutture di protezione e di comunicazione tra le cellule nervose. Quando la produzione di radicali liberi è decisamente elevata può rappresentare una vera minaccia per la salute delle nostre cellule e per la loro integrità. In questi casi è indispensabile ridurre lo stress ossidativo evitando quei quattro fattori sopra elencati che determinano la formazione di radicali liberi. Contemporaneamente si devono favorire una regolare attività fisica e un’alimentazione corretta e naturale (ad esempio la Dieta mediterranea). Gli antiossidanti contrastano la formazione dei radicali liberi e neutralizzano quelli già presenti. Ad esempio una dieta ricca di anti ossidanti è una difesa naturale nei confronti dei radicali liberi che provocano uno stress ossidativo il quale inizia il percorso che porta all’aterosclerosi. Lo stress ossidativo può essere contenuto se è di bassa intensità. L’ossigeno che non viene trasformato in energia e sfugge alla normale via metabolica dà origine ai radicali liberi. Chi è più esposto all’aumento di radicali liberi? Chi è in sovrappeso e chi è esposto a stress psicofisici, all’inquinamento ambientale, al fumo di tabacco, a radiazioni ionizzanti (sole o lampade), a raggi ultravioletti; chi è in terapia con ormoni estro progestinici, chi non segue un regime alimentare bilanciato, chi assume troppi alcolici, chi è affetto da malattie croniche importanti. Quando si è in buona salute e nelle migliori condizioni psicofisiche ci si difende dallo stress ossidativo grazie al proprio sistema antiossidante (enzimi e vitamine) che non è più sufficiente quando si deve fronteggiare uno stress ossidativo elevato. * Medico, presidente dell'associazione Più vita in salute

Perché bisogna bere almeno 2 litri d'acqua al giorno

di Roberto Rey
L’acqua è un elemento indispensabile per la vita, quasi come l’aria, in quanto senza acqua non si può sopravvivere se non pochi giorni. Tutte le reazioni vitali avvengono in presenza dell’acqua, che ha il compito di distribuire nel nostro corpo tutte le varie sostanze. L’acqua è fondamentale perché: provvede alla digestione, allo scioglimento e alla distribuzione nel nostro corpo di tutte le sostanze nutritive e anche degli ormoni e degli enzimi necessari; provvede all’eliminazione di tutti i prodotti di scarto, attraverso i reni, i polmoni e la cute. Inoltre, mantiene costante la temperatura del corpo grazie alla propria evaporazione attraverso l’epidermide, interviene nell’equilibrio acido-base dell’organismo ed é fondamentale per la formazione di molti liquidi fisiologici come quello amniotico, quello oculare, quello cerebrospinale, quello sinoviale, quelli di secrezione relativi ad alcuni apparati (respiratorio, digerente, urinario). La quantità di acqua necessaria giornalmente è di circa 2,5 litri; viene assunta sia bevendo sia attraverso gli alimenti introdotti; viene eliminata attraverso le urine, le feci, la respirazione e la sudorazione. In condizioni normali è necessario bere, durante la giornata, da circa un litro e mezzo di acqua fino a due litri (cioè 8/10 bicchieri). É bene non bere troppo durante i pasti, in quanto si rischia di diluire troppo i succhi gastrici utili per la digestione. Il fabbisogno ovviamente varia a seconda dell’età, dell’attività fisica svolta, dell’alimentazione e del clima. In alcune situazioni l’aumento di acqua assunta diventa più importante: quando l’alimentazione è particolarmente ricca di proteine e quindi quando bisogna eliminare le scorie; in caso di febbre elevata, in caso di episodi ripetuti di vomito o di diarrea, in caso di poliuria, in caso di terapia con farmaci o trattamenti che favoriscono la diuresi. In altre situazioni è invece importante contenere il consumo di liquidi come in caso di scompenso cardiaco e in caso di malattie renali in quanto in tali casi si crea un accumulo di liquidi (acqua) nei tessuti perché l’organismo non è in grado di eliminare la quantità in eccesso pur con l’aiuto di terapia diuretica.  Quando non si beve acqua a sufficienza le scorie prodotte rimangono molto concentrate; ne sono una prova l’alito cattivo e le urine maleodoranti. Siamo sommersi da bevande di ogni tipo, la maggior parte di loro sono bevande gasate. I giovani adolescenti ne scolano da 2 a 4 al giorno. Gli adulti bevono più vino (o birra) che acqua, oltre a grandi quantità di tè, caffè, o altre bevande. A questo punto dobbiamo chiederci quanti bicchieri di acqua beviamo ogni giorno; probabilmente se li contiamo ci accorgiamo che sono veramente troppo pochi e in certi casi sono pochissimi. Il nostro organismo è costituito per il 70% da acqua senza la quale sarebbe più avvizzito di una prugna secca. L’acqua, una sostanza incolore, inodore, priva di calorie e di sale come può essere così essenziale? L’acqua per il nostro organismo può essere paragonata a ciò che rappresenta l’olio per il motore di un’auto. Infatti è il lubrificante che fa scorrere bene tutti gli ingranaggi ed è esattamente ciò che l’organismo richiede per poter svolgere tutti i processi vitali.  Tutte le acque potabili contengono minerali, ma per legge sono denominate minerali solo quelle che presentano determinati requisiti: devono avere origine da una falda o da un giacimento sotterraneo, devono essere dotate di proprietà salutari dovute alla presenza di particolari sali minerali e oligoelementi; inoltre devono essere già potabili alla sorgente e venire imbottigliate come sgorgano dalla fonte.  Le caratteristiche organolettiche e di contenuto delle diverse acque minerali sono basilari per effettuare considerazioni sul loro impiego nelle differenti età e nelle diverse condizioni, sia fisiologiche che patologiche, della vita. Una prima distinzione tra le acque minerali può essere fatta in base alla quantità di sali minerali in esse contenuti. Un parametro molto importante è il residuo fisso a 180° vale a dire il contenuto totale di sali espresso in grammi e rilevato dopo l’evaporazione di un litro di acqua minerale. Sulla base dei valori del residuo fisso si fa la seguente distinzione: acque minimamente mineralizzate (il 9% di quelle in commercio). Hanno il minor contenuto assoluto di sali. Determinano un rapidissimo assorbimento per via gastrica e un aumento marcato della diuresi. Sono indicate soprattutto per la cura della calcolosi delle vie urinarie. Sono ottimali in pediatria per la ricostituzione del latte in polvere e negli adulti in caso di ipertensione arteriosa (ridotto apporto di sodio). Acque oligominerali (sono il 56% delle acque minerali italiane). Hanno ridotta concentrazione dei sali minerali, tracce di metalli pesanti, di oligoelementi e di gas disciolti. Hanno azione diuretica e sono ottimali nella prevenzione della calcolosi renale. Acque ricche di sali minerali (sono l’11% delle acque minerali italiane). In queste rientrano le acque medicamentose, la cui assunzione andrebbe fatta sotto controllo medico. Infine, le acque mineralizzate, che rappresentano il 24% delle acque italiane sul mercato. Hanno azione analoga a quella delle acque oligominerali e sono ricche di bicarbonati. La classificazione delle acque minerali può essere fatta anche sulla base delle sostanze in esse contenute: acque bicarbonate (sono prevalentemente bicarbonato–calciche), acque solfate (possono essere solfato-calciche, solfato-sodiche, solfato-magnesiache), acque clorurate (prevalgono cloro e sodio), acque magnesiache (tenore di magnesio superiore a 50 mg/litro), acque calciche (tenore di calcio superiore a 150 mg/litro) acque fluorate (contengono fluoro superiore a 1mg/litro), acque ferruginose (contengono ferro superiore a 1mg /litro), acque sodiche (contengono sodio superiore a 200mg /litro).