venerdì 18 marzo 2022

Virtù e benefici dei superalimenti (seconda parte)

di Roberto Rey*
Ecco la seconda parte dell'articolo sui 50 “superalimenti”. Dopo i primi 25, qui sotto i restanti 25. 26) Malto. Malto d'orzo, di mais, di miglio e di riso. Sono molto importanti, in quanto dolcificanti naturali derivati dai cereali che uniscono al potere dolcificante il potere di tonificare, di migliorare l'umore e di fornire un'energia inaspettata. Il malto sostituisce lo zucchero di cui ha un potere dolcificante inferiore ma è anche meno calorico; ha il vantaggio di avere la capacità di regalare un leggero aroma alle preparazioni. In commercio si trova principalmente sotto forma di sciroppo simile al miele e può essere usato al naturale o essere cotto nei dolci. In caso di irregolarità intestinali è indicato il malto di riso, mentre il malto di orzo ha un'azione purificante ed è indicato per i disordini alimentari. 27) Mandorla. E' il seme commestibile del mandorlo. E' ricca di vitamine e sali minerali (vitamina E, potassio, fosforo e magnesio)Non fa ingrassare soprattutto se la si consuma intera con la buccia. Ha effetto anticolesterolo, antiossidante e antistress. L'olio di mandorla come alimento ha funzioni lassative. 28) Mela. E' antiossidante e diuretica, aiuta a controllare il colesterolo e contrasta la fatica fisica. Ha un'elevata ed equilibrata concentrazione di fibre, di vitamine (soprattutto la C) e di sali minerali. Contrasta l'invecchiamento e rafforza le difese immunitarie. Tiene sotto controllo l'appetito e regolarizza l'intestino.Tutto ciò la rende un alimento eccezionale. 29) Melagrana. E' tonificante, immunostimolante, molto antiossidante. Contiene le vitamine A, B, C e minerali, in particolare potassio e fosforo. Rinforza il sistema immunitario e aiuta la digestione. Ha funzione antibatterica, Favorisce le funzioni intestinali. 30) Miele. E' antibatterico, antitosse, emolliente. E' ricco di enzimi,di minerali e di vitamine. E' un disinfettante naturale. E'composto da diversi zuccheri (glucosio e fruttosio in particolare). I benefici che ne derivano: calma la tosse e decongestiona le vie respiratorie; aumenta la resistenza fisica ed è indicato per il recupero dopo l'attività sportiva. Migliora la concentrazione, protegge e disintossica il fegato. E' ricco di polifenoli, combatte i radicali liberi e aiuta a rallentare l'invecchiamento. 31) Mirtillo nero. E' antiossidante, antidiarroico, antibatterico. Disinfetta le vie urinarie e protegge dalle cistiti. Soprattutto migliora la vista, in quanto è il vero alleato della salute dei capillari e della circolazione. I componenti principali sono gli antociani, molecole che migliorano la sensibilità della retina di cui viene incrementata la funzionalità e di conseguenza viene potenziata l'acutezza visiva. Inoltre è ricco di vitamine A e C, di sali minerali e di zuccheri. 32) Miso. E' digestivo, disintossicante, antiossidante ed equilibrante della flora intestinale. Non è indicato per chi segue una dieta povera di sodio.E' un alimento fermentato e ricco di sale e di vitamine del gruppo B. Va aggiunto poco per volta alle preparazioni per poter dosare correttamente la salatura. 33) Noce.  E' anti ossidante e anticolesterolo. E' nutriente, ricca di acidi grassi insaturi, di vitamine e di minerali (potassio, fosforo, magnesio). Tiene sotto controllo il colesterolo e abbassa il colesterolo LDL a beneficio di quello buono (HDL), E' indicata per chi studia e per chi fa intensa attività sportiva. Ha un elevato potere calorico. Contrasta l'invecchiamento della cute. E' indicata per chi segue la dieta vegetariana. 34) Noni. Il loro succo è ricco di vitamine e di minerali e agice come antistress e antifatica. Può essere usato come tonificante, migliora il tono dell'umore e l'efficienza mentale e ha un'azione antiossidante contro i radicali liberi. Aiuta in presenza di emicrania. 35) Olio di oliva extravergine. Anti ossidante e anti infiammatorio.E' fonte di energia e vitamine che favoriscono lo sviluppo corporeo, l'attività muscolare e la resistenza alle infezioni. Ha un azione lassativa; l'uso costante migliora il tono dell'umore e contrasta gli effetti della depressione. Aumenta i valori del colesterolo buono (HDL)  e riduce i livelli di LDL. 36) Peperoncino. E'digestivo, vitaminizzante, antibatterico, antiastenico, decongestionante nelle forme da raffreddamento. E' utile dopo gli eccessi a tavola. Il consumo deve essere moderato. Può essere piccante e per il bruciore è utile bere latte o masticare la mollica del pane, non bere acqua, non toccarsi gli occhi e lavarsi subito le mani. La causa della piccantezza è la capsaicina. che reagisce con alcuni termorecettori e li attiva; è utile nei casi di astenia, ha effetto antibatterico e antidolorifico (soprattutto in caso di emicrania o sinusite) 37) Peperone. Stimolante e digestivo antibatterico. E' ricco di vitamina C e contiene anche vitamina A; quello verde contiene acido folico. Il peperone ha proprietà stimolanti e diuretiche. Può essere consumato sia crudo che cotto ed è molto apprezzato per le qualità digestive. E' l'ingrediente della paprica che si ottiene facendolo seccare e macinandolo. Svolge azione antiossidante. E' indicato nelle diete per la sua qualità saziante. Contiene capsaicina (sostanza anti dolorifica) ma in modesta quantità rispetto al peperoncino. Il peperone rosso è croccante e zuccherino, il giallo è tenero e succoso. 38) Pomodoro. Antiossidante, diuretico e digestivo. E' un frutto ma viene considerato un ortaggio. La sua forza é il licopene, che è contenuto nella buccia e ha funzioni antiossidanti e protettive.Il pomodoro contiene una discreta quantità di vitamine, soprattutto C, potassio e fosforo. Il pomodoro combatte l'invecchiamento delle cellule, contrasta l'osteoporosi , favorisce la funzione intestinale e stimola la diuresi. Consumare il pomodoro con l'olio migliora l'assimilazione del licopene e della provitamina A. Nel pomodoro cotto il licopene è cinque volte maggiore che in quello crudo. Più il pomodoro è rosso, maggiore è la quantità di licopene. E' controindicato per chi soffre di acidità di stomaco. L'istamina contenuta nel pomodoro può scatenare pesanti reazioni allergiche. 39) Quinoa. Energizzante, proteica, nutriente.Non contiene glutine. E' indicata per chi soffre di celiachia. Considerata un cereale, è un alimento completo e prezioso, ricco di proteine, fosforo, potassio. E' una fonte di calcio ed è indicata per chi è intollerante al latte. E' particolarmente nutriente, contiene tutti gli amminoacidi essenziali al nostro organismo; inoltre contiene fibre e minerali (fosforo,magnesio,ferro e zinco). E' consigliata ai bambini e alle donne in gravidanza. 40) Riso. E' una delle principali risorse alimentari. Molto digeribile, contiene acidi grassi essenziali. No glutine. E' un alimento rinfrescante e disintossicante. Se integrale, risulta ottimo per quanto riguarda la qualità nutrizionale. E' facilmente digeribile e adeguatamente saziante. Regola la flora intestinale ed è ottimale nelle diete dimagranti. Il riso bianco è astringente mentre quello integrale favorisce il transito intestinale. 41) Sardina. Combatte il colesterolo LDL a vantaggio di quello HDL. E 'il pesce azzurro più ricco di omega3. E' un ottima scelta soprattutto se proviene dalla piccola pesca costiera. E' ideale per adolescenti, per sportivi, per donne in gravidanza, per le persone convalescenti. Ha maggiori quantità di vitamine rispetto al pesce "bianco". Aiuta a prevenire l'arteriosclerosi e riduce la probabilità di malattie cardiovascolari. I bianchetti, forme giovanili delle sardine, sono delle vere prelibatezze. 42) Semi di lino e di girasole. Contengono molti minerali e vitamine del gruppo B ed E le cui proprietà antiossidanti combattono i radicali liberi. I semi di lino hanno funzione lassativa, sono antinfiammatori, riducono il colesterolo LDL, hanno effetto antifame e antiossidante. 43) Sgombro. E' adatto per l'alimentazione di bambini e anziani. E' ricco di omega3, anti colesterolo. Molte sono le proteine e le vitamine. Ha carni saporite e compatte. Stimola le funzioni cerebrali, rafforza il sistema immunitario e ha effetto antinfiammatorio. Non è indicato per chi soffre di gotta. Quello in scatola contiene troppo sale. 44) Soia. Combatte la fame eccessiva e il colesterolo elevato. E' una leguminosa ricca di ferro, potassio, vitamine del gruppo B ed è anche fonte di proteine vegetali. Si usano i semi interi o macinati e l'industria fa largo uso della lecitina estratta dalla soia, come agente emulsionante. 45) Spinacio. Antiossidante, lassativo,diuretico e rimineralizzante. La vera ricchezza è l'acido folico più che il ferro che è poco utilizzabile come nutriente per la presenza di acido ossalico per le donne in gravidanza e per i bambini, consigliato nelle diete ipocaloriche. Aiuta il transito intestinale. E' indicato nei casi di astenia e per migliorare l'appetito. Sconsigliato per chi soffre di calcoli. Poche gocce di succo di limone sugli spinaci aumentano la biodisponibilità del ferro in essi contenuto. 46) Topinanbur.  Diuretico, tonico e digestivo.E' un tubero poco conosciuto ma ricco di vitamine del gruppo A e B, di ferro, di potassio e di inulina (una particolare fibra altamente solubile, in grado di riequilibrare la flora intestinale). Abbassa la glicemia e la stabilizza, é indicato per ridurre la spossatezza e lo stress. E' utile nelle diete dimagranti perchè contrasta la ritenzione idrica. Favorisce la sensazione di sazietà. In chi allatta favorisce la secrezione lattea. 47) Uva. Antiossidante, antistipsi. Ricca di vitamine e di sali minerali come potassio, calcio, fosforo. Uve bianche, nere, rosate; la nera, ricca di antocianidine, ha spiccate doti antiossidanti. E' indicata in caso di affaticamento, ha potere disintossicante, facilita il transito intestinale e ha effetto drenante. 48) Zafferano. Digestivo, stimolante. E' ricco di sostanze carotenoidi come il licopene e di vitamine (A,B,C). Aromatizza e colora molte preparazioni. Negli ultimi anni sono cresciute le coltivazioni in Italia ( Zafferano dell'Aquila in Abruzzo, di San Giminiano in Toscana, di Sardegna). Attenua i sintomi della sindrome pre mestruale, migliora il tono dell'umore, stimola la memoria e l'apprendimento. Non superare la dose di 1grammo al giorno. Un pizzico di zafferano in acqua bollente con un cucchiaino di miele è un ottimo digestivo. 49) Zenzero. Antisettico, antinfiammatorio, digestivo e anti nausea. Ricco di vitamina C, è fonte di antiossidanti, E' coltivato dai tempi remoti per le sue virtù benefiche. Può essere commercializzato fresco, essiccato, in polvere o sottaceto. In cucina si abbina con carni e con pesci. E' utile per preparare dolci (pan di zenzero), per aromatizzare bevande (ginger ale) e salse. 50) Zucca. Antiossidante e ricostituente. Ricca di vitamina A sottoforma di betacarotene. Ricca di zuccheri e sali minerali (potassio). Ha un basso contenuto calorico. Le specie coltivate per il consumo invernale sono la cucurbita maxima (dal frutto grande e rotondeggiante) e la cucurbita moschata (dal frutto cilindrico, allungato e leggermente incurvato). La polpa può essere cotta in forno, al vapore, bollita e in padella. Della zucca si consumano anche i semi lavati e tostati in forno. Ha proprietà lassative e depurative. Ha azione antiossidante. E' indicata come ricostituente nei casi di astenia. * Medico, presidente dell'associazione Più Vita in Salute

giovedì 17 marzo 2022

Lo studio di Mediobanca su integratori e obesità

“Nutraceutica”, crasi di nutrizione e farmaceutica, è un neologismo coevo a quello di alimentazione funzionale. I nutraceutici sono sostanze che svolgono comprovate funzioni fisiologiche o attività biologiche, derivate mediante le tecniche della sintesi farmaceutica da piante, agenti microbici e alimenti. I nutraceutici possono essere assunti attraverso i cibi funzionali da essi arricchiti oppure sotto forma d’integratori in compresse, capsule, fiale o polveri solubili. Si tratta, quindi, di una categoria a cavallo tra l’alimentazione funzionale e gli integratori. Lo si legge sul sito della Banca del Piemonte (www.bancadelpiemonte.it), che riporta i principali risultati di un fresco rapporto dell'Area studi di Mediobanca, dove fra l'altro viene riferito che “La dimensione mondiale del mercato dei cibi funzionali è stimata a fine 2021 in circa 500 miliardi di dollari, con aspettative di crescita a un tasso medio annuo al 6,9% che porterebbe il comparto a 750 miliardi nel 2027”. E a categoria più consistente è quella dei cibi per il controllo del peso (slimming o weight management), pari a 214 miliardi di dollari, seguita dagli integratori, che valgono a livello globale 140 miliardi (+7,7%). I baby food arrivano a 73 miliardi (+6,5%), “ma sono le specialità vegan (25 miliardi, +9%) a mostrare le attese più rosee”. Sono diversi i trend di lungo periodo candidati a sostenere la crescita del mercato dei cibi funzionali. In primo luogo, l’allungamento della speranza di vita ha comportato l’aumento della quota di popolazione longeva, con conseguente incremento dei costi sanitari. Ciò ha reso evidente ai sistemi di sanità pubblica la necessità di favorire l’ingresso della popolazione nella fascia di età avanzata in condizioni di relativa buona salute e benessere complessivo. A tale obiettivo concorre certamente un regime alimentare in cui l’assunzione dei nutrienti necessari avvenga in maniera corretta e bilanciata, riducendo la probabilità d’insorgenza delle patologie fisiche e intellettive tipicamente legate all’avanzare dell’età (malattie cardiovascolari, osteoporosi, disturbi della vista, deterioramento delle funzioni cerebrali, ecc.). “Tuttavia, è sempre più evidente la diffusione di stili di alimentazione disordinati e squilibrati, ipercalorici e iperlipidici - si legge ancora sul sito della Banca del Piemonte - Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, infatti, il 39% di coloro che hanno più di 18 anni è in sovrappeso, con sostanziale raddoppio dal 20% del 1975. Inoltre, circa il 13% della popolazione mondiale si trova in condizione di obesità, un valore in questo caso triplicato dal 1975. Il sovrappeso e l’obesità tra i bambini e gli adolescenti di età compresa tra 5 e 19 anni sono aumentati a livello mondiale dal 4% del 1975 a oltre il 18%. A fronte di circa 900 milioni di persone sottonutrite nel mondo, ve ne sarebbero 1,5 miliardi obese o sovrappeso, tanto che i decessi annui per mancanza di alimentazione (circa 36 milioni) non sono troppo distanti da quelli per suo eccesso (29 milioni). I costi diretti e indiretti legati al disordine alimentare e ai connessi problemi metabolici sono enormi. Le pur incerte stime li indicano complessivamente in 4.800 miliardi di dollari all’anno, vicino al 3,5% del Pil mondiale, con picchi del 4,8% in America Latina (circa 500 miliardi di dollari) e del 4,3% nel Nord America (1.000 miliardi). Il vulnus economico per l’Europa è stimato in circa 900 miliardi, oltre il 3% del suo Pil. Inoltre, al di là di un’eccessiva assunzione calorica o lipidica, vi è anche un tema di qualità del cibo. Porzioni significative della popolazione seguono un regime alimentare connotato da carenza di componenti nutrizionali essenziali al mantenimento di un adeguato stato di salute. Una dieta bilanciata richiederebbe, per esempio, un’incidenza del 50% nel consumo di frutta e verdura, mentre nella popolazione adolescente europea tale porzione è limitata al 17%. Sempre in Europa il consumo di zuccheri è del 15% superiore ai livelli raccomandati (47%); il consumo di carne li eccede del 36% (38% le carni rosse, 51% gli insaccati). Il riassortimento della dieta ridurrebbe del 15% le morti legate al disordine alimentare; ma un’ampia porzione della popolazione non appare in grado di organizzare la propria alimentazione quotidiana per raggiungere le soglie raccomandate. E merita ricordare che una non trascurabile fascia della popolazione mondiale nutre un atteggiamento di diffidenza verso i farmaci, paventandone l’assuefazione e gli effetti collaterali. Tale tendenza è potenziata dalle crescenti evidenze di resistenza microbica ai farmaci, che si sviluppa quando microrganismi come batteri, virus, funghi e parassiti mutano in modo da rendere inefficaci i presidi farmacologici utilizzati per il loro contrasto. Si tratta di un fenomeno naturale che viene accelerato da comportamenti impropri, quali l’abuso di antibiotici, la loro dispersione accidentale nell'ambiente con reingresso nella catena alimentare o, ancora, lo smaltimento non controllato di quelli non utilizzati o scaduti. Il fenomeno della resistenza antimicrobica può contribuire a spingere i consumatori verso la nutraceutica, in particolare quella cui sono associati effetti di potenziamento delle risposte del sistema immunitario. L’emergenza pandemica ha agito da ulteriore acceleratore: l'epidemia ha provocato in particolare un'impennata nella domanda di alimenti e integratori con funzione di supporto del sistema immunitario. Gli integratori a base di vitamina C sono stati particolarmente ricercati. Sebbene nessuna vitamina o cibo, in qualunque quantità, sia in grado di impedire il contagio da Covid-19 una volta che una persona è stata esposta al virus, è pur vero che le persone che soffrono di carenze nutrizionali hanno maggiori probabilità di soffrire delle complicazioni indotte da qualsiasi infezione o malattia e la cattiva alimentazione rientra tra i tanti fattori che potrebbero contribuire a una debole risposta immunitaria. L’Italia ha una posizione di particolare rilievo con riferimento al mercato degli integratori la cui dimensione è pari a circa 3,8 miliardi di euro nel 2020. Si tratta del primo mercato europeo, stimato valere 14,6 miliardi, con una quota del 26%, davanti alla Germania (18,8%), alla Francia (14,7%), al Regno Unito (9,5%) e alla Spagna (7,2%). Le aspettative di crescita del mercato europeo sono nell’ordine del 6% annuo, con l’Italia che dovrebbe toccare nel 2025 una dimensione pari a 4,8 miliardi. Tra il 2008 e il 2020 il mercato italiano degli integratori è triplicato, con una crescita media annua superiore al 9%. La forte propensione dei consumatori italiani per gli integratori è evidente considerando che la loro spesa media procapite è di circa 64 euro rispetto ai 33 della Germania, ai 32 della Francia e ai 21 del Regno Unito. Si stima che in Italia il 54% della popolazione faccia ricorso agli integratori, rispetto a quote che si collocano tra il 20% e il 25% in Germania, Francia e Regno Unito. Da tenere presente che in Italia gli integratori sono venduti essenzialmente attraverso il canale delle farmacie e parafarmacie (87% a valore).

martedì 15 marzo 2022

Innovazione torinese per riparare tendini e legamenti

Un nuovo programma di crescita e sviluppo attende il progetto T-REM3DIE (Tendon REpair MEdical DevIcE) sviluppato da un team di ricerca del dipartimento di Ingegneria Strutturale Edile e Geotecnica- DISEG del Politecnico di Torino. Il gruppo di ricerca - già vincitore di premi nelle competizioni per l’imprenditorialità Start-Cup Piemonte & Valle d’Aosta 2019 e Gaetano Marzotto 2020 - inizia ora un percorso di 18 mesi con il finanziamento e il supporto di Eureka! Venture sgr, attraverso il fondo Eureka! I Technology Transfer nato per promuovere il trasferimento tecnologico di soluzioni sviluppate all’interno di Uuniversità ed enti di ricerca italiani, in particolare nel settore della scienza e dell’ingegneria dei materiali. Il progetto T-REM3DIE – nato nei laboratori del DISEG in collaborazione con l’Asl TO4 e l’Università di Trento - si occupa dello sviluppo di un sistema innovativo per la riparazione dei tendini e dei legamenti. Basato su un dispositivo riassorbibile e un applicatore dedicato, il materiale del dispositivo - biocompatibile e bioassorbibile - garantisce sia la necessaria resistenza nella fase di rigenerazione dei tessuti, sia la successiva degradazione del materiale con tempistiche prevedibili, in linea con il processo riabilitativo. Il risparmio sui costi per il sistema sanitario e l'accelerazione della guarigione per i pazienti sono i principali vantaggi del progetto, che punta a inserirsi sul mercato sia nel settore veterinario, che in quello della medicina umana. “Il progetto è volto alla realizzazione di un dispositivo impiantabile per la riparazione di tendini e legamenti, con una geometria innovativa e un materiale medical-grade, biocompatibile e bioriassorbibile - spiega la professoressa Cecilia Surace, docente di Scienza delle bio e nano costruzioni, nonché iniziatrice e guida del progetto - Nasce dal clinical need evidenziatoci dalla dottoressa Federica Bergamin, chirurgo ortopedico dell’Asl TO4 con la quale collaboriamo da parecchi anni, e da altri esperti del settore. Abbiamo svolto molti sondaggi anonimi e interviste one-to-one per capire le effettive esigenze dei professionisti e come soddisfarle”.
Non solo progresso tecnologico quindi, ma anche formazione imprenditoriale e gestionale per i giovani membri del team di ricerca. “Abbiamo dovuto curare dettagliatamente il nostro business plan, che adesso svilupperemo ulteriormente - racconta l’ingegnere Mariana Rodriguez Reinoso, giovane ricercatrice al suo secondo anno di dottorato, incentrato proprio sullo sviluppo del dispositivo in questione, e futuro componente della start-up - Non solo, ci siamo informati presso i rivenditori e gli esperti del settore commerciale, sia per l’ambito medicale che veterinario”. “La cross-contaminazione fra ricerca e conoscenza imprenditoriale ci ha permesso in effetti di ampliare la nostra visione di impresa permettendoci di esplorare ulteriori applicazioni del dispositivo, in particolare nell’ambito veterinario”, afferma l’ingegnere Vito Burgio, attualmente borsista di ricerca e futuro membro della start-up. “È vero, la parte tecnica non può prescindere dalla solidità finanziaria del progetto - aggiunge l’ingegnere Marco Civera, anch’egli futuro componente della start-up, che ha recentemente conseguito un dottorato in Ingegneria Aerospaziale – A oggi, abbiamo già potuto contare sui bandi Proof of Concept 2019 del Politecnico di Torino, PoC Instrument 2020 della Fondazione Compagnia di San Paolo e PoC-Off 2021, finanziato dal ministero dello Sviluppo Economico. Purtroppo la ricerca per dispositivi biomedici richiede tempo e risorse, non è paragonabile allo sviluppo di una app o un software. Ma i risultati si vedono”. La strategia brevettuale relativa al progetto, frutto della collaborazione tra il team, l’Area Trasferimento Tecnologico e Relazioni con l’Industria (Area TRIN) dell’Ateneo e I3P (l’incubatore del Politecnico), è incentrata nel proteggere la tecnologia nei diversi ambiti applicativi (medicale e veterinario), ampliando in questo modo il portfolio brevettuale sulla quale si baserà la futura start-up. Il programma di sviluppo con il Fondo Eureka! prevede ora 18 mesi di test e sviluppo delle tecnologie T-REM3DIE per preparare le sperimentazioni cliniche, per poi creare una start-up. Il finanziamento da parte del fondo prevede un importo pari a 250.000 euro. “L’investimento di Eureka aggiunge un nuovo capitolo nella storia di questo progetto nato nei nostri laboratori e sviluppatosi lungo l’intera filiera del trasferimento tecnologico che il Politecnico nel tempo ha costruito, passando dalla protezione della Proprietà Intellettuale, attraverso i finanziamenti  di Proof of Concept interni - ideati e strutturati per permettere la realizzazione di prototipi e la validazione delle tecnologie rispetto ai bisogni del marcato - per approdare infine al POC di Eureka che costituisce il trampolino per il successivo sviluppo imprenditoriale del progetto” commenta Giuliana Mattiazzo, vice rettrice per il Trasferimento Tecnologico del Politecnico di Torino.

Consumo alcolico in Italia, boom di donne e minorenni

In Italia, sono 8,7 milioni i consumatori a rischio, oltre 64.500 le persone alcoldipendenti prese in carico dai servizi alcologici e circa 3.700 gli incidenti stradali con almeno uno dei conducenti dei veicoli coinvolti in stato di ebbrezza (su un totale di 40.310 incidenti con lesioni rilevati da Polizia e Carabinieri). Questi alcuni dati contenuti nella relazione al Parlamento sugli interventi realizzati nel 2021 in materia di alcol e problemi correlati, trasmessa dal ministro della Salute, Roberto Speranza e presentata nel corso della Conferenza Nazionale Alcol 2022. Il consumo di alcol rappresenta un importante problema di salute pubblica, in quanto responsabile in Europa di circa il 4% di tutte le morti e di circa il 5% degli anni di vita persi per disabilità. In particolare, nel nostro Paese, si conferma la tendenza di un aumento del consumo di alcol occasionale e del consumo fuori pasto e, fra l'altro, negli ultimi dieci anni si osserva un progressivo incremento della quota di donne consumatrici, che passano dal 38,8% al 45,3% per il consumo occasionale e quasi duplicano per il consumo fuori dai pasti, passando dal 14,2% al 22,4%. La prevalenza dei consumatori a rischio mostra che nel 2020, il 22,9% degli uomini e il 9,4% delle donne di età superiore a 11 anni, per un totale di quasi 8,6 milioni di individui non si sono attenuti alle indicazioni di salute pubblica relativamente alle modalità di consumo di bevande alcoliche. Le fasce di popolazione più a rischio per entrambi i generi sono quella dei 16-17enni, che non dovrebbero consumare bevande alcoliche e quella degli over 65 anni. Infatto, circa 800.000 minorenni e 2,5 milioni di ultra-sessantacinquenni sono consumatori a rischio per patologie e problematiche alcol-correlate. La prevalenza di consumatori a rischio di sesso maschile è superiore a quelle delle donne per tutte le classi di età a eccezione dei minorenni. La differenza di genere aumenta all’aumentare dell’età. Tra i comportamenti a rischio nel consumo di bevande alcoliche il fenomeno del binge drinking (assunzione di numerose unità alcoliche al di fuori dei pasti e in un breve arco di tempo) rappresenta tra i giovani l’abitudine più diffusa e consolidata, raggiungendo i valori massimi tra i 18-24enni. Nel 2020 ha riguardato il 18,4% dei giovani tra i 18 ed i 24 anni di età, di questi il 22,1% maschi e il 14,3% femmine. La percentuale di binge drinker di sesso maschile è statisticamente superiore al sesso femminile in ogni classe di età a eccezione dei minorenni, ossia quella fascia di popolazione per la quale la percentuale dovrebbe essere zero a causa del divieto per legge della vendita e somministrazione di bevande alcoliche. L’analisi del trend dei consumatori binge drinker di età superiore a 11 anni mostra una prevalenza aumentata in maniera pressoché costante tra il 2014 e il 2020, con un incremento nell’ultimo anno pari al 7,3% (maschi+femmine), più marcato per il genere femminile. Si conferma anche la tendenza già registrata negli ultimi 10 anni, che vede una progressiva riduzione della quota di consumatori che bevono o solo vino o solo birra, soprattutto fra i più giovani e le donne, mentre aumenta la quota di chi consuma, oltre a vino e birra, anche aperitivi, amari e superalcolici, specialmente tra le donne di 45 anni e più. Il consumo di alcol nell’anno è più forte nel Centro-Nord, soprattutto nel Nord-Est (70,1%) e tra i maschi. Anche la quota più elevata di consumatori giornalieri si concentra nel Centro-Nord (circa il 22%). Tra le persone di 25 anni e più, la quota di consumatori di bevande alcoliche aumenta al crescere del titolo di studio conseguito. Ciò avviene soprattutto per le donne: tra quelle con licenza elementare consuma alcol almeno una volta all’anno il 41,6%, quota che sale al 74,3% fra le laureate. Nel 2020 sono stati presi in carico dai servizi o gruppi di lavoro rilevati (487 in ottale) 64.527 persone. Il 22,9% è rappresentato da utenti nuovi; la quota restante da soggetti già in carico dagli anni precedenti o rientrati nel corso dell’anno, dopo aver sospeso un trattamento precedente. Il rapporto maschi/femmine è pari a 3,2 per il totale degli utenti. A livello regionale questa maggiore presenza maschile risulta più evidente al Centro-Sud sia per il totale degli utenti sia distinguendo gli utenti per tipologia (nuovi e già in carico o rientrati). Il 74,3% degli utenti ha un’età compresa tra i 30 e i 59 anni, mentre i giovani al di sotto dei 30 anni rappresentano il 7,1% dei soggetti trattati; non trascurabile è la quota degli individui di 60 anni e oltre pari al 18,7%.

Importante scoperta grazie al microscopio genovese Tem

Pubblicati sulla prestigiosa rivista internazionale “Virchow Archiv” i risultati emersi dallo studio sui polmoni dei pazienti Covid gravi fotografati con il nuovo microscopio elettronico a trasmissione, in dotazione all'Università di Genova. Lo studio avvalora l’ipotesi che sia la risposta infiammatoria e immunitaria alterata dei pazienti contro il virus o sue parti a scatenare una reazione a catena che danneggia i polmoni e si riflette anche su altri organi. Il microscopio elettronico a trasmissione (Tem) ha permesso di valutare i danni gravi provocati dal virus Sars-CoV-2 nei polmoni, con dettagli visibili solo con tale strumentazione e con nessun altro dispositivo microscopico. Il Tem, infatti, è in grado di visualizzare la struttura fine all’interno delle singole cellule, chiamata ultrastruttura, e ha permesso di capire meglio le gravi complicanze dovute a Covid-19. La ricerca è stata svolta dal team del Laboratorio di Imaging e Microscopia elettronica cellulare dell’Università di Genova (Prof.ssa Katia Cortese e collaboratori), in collaborazione con il Laboratorio nazionale di Microscopia elettronica avanzata per lo studio dei patogeni infettivi dell’Istituto Robert Koch di Berlino, con il prezioso contributo delle equipe di Pneumologia Interventistica (Dott.ssa Emanuela Barisione e collaboratori), Terapia Intensiva (Prof. Paolo Pelosi e collaboratori) e Anatomia Patologica (Prof. Roberto Fiocca e collaboratori) del Policlinico Universitario San Martino di Genova. Dal punto di vista del metodo di indagine, l’approccio utilizzato dai due team di esperti microscopisti è stato di tipo sistematico, mediante sezionamento multilivello dell’organo, fino a ottenere mappe ultrastrutturali in larga scala e ad alta risoluzione che possono essere manipolate e ingrandite fino a scala sub-cellulare. Il dettaglio raggiunto è stato reso possibile anche dalla tecnica innovativa utilizzata per il prelievo dell’organo. Questa tecnica è chiamata criobiopsia ed è stata eseguita dal team specialistico di pneumologia, terapia intensiva ed anatomia patologica del Policlinico San Martino di Genova sui primi pazienti Covid-19 nel marzo 2020, durante il primo lockdown. I pazienti erano ancora ventilati al momento del prelievo, permettendo quindi di ottenere reperti di altissima qualità morfologica e senza artefatti. Dal punto di vista fisiopatologico, è ormai noto che i pazienti molto gravi che soccombono alla malattia sviluppano disfunzioni gravi a molti organi e questo fenomeno sembra essere fortemente correlato a una risposta immunitaria alterata scatenata dall’infezione. L’aumento incontrollato di particolari cellule del sistema immunitario (monociti e linfociti T killer) potrebbe quindi essere la causa dell’eccessiva risposta infiammatoria a livello polmonare. Ovvero quella “tempesta citochinica” che, anziché proteggere dal virus, attacca tutti gli organi del paziente.  
La precisa analisi effettuata al microscopio elettronico ha permesso di cercare e fotografare sia il virus che le lesioni polmonari presenti nei pazienti più gravi. Queste comprendono il danno alveolare diffuso, la proliferazione di un particolare tipo di cellula presente solo nell’alveolo polmonare chiamata pneumocito di tipo 2, la marcata presenza di fibrosi e di anomalie sub-cellulari, visibili soltanto con l’utilizzo del Tem, nelle cellule dei capillari sanguigni e degli pneumociti tipo 2. In particolare, le cellule menzionate presentano marcata vacuolizzazione, mitocondri e reticolo endoplasmatico drammaticamente alterati. Infine è stata rilevata la presenza di infiltrazione di numerose cellule del sistema immunitario. Nonostante le indagini molecolari avessero rilevato un alto carico di RNA virale nei polmoni di questi pazienti, sorprendentemente la presenza del virus integro SARS-COV-2, visibile per le sue piccole dimensioni (circa 100 nm) con il microscopio elettronico, è stata identificata solo in pochissime cellule. Questo risultato avvalora l’ipotesi che la reazione sviluppata dei pazienti più gravi sia dovuta alla risposta immunitaria alterata del nostro organismo, con danni che si riverberano anche ad altri organi.

La tempistica più corretta per la terapia di supporto Ecmo

Sono stati appena pubblicati sulla rivista scientifica internazionale Critical Care i risultati di uno studio multicentrico nazionale, che ha confrontato la sopravvivenza dei pazienti trattati con supporto respiratorio extracorporeo (Ecmo) per insufficienza respiratoria causata da polmonite Covid-19 con quella osservata in un precedente gruppo di pazienti sottoposto ad analogo supporto a causa di influenza A H1N1. Lo studio, che è stato coordinato dal professor Vito Fanelli, afferente al gruppo di ricerca della Terapia Intensiva universitaria dell'ospedale Molinette della Città della Salute di Torino (nella foto l'ingresso), diretta dal professor Luca Brazzi, ha visto la partecipazione di sette terapie intensive italiane e ha portato all’arruolamento di oltre 300 pazienti caratterizzati da una compromissione della funzione respiratoria tanto grave da rendere necessario il ricorso alla tecnica Ecmo per garantire livelli di ossigenazione necessari alla sopravvivenza. Questo perché, purtroppo, le attuali terapie non sono sufficienti in alcuni pazienti a supportare la funzione respiratoria, a causa del grave danno polmonare indotto dai virus. I ricercatori si sono concentrati sul capire se esistesse un diverso rischio di morte dei malati con polmonite da Covid o da Influenza A H1N1 e se questo fosse dovuto a una diversa azione lesiva dei due virus sul polmone o se invece intervenissero altri fattori, legati alla storia clinica dei pazienti. È stato osservato che la mortalità dei pazienti in cui l’insufficienza respiratoria è causata da Covid-19 è maggiore del 20% rispetto a quella osservata nel gruppo di pazienti in cui l’insufficienza respiratoria è stata indotta da influenza A H1N1 (mortalità a 60 giorni Covid-19 46% e H1N1 27%). Tra le ragioni alla base di tale differenza ci sono l’età più avanzata e il maggior numero di giorni trascorsi in ospedale prima dell’inizio dell’Ecmo, osservata nel gruppo di pazienti affetti da polmonite Covid-19. L’importanza di questi risultati, relativi alla prima ondata della pandemia Covid-19, ha permesso ai medici di capire quale sia la tempistica più corretta nell’offrire la terapia di supporto extracorporeo Ecmo e quali siano i malati che possano più beneficiarne. Infatti, il rischio di morte si riduce per pazienti di età inferiore ai 65-70 anni e con degenza in terapia intensiva prima dell’inizio dell’Ecmo inferiore a 7-10 giorni. La ricerca ha permesso di confermare non solo l’importanza di un team interdisciplinare di centri ad alta specializzazione, costituito da anestesisti rianimatori, cardiochirurghi, perfusionisti, infermieri e volontari del soccorso per garantire l’applicazione di una tecnica che si dimostra sempre più efficace nel trattamento dei quadri più severi di insufficienza respiratoria, ma anche e, soprattutto, l’importanza di una identificazione precoce dei pazienti, che potrebbero beneficiare di tale tecnica di supporto al fine di limitare i danni che il prolungato ricorso a tecniche di ventilazione meccanica artificiale possano indurre. Un’ennesima dimostrazione di quanto la ricerca clinica svolta negli ospedali universitari pubblici sia efficace nel produrre evidenze con importanti ricadute in termini di avanzamento tecnologico dei trattamenti e contenimento dei costi in ambito sanitario.

Regione Piemonte, il piano che taglia le liste d'attesa

Recupero (entro giugno) del 30% delle liste d’attesa sulle prestazioni ambulatoriali di primo accesso, presa in carico attiva di tutte le prescrizioni di primo accesso previste dal piano nazionale entro settembre e, a dicembre, recupero di tutte le visite, prestazioni e interventi rispetto al 2019 e al periodo pre-Covid. Sono gli obiettivi del Piano straordinario per il recupero delle liste d’attesa in Piemonte presentato dal presidente della Regione, Alberto Cirio (nella foto) e dall'assessore alla Sanità, Luigi Genesio Icardi, insieme al direttore dell’Assessorato regionale alla Sanità, Mario Minola e il consulente strategico Pietro Presti. Per mettere in atto il cronoprogramma verranno investiti 50 milioni di euro e si procederà con un monitoraggio settimanale degli obiettivi assegnati alle Aziende sanitarie locali, attraverso il metodo del “cruscotto” già sperimentato con efficacia per la campagna vaccinale contro il Covid, che vede ancora oggi il Piemonte in testa alle Regioni italiane per terze dosi già somministrate ai propri cittadini. “Quello delle liste d'attesa non è un tema che nasce oggi, si trascina da quasi dieci anni - sottolinea Alberto Cirio - ma è fondamentale risolverlo ed è ciò che ci impegniamo a fare, consapevoli anche delle conseguenze provocate da due anni di pandemia. Lo faremo con un approccio innovativo che si basa sull'esperienza della nostra campagna vaccinale, attraverso il potenziamento dell'offerta pubblica e la collaborazione con il privato. Il tutto all'insegna della trasparenza e della condivisione dell'obiettivo fondamentale che è quello di garantire cure tempestive ed efficaci ai piemontesi, valorizzando i professionisti che lavorano nella nostra sanità”. A sua volta, Luigi Genisio Icardi dice: “Sul recupero delle liste di attesa delle prestazioni di specialistica ambulatoriale, ricovero e screening oncologici, stiamo agendo con metodo e concretezza. Abbiamo un piano operativo messo a punto da una commissione di specialisti costituita ad hoc, con un impegno aggiuntivo di spesa di 50 milioni di euro. I dati dimostrano che nei soli quattro mesi del 2021 “liberi” dal Covid, la Sanità regionale ha saputo tornare ai livelli degli screening oncologici pre-pandemia, così come è riuscita a contenere la forbice degli interventi programmati a meno del 20% di quelli eseguiti nel 2019. Uno sforzo enorme, che dimostra la capacità di lavoro di tutto il personale sanitario regionale, trovatosi a passare dall’emergenza della pandemia a quella delle liste d’attesa, senza soluzione di continuità”. Rispetto ai ricoveri programmati, il 2021 ha visto già un recupero del 13% sul 2020. L’obiettivo della Regione per il 2022 è di tornare ai numeri del 2019 e superarli. Lo stesso per quanto riguarda le visite e le prestazioni ambulatoriali, già recuperate del 10% rispetto al 2020,e gli screening oncologici dove il recupero è stato del 45% sul 2020 tornando quasi al livello pre-covid. In particolare gli screening per il tumore al seno nel 2021, nonostante la pandemia, hanno perfino superato del 5,2% quelli eseguiti nel 2019, prima dell’inizio dell’emergenza sanitaria. Il Piano per il recupero delle liste d’attesa messo in campo dalla Giunta regionale prevede numerose azioni, tra le quali l’efficientamento delle agende con una maggiore integrazione, anche informatica, tra quelle pubbliche e private, l’ottimizzazione del Cup e della presa in carico delle prescrizioni. In particolare, entro settembre, l’obiettivo è fare in modo che chiunque chiami per prenotare venga preso in carico dal sistema, anche in assenza di una disponibilità immediata. Sarà il sistema stesso a ricontattare il cittadino a breve, ad esempio attraverso un sms, inviando data e luogo dell’appuntamento ed evitando che si debba telefonare più volte per ottenere la prenotazione. Si inizierà da alcune delle prestazioni di primo accesso previste come prioritarie dal Piano nazionale di recupero delle liste d’attesa. “Di fatto è una vera e propria rivoluzione nella gestione della nostra sanità - concludono il presidente Cirio e l’assessore Icardi - Non può più accadere che il cittadino chiami il Sovracup regionale, non abbia un appuntamento e sia costretto a richiamare. Da settembre, l'impegno è di definire una data, utilizzando lo stesso metodo dei vaccini che si è rivelato efficiente. Per evitare che le disdette creino problemi al sistema, introdurremo il meccanismo della "panchina" già utilizzato nella campagna vaccinale, che consente di ottimizzare le risorse.Chi ha il diritto alla salute deve averlo anche in fretta”.

domenica 13 marzo 2022

Al Monzino di Milano si sperimenta il vaccino anti-infarto

Il Centro Cardiologico Monzino di Milano ha arruolato i primi tre pazienti che riceveranno Inclisiran, il farmaco che Eugene Brauwnwal, padre della cardiologia moderna, non ha esitato a definire il futuro “vaccino anti-infarto”. Lo studio coinvolgerà oltre 10mila pazienti nel mondo, con l’obiettivo di dimostrare che il nuovo farmaco di Novartis - che, come un vaccino, viene somministrato solo due volte l’anno - è in grado di ridurre il rischio eventi cardiovascolari gravi, come infarto e ictus, dimezzando i livelli di colesterolo “cattivo” LDL-C. “È noto come l’LDL-C giochi un ruolo chiave nello sviluppo e la progressione delle malattie cardiovascolari e aterosclerotiche ed è dimostrato che, abbassandone i livelli nel sangue, si ottiene una riduzione della loro incidenza e della mortalità. Un effetto che - spiega Piergiuseppe Agostoni (in foto)direttore del Dipartimento di Cardiologia Critica e Riabilitativa Monzino, oltre che professore ordinario di malattie cardiovascolari all’Università di Milano - è ancora più importante nei soggetti più a rischio, come chi ha già sperimentato nella sua storia un evento cardiovascolare (infarto e ictus). Sono proprio questi i pazienti su cui si focalizza questo studio. A oggi infatti, pur avendo a disposizione un’ampia gamma di farmaci anticolesterolo, tra cui le note statine, i target di LDL-C desiderabili per ridurre il rischio di recidive sono spesso difficili da ottenere”. Agostoni aggiunge: “Inclirisan è il primo farmaco di una nuova classe che, in studi clinici precedenti, ha già dimostrato di poter abbassare del 50% i livelli di LDL-C sia in pazienti con malattia cerebrovascolare (Cevd) che in pazienti con malattia polivascolare (Pvd). In questi soggetti, anche la terapia con statine, pur alla massima dose tollerata, non aveva ottenuto del tutto l’obiettivo. Inclirisan è stato definito come una delle innovazioni più importanti in ambito di prevenzione cardiovascolare nel nuovo millennio ed è capostipite di una nuova classe di farmaci anticolesterolo, che agiscono con un meccanismo di “silenziamento genico”. Si tratta di molecole che interferiscono in modo mirato su specifici target disattivandoli e dunque, per così dire, mettendoli a tacere”. “Inclirisan è ancora più interessante perché silenziando una sequenza di RNA messaggero (mRNA) a livello dell'epatocita (cellula del fegato), attraverso una serie di meccanismi a cascata, produce una riduzione molto importante dei valori di colesterolo. Da qui il parallelismo con i vaccini anti Sars-CoV-2 che, seppure con meccanismo molto diverso, sfruttano mRNA, una sorta di dizionario in grado di tradurre in pratica quanto scritto nel nostro materiale genetico” aggiunge Massimo Mapelli, membro dello staff dello studio al Monzino, insieme a Elisabetta Salvioni, Fabiana De Martino e Irene Mattavelli. Inclirisan è un farmaco di precisione: viene iniettato sottocute, come avviene ad esempio per l'eparina e va direttamente a un bersaglio specifico senza altri target in diversi punti dell'organismo. Per questo è ben tollerato e provoca effetti collaterali meno gravi rispetto alle statine ad alte dosi. La bassa tossicità è un aspetto fondamentale perché i pazienti candidabili allo studio sono quelli in "prevenzione secondaria", ovvero persone che in passato hanno già avuto un evento cardio-cerebro-vascolare. Per esempio, la paziente reclutata per prima al Monzino ha avuto un grave infarto due mesi fa e continua, nonostante una scrupolosa assunzione della terapia, ad avere valori di colesterolo troppo alti rispetto al valore soglia. Molti studi dimostrano come nel post-infarto fino al 40% delle prescrizioni farmacologiche vengano disattese per vari motivi nell’arco dei dodici mesi successivi all’evento, annullandone il beneficio. Un farmaco che si somministra solo due volte l’anno, magari durante una visita ambulatoriale già programmata, permette di superare anche questo problema. Al momento in Italia, oltre al Monzino, sono attivi o in corso di attivazione altri cinque centri, ma il numero è in continua evoluzione. I centri totali che vorrebbero aprire il reclutamento a livello mondiale sono 806, di cui 20 Italiani, con un obiettivo di reclutamento nel nostro Paese di 200 soggetti. Negli ultimi decenni è stato assodato il concetto che più il colesterolo è basso, maggiore è la riduzione del rischio di eventi. È importante notare che non è fondamentale il valore puntuale in un “momento x” della vita del paziente, ma i valori di colesterolo LDL "spalmati" su molti anni. Anche per questo noi al Monzino credono moltissimo in questo farmaco d’avanguardia, che va a modificare i meccanismi molecolari alla base della iperproduzione di colesterolo a bassa densità.

Gli Ordini: come prevenire la violenza nella sanità

“Se mi fai male chi ti curerà?” E' il titolo del documento, a cura del Gruppo di lavoro di diversi Ordini professionali piemontesi (medici e odontoiatri, assistenti sociali, farmacisti, ostetrici, infermieri, psicologi), presentato in occasione della Giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari e socio-sanitari. Ecco il documento.
La violenza nei confronti degli operatori sanitari è un fenomeno di rilevanza mondiale per dimensioni e gravità, che potrebbe anche crescere ed essere alimentato dalla pressione data dall’emergenza pandemica e dal conseguente rallentamento delle attività sanitarie di routine. Alla parola "violenza" si tende ad associare una connotazione fisica, ma quella psicologica, verbale e comportamentale decisamente è più subdola e ugualmente devastante. Numerosi sono i fattori responsabili di atti di violenza diretti contro i professionisti delle cure, nelle strutture sanitarie come sul territorio. Sebbene qualunque operatore sanitario possa essere vittima di violenza, alcuni sono a rischio più alto in quanto per il loro lavoro si trovano a contatto diretto e spesso prolungato con il paziente, magari da soli, e devono gestire rapporti caratterizzati da una condizione di forte emotività e a volte di perdita di controllo sia da parte del paziente stesso che dei familiari, i quali si trovano spesso in uno stato di vulnerabilità, frustrazione, paura e rabbia, specialmente se sotto l’effetto di sostanze o di qualche disturbo di personalità. I fattori di rischio variano da struttura a struttura, dipendendo dalla tipologia dell’utenza, dai servizi erogati, dalla loro ubicazione e dimensione, dall’adeguatezza degli spazi e dalla durata dell’attesa della prestazione, dalle diverse culture organizzative e dalle dinamiche emotivorelazionali coinvolte nel processo di cura. Tra i contesti più esposti, anche al di là delle criticità legate alla pandemia da Covid-19, figurano i servizi d’emergenza-urgenza, quelli della salute mentale e delle dipendenze patologiche, le terapie intensive, ma anche la medicina e la pediatria del territorio e le strutture residenziali per anziani e disabili. Gli episodi di violenza contro operatori sanitari devono essere considerati eventi sentinella, in quanto segnali della presenza nell’ambiente di lavoro di situazioni di rischio o di vulnerabilità che richiedono l’adozione di opportune misure di prevenzione e protezione dei lavoratori e delle lavoratrici. La prevenzione degli episodi di violenza a danno degli operatori sanitari richiede che l’organizzazione identifichi i fattori di rischio per la sicurezza del personale e ponga in essere le strategie organizzative, strutturali e tecnologiche più opportune, diffonda una politica di tolleranza zero verso atti di violenza nei servizi sanitari, incoraggi il personale a segnalare prontamente gli episodi subiti e a suggerire le misure per ridurre o eliminare i rischi e faciliti il coordinamento con le Forze dell’ordine o altri soggetti che possano fornire un valido supporto per identificare le strategie atte a eliminare o ad attenuare la violenza nei servizi sanitari. Ma solo l’impegno comune di tutti (direzioni aziendali, professionisti e loro rappresentanti, organizzazioni sindacali, rappresentanti dei cittadini, organi di informazione) può migliorare l’approccio al problema e assicurare un ambiente di lavoro sicuro. È importante che si preveda, accanto a pene adeguate per le aggressioni, anche una formazione degli operatori, obbligatoria e mirata, sulle misure di auto-protezione, sugli aspetti della comunicazione (con particolare riguardo alle tecniche di de-escalation) e della relazione terapeutica nei confronti delle persone assistite. Un’azione preventiva molto opportuna da parte del “datore di lavoro” sarebbe quella di predisporre del materiale informativo (cartelli, opuscoli) al fine di mitigare la tensione con l’utenza, a cui si potrebbe spiegare che molti dei disagi ai quali vanno incontro non sono imputabili agli operatori ma derivano da criticità organizzative sulle quali per lo più gli operatori non hanno il potere di decidere, come lunghe liste di attesa, visite brevi, luoghi affollati e poco accoglienti, carenza di informazioni. Fondamentale è anche una più adeguata cultura del rischio, che contrasti il pregiudizio e la rassegnazione diffusi tra gli operatori – soprattutto in contesti come l’emergenza o la salute mentale – secondo cui le aggressioni farebbero parte del loro lavoro, atteggiamento che alimenta il fenomeno delle omesse segnalazioni degli episodi di violenza, attivando un meccanismo di assuefazione tale per cui chi entra in servizio sa già che riceverà un’aggressione, verbale, psicologica o fisica che sia. Al di là delle necessarie misure preventive di natura sociale, organizzativa e legate all’ambiente fisico di lavoro che occorre adottare all’interno di un contesto aziendale, anche in ottemperanza alle leggi e alle normative vigenti, ogni programma di prevenzione dovrebbe assicurare un opportuno trattamento e sostegno agli operatori vittime di violenza verbale, fisica o emotivorelazionale e a quelli che possono essere rimasti traumatizzati per aver assistito a un episodio di violenza. Il personale coinvolto dovrebbe poter ricevere un primo trattamento, che includa una valutazione e un supporto di tipo psicologico, a prescindere dalla severità del caso. Le vittime della violenza sul luogo di lavoro possono presentare, oltre a lesioni fisiche, una varietà di situazioni cliniche, tra cui traumi psicologici di breve o lunga durata, timore di rientrare al lavoro, cambiamento nei rapporti con colleghi e familiari, fino al “disimpegno morale” e ai possibili “comportamenti controproduttivi”: distacco, disimpegno, anche azioni che possono produrre errori clinici, danni con ricadute di immagine ed economiche per gli operatori e per le Aziende sanitarie, che altro non sono se non forme disfuzionali di autodifesa dal sentimento di non essere riconosciuti e protetti da parte dell’organizzazione. Pertanto, è necessario assicurare un trattamento appropriato per aiutare le vittime a superare il trauma subito e prevenire lo sviluppo di uno stress post-traumatico. La tutela degli operatori sanitari dagli atti di violenza e dai loro esiti è un modo per difendere non solo i diritti dei lavoratori, ma anche quelli degli utenti, perché nelle “relazioni di cura” si dà quello che si ha: se sono ansioso dispenso ansia, se sono preoccupato diffondo preoccupazione, se provo rabbia parlo in modo rabbioso e così via, con una progressione in stile "domino" dove l’ultimo elemento a cadere è l’alleanza di lavoro, senza la quale la cura non funziona più.

venerdì 11 marzo 2022

Personale sanitario, ogni anno 2.500 aggressioni

In Italia, nel quinquennio 2016-2020, sono stati più di 12mila i casi di infortunio in occasione di lavoro accertati positivamente dall’Inail e codificati come violenze, aggressioni, minacce e similari perpetrate nei confronti del personale sanitario, con una media di circa 2.500 l’anno. A rilevarlo è la Consulenza statistico attuariale dell’Istituto in occasione della prima Giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari e socio-sanitari, che dal 2022 viene celebrata annualmente il 12 marzo. Il 46% di tali infortuni è concentrato nel settore “assistenza sanitaria”, che include ospedali, case di cura, istituti, cliniche e policlinici universitari; il 28% è stato riscontrato nei “servizi di assistenza sociale residenziale” (case di riposo, strutture di assistenza infermieristica, centri di accoglienza), mentre il restante 26% ricade nel comparto “assistenza sociale non residenziale”. Riguardo al genere, gli infortunati sono per quasi tre quarti donne, con il 64% accertato in ospedali e case di cura e l’80% nelle strutture di assistenza sociale, residenziale e non. La professionalità più colpita è quella dei “tecnici della salute”, in cui è concentrato più di un terzo del totale dei casi. Si tratta prevalentemente di infermieri, ma anche di educatori professionali, normalmente impegnati in servizi educativi e riabilitativi con minori, tossicodipendenti, alcolisti, carcerati, disabili, pazienti psichiatrici e anziani all'interno di strutture sanitarie o socio-educative. A seguire, con il 25% dei casi, sono gli operatori socio-sanitari delle “professioni qualificate nei servizi sanitari e sociali” e con il 15% le “professioni qualificate nei servizi personali ed assimilati”, soprattutto operatori socio-assistenziali e assistenti-accompagnatori per persone con disabilità. Più distaccati, con il 5% dei casi di aggressione in sanità, la categoria dei “medici”, che non include nell’obbligo assicurativo Inail i sanitari generici di base e i liberi professionisti. Istituita dalla legge del 14 agosto 2020, la Giornata è stata indetta nel gennaio scorso da un decreto del ministero della Salute di concerto con i ministeri dell’Istruzione e dell’Università e Ricerca. Salutata con favore dalle rappresentanze professionali e dalle parti sociali, intende essere un’occasione per rimarcare l’importanza della diffusione di una sana cultura di educazione e rispetto nonché di condanna decisa a ogni forma di violenza verso gli operatori di questo comparto. Alle amministrazioni pubbliche, anche in coordinamento con enti e organismi interessati, viene affidata la promozione di idonee iniziative di comunicazione e sensibilizzazione in tema.

mercoledì 9 marzo 2022

A Unito laboratorio del benessere e della felicità

Il 16 marzo prenderà il via, all'interno del corso di Laurea magistrale in Psicologia del lavoro e delle organizzazioni del Dipartimento di Psicologia dell'Università di Torino, il laboratorio “Contesti e strumenti per il benessere e la felicità”, in collaborazione con il Movimento Mezzopieno. L’obiettivo è approfondire la conoscenza dei costrutti di benessere e di felicità, illustrare gli strumenti che possono promuoverli in diversi ambiti e allenare un pensiero critico riguardo le forme che la felicità e il benessere può assumere in diversi ambiti di vita. Il laboratorio offrirà un approccio esperienziale, analizzando vari contesti come l’educazione, la comunicazione, la comunità, le organizzazioni. Marta Casonato (nella foto), psicologa e responsabile dell'ufficio studi di Mezzopieno e Semi Onlus e titolare dell’insegnamento del Laboratorio “Contesti e strumenti per il benessere e la felicità”, spiega: “Promuoviamo un approccio costruttivo alla vita, ispirato al corso più frequentato di sempre all’Università di Yale - “Psychology of Good Life”- Si punta a far fiorire il benessere, è un mettersi in gioco e riflettere. La felicità è legata al momento, al sentirsi bene, ma è anche investire in ricerca di significato e in relazioni positive”. Il laboratorio all’Università di Torino nasce su iniziativa di Semi Onlus, tramite il Movimento Mezzopieno, la rete italiana della positività, che da tempo porta avanti attività tra la gente e con diversi enti della società civile, parallelamente a un percorso di ricerca e di confronto sul tema della promozione della felicità e del benessere, con un approccio interdisciplinare che coinvolge la psicologia, l’informazione, la pedagogia ma anche l’economia e la cooperazione internazionale. Dal 2021 è stata formalizzata una specifica Convenzione con il Dipartimento di Psicologia. L'attività di ricerca e di didattica sono gli strumenti attraverso cui il movimento Mezzopieno approfondisce la sua capacità di interpretare e analizzare la società e le sue evoluzioni. L'obiettivo dell'attività scientifica della comunità Mezzopieno è quello di sviluppare nuovi strumenti di conoscenza e supporti didattici a uso dell'attività del movimento, dei suoi membri e per la collettività. Le collaborazioni di Mezzopieno con le Università risalgono alla creazione della prima cattedra dedicata al filosofo Raimon Panikkar, padre del dialogo interculturale e interreligioso, sull’economia etica nell'ateneo torinese. “Parlare di felicità e di benessere è importantissimo - aggiunge Marta Casonato - Dobbiamo insegnare ai futuri professionisti della salute mentale che è indispensabile investire sul benessere e sulla felicità delle persone e non soltanto sulla cura del malessere. L’obiettivo del laboratorio è quello di trasmettere a studenti e studentesse l’importanza di focalizzarsi non solo sul risultato delle proprie azioni, del proprio lavoro, ma anche sullo stare meglio e far star meglio gli altri. Un insegnamento per rimettere al centro i bisogni più autentici, sia in ambito professionale che nella vita quotidiana”, Il benessere non è la mera assenza della malattia o del disagio e la felicità non è circoscritta al picco di endorfine, al successo momentaneo o alla gioia che si prova in seguito a un particolare evento. Entrambi i costrutti, pur differenziandosi, fanno riferimento a un più ampio equilibrio, un’armonia tra il proprio mondo interno e quello esterno. Anche i contesti in cui si vive sono importanti, dove per contesto intendiamo le dimensioni relazionali, gli aspetti sociali che sono più vicini a noi, dall'ambiente professionale alle circostanze più generali in cui tutti viviamo. Come esercitarsi con la felicità? Sono molte le pratiche semplici che si possono inserire nella quotidianità la cui efficacia è stata dimostrata con studi scientifici. Una scienza applicabile, quella della felicità, alla portata di tutti.

martedì 8 marzo 2022

In forte riduzione il consumo di antibiotici

Nel 2020 il consumo complessivo di antibiotici in Italia, pubblico e privato, è stato in forte riduzione rispetto al 2019 (-18,2%). Allora gli antibiotici hanno rappresentato, con 692,1 milioni di euro, il 3% della spesa e l’1,2% dei consumi totali a carico del Servizio sanitario nazionale (Ssn), che ha erogato quasi l’80% delle dosi totali, con una riduzione del 21,7% rispetto al 2019. Questo dato comprende sia gli antibiotici erogati in regime di assistenza convenzionata (dalle farmacie pubbliche e private) sia quelli acquistati dalle strutture sanitarie pubbliche. Complessivamente, i consumi italiani di antibiotici si mantengono superiori a quelli di molti Paesi europei. La spesa pro capite Ssn (11,6 euro) è in diminuzione rispetto all’anno precedente. Gli acquisti privati di antibiotici rimborsabili dal Ssn (classe A) sono stati pari a 3,9 dosi ogni 1.000 abitanti, che corrispondono al 24% del consumo territoriale totale di antibiotici e a una spesa pro capite di 2,05 euro. Circa il 90% del consumo di antibiotici a carico del Ssn viene erogato in regime di assistenza convenzionata, confermando che gran parte dell’utilizzo avviene a seguito della prescrizione del medico di Medicina Generale o del pediatra di Libera Scelta.
Le penicilline in associazione agli inibitori delle beta-lattamasi si confermano la classe a maggior consumo, seguita dai macrolidi e dai fluorochinoloni. Rispetto al 2016 si osserva complessivamente una riduzione del 27,4% dei consumi degli antibiotici sistemici e le categorie che hanno maggiormente contribuito a tale flessione sono state le associazioni di penicilline (compresi inibitori delle betalattamasi), i macrolidi e i fluorochinoloni. Va comunque ricordato che i consumi di fluorochinoloni erano in netto calo già nel 2019, a seguito delle restrizioni all’uso di questi antibiotici stabilite dall’Ema alla fine del 2018 e successivamente dall’Aifa. Nonostante le riduzioni registrate rispetto al 2019, si continua a osservare un’ampia variabilità regionale con il minore consumo nelle regioni del Nord rispetto a quelle del Centro e del Sud. Nonostante i diversi livelli di consumo, si rileva una riduzione superiore al 20% nel 2020 rispetto all’anno precedente, piuttosto omogenea nelle varie aree geografiche: Nord -25%, Centro -25,4%, Sud -21,3%. In particolare, le maggiori contrazioni dei consumi hanno riguardato l'Alto Adige e l’Emilia-Romagna (rispettivamente -28,3% e -27,8%), mentre le maggiori riduzioni di spesa sono state osservate in Emilia-Romagna, Toscana e nelle Marche (-26,5%, -26,4% e -26,4% rispettivamente). Nel corso dell’anno circa tre italiani su 10 hanno ricevuto almeno una prescrizione di antibiotici e in media ogni utilizzatore è stato in trattamento per circa 14 giorni nel corso dell’anno, con una prevalenza d’uso che aumenta all’avanzare dell’età, superando il 50% nella popolazione ultra-ottantacinquenne. Si conferma un maggior consumo di antibiotici nelle fasce estreme, con un livello più elevato nei primi quattro anni di vita (prevalenza d’uso 31,3% nei maschi e 29,4% nelle femmine) e nella popolazione con età uguale o superiore agli 85 anni (prevalenza d’uso 55,6% negli uomini e 50,4% nelle donne). Si riscontra anche un più frequente utilizzo di antibiotici per le donne nelle fasce d’età intermedie e per gli uomini in quelle estreme. Nel 2020, il 26,2% (nel 2019 era il 40,9%) della popolazione italiana fino ai 13 anni di età ha ricevuto almeno una prescrizione di antibiotici sistemici, con una media di due confezioni per ogni bambino trattato, dati in marcata diminuzione rispetto al 2019. Confrontando il 2020 con il 2019, si registrano in tutte le aree geografiche riduzioni sia in termini di numero di confezioni che di prevalenza d’uso di antibiotici. Ciò è attribuibile alla misure implementate per contenere la trasmissione del Covid-19, quali la chiusura prolungata delle scuole e dei luoghi di ritrovo, che sono risultate efficaci anche nel ridurre la frequenza delle comuni infezioni batteriche e di quelle virali, queste ultime spesso trattate impropriamente con antibiotici, soprattutto nel periodo invernale. Il maggior livello di esposizione si rileva nella fascia compresa tra 2 e 5 anni, in cui circa un bambino su tre riceve almeno una prescrizione di antibiotici senza differenze di genere. È importante pianificare azioni per il miglioramento dell’appropriatezza prescrittiva visto il ruolo importante del consumo di antibiotici sullo sviluppo di antibiotico-resistenze. L’indicatore che confronta il ricorso alle molecole ad ampio spettro rispetto a quello delle molecole a spettro ristretto ha registrato un peggioramento dal 2019 al 2020 passando da 4 a 4,5. Questo incremento, derivante da una maggior contrazione dell’uso delle molecole a spettro ristretto (come amoxicillina semplice) rispetto a quelle ad ampio spettro, può essere l’effetto di una variazione della tipologia/gravità delle infezioni gestite in ambulatorio e, in parte, di un eccessivo uso di molecole di seconda scelta. Nel 2020 quasi il 45% della popolazione ultrasessantacinquenne ha ricevuto almeno una prescrizione di antibiotici sistemici; ma sono state osservate importanti riduzioni rispetto al 2019 sia in termini di dosi (-17,9%) sia in termini di prevalenza d’uso (-15,2%). I livelli di consumo degli antibiotici sistemici aumentano progressivamente all’avanzare dell’età; si osserva inoltre una differenza di genere dei consumi che, in tutte le fasce di età, risultano più elevati negli uomini rispetto alle donne. Le associazioni di penicilline, inclusi gli inibitori delle betalattamasi, sono la categoria terapeutica maggiormente utilizzata nella popolazione ultrasessantacinquenne.

Tossine, dove si nascondono questi pericoli insidiosi

di Roberto Rey*
Si parla di intossicazione quando si assumono droghe o cibi velenosi; in realtà il corpo umano può intossicarsi frequentemente in modo modesto ma comunque problematico. In questo caso alcune funzioni del nostro organismo vengono compromesse dalla presenza di tossine esogene dovute all'ambiente o di tossine endogene prodotte dal corpo stesso. Difendersi dalle tossine é un compito impegnativo in quanto il rischio é: 1) di respirarle se sono presenti nell'ambiente, 2) di ingerirle se presenti nel cibo e nelle bevande o nei farmaci, 3) di assorbirle attraverso la pelle. Per contrastarle utilizziamo gli organi depurativi: il fegato ed i reni.  Tutto ciò che viene ingerito o viene respirato o viene assorbito, arriva nel sangue e successivamente nel fegato che interviene agendo come un vero e proprio filtro. Il fegato tramite un sistema di disintossicazione che utilizza decine di enzimi, neutralizza le sostanze tossiche e le rende solubili ed infine le espelle attraverso la bile. Il fegato svolge anche altri compiti: elabora le proteine, immagazzina gli zuccheri e provvede alla digestione dei grassi. Al termine del processo digestivo l'intestino scompone gli alimenti per permettere che le sostanze utili vengano assimilate e che quelle da scartare vengano eliminate. Se l'intestino non funziona bene le scorie ristagnano provocando stitichezza e irritazione delle pareti intestinali e si può arrivare al riassorbimento delle sostanze tossiche. É utile quindi bere molta acqua, assumere cibi ricchi di fibre e introdurre cereali integrali. Può inoltre essere utile assumere tisane lassative, massaggiare l'addome e fare esercizi respiratori contraendo gli addominali nell'espirazione. I reni, grazie ad un processo di filtrazione, estraggono le tossine dal sangue e le convogliano alla vescica in modo che vengano eliminate con le urine. L'urea é uno dei principali prodotti di scarto e deriva dal metabolismo delle proteine. Le varie forme di depurazione periodica hanno l'obiettivo di prevenire la sindrome metabolica che può portare al diabete all'ictus cerebrale e alle patologie cardio-vascolari. Gli alimenti ci intossicano se mangiamo troppo e male. Mangiare troppo riduce poco per volta l'energia. I salumi, le carni rosse, i formaggi possono essere fonti di sostanze tossiche, in quanto il fegato trasforma le proteine non utilizzate in urea che viene eliminata attraverso i reni. Se le proteine sono troppe, il rene soffre e non riesce a smaltirle completamente e pertanto aumenta l'azotemia e l'uricemia. Il corpo umano se riconosce dentro di sè una sostanza dannosa per la salute attiva adeguati procedimenti per eliminarla. Attraverso l'intestino, il fegato, i reni, i polmoni e l'epidermide possiamo mantenere "pulito" il nostro corpo. L'obiettivo delle diete, degli integratori e di altre tecniche disintossicanti é quello di permettere una buona depurazione e di eliminare le sostanze dannose che altrimenti ristagnerebbero nel corpo. In conclusione, per ridurre le intossicazioni bisogna diminuire il consumo di cibi che rilasciano residui acidi ed aumentare il consumo di quelli che rilasciano residui alcalìni-basici. Diminuire quindi il consumo di carni rosse, di zuccheri, di cereali raffinati, di cibi fritti e di latticini e aumentare il consumo di verdura, frutta, legumi, mandorle e alimenti proteici derivati della soia. É importante variare il più possibile l'alimentazione quotidiana perchè in tal modo si evita di abusare di sostanze che possono affaticare gli organi di depurazione e si evita la comparsa di intolleranze che favoriscono la formazione di tossine. Le intossicazioni sono le conseguenze dell'assunzione di sostanze e di cibi "velenosi" che possono mettere a rischio la salute. Il corpo umano può intossicarsi in modo più o meno pesante a causa di tossine provenienti dall'esterno o dall' interno del corpo stesso. Senza reagire in modo esagerato dobbiamo occuparci dei problemi del nostro corpo adottando con la dovuta attenzione quei comportamenti che aiutano a recuperare buone condizioni psicofisiche.Talvolta ci intossichiamo a causa di comportamenti scorretti come l'assunzione di proteine contenute in salumi, formaggi e carni rosse; il corpo non è in grado di accumulare proteine quindi se non le utilizza le trasforma in urea. Quando le tossine sono troppe i reni soffrono e non riescono a smaltirle per cui nel sangue aumentano sia le sostanze azotate che gli acidi urici. In conclusione è necessario: 1) Prestare molta attenzione nella scelta degli alimenti. 2) Ristabilire l'equilibrio acido-basico. 3) Perdere peso rapidamente. 4) Diminuire il consumo di cibi che rilasciano residui acidi e aumentare il consumo di cibi che rilasciano residui basici. 5) Ridurre il consumo di proteine animali (particolarmente carni rosse), di zuccheri, di cereali raffinati, di fritti e di latticini. 6) Incrementare il consumo di verdure, di frutta, di germogli, di legumi, di mandorle, e di alimenti proteici derivati dalla soia. 7) Evitare l'abuso di farmaci. PRIMA PARTE

Ecco i 24 alimenti che ci disintossicano naturalmente

di Roberto Rey*
* Gli alimenti disintossicanti da preferire sono: frutta e verdura al primo posto, seguite da cereali, legumi e pesci. Le etichette stampate sulle confezioni riportano gli ingredienti del prodotto e la dichiarazione nutrizionale e pertanto permettono di fare scelte ponderate e corrette; preferire i cibi con pochi ingredienti in quanto in genere sono i più semplici e naturali. Ed ecco l'elenco di 24 alimenti disintossicanti: 1) Le alghe. Sono ortaggi marini. Molte le varietà commestibili, tutte ricche di sali minerali. Ognuna presenta aspetti, caratteristiche nutrizionali e modalità di utilizzo differenti. 2) Carciofi. Molto indicati, contengono sostanze che stimolano l'attività del fegato. 3) Carote. Verdura molto ricca di betacarotene, sostanza che viene trasformata in Vitamina A. 4) Cavolo. Raggruppa molti ortaggi del genere brassicacee che contengono sostanze benefiche molto utili in diete disintossicanti. 5) Cicoria. Ha molte proprietà benefiche. E' una verdura amara molto utile nelle diete disintossicanti (la catalogna, la cicoria riccia e la scarola, sono le varietà coltivate). 6) Ciliegia. Ha innumerevoli proprietà benefiche, soprattutto se mangiata al mattino a digiuno o un'ora prima di andare a tavola. 7) Cipolla e aglio. Veri farmaci da cucina non solo per la vitamina C e il potassio ma per vari effetti protettivi e depurativi. 8) Farro. Si distingue dal frumento perchè è più ricco di proteine e di sali minerali. Contiene glutine e quindi va escluso per i celiaci. 9) Germogli. Ideali per il consumo a crudo. Sono depurativi. In commercio si trovano facilmente i germogli di soia. 10) Insalate. Essenziali in ogni menù depurativo apportano acqua e fibre. 11) Lenticchie. Legumi ricchi di proteine utili per limitare la presenza di proteine animali. 12) Limone. Ricco di proprietà depurative. 13) Mandorle. Abbassano il colesterolo totale e l'Ldl colesterolo. 14) Mela. Meglio se biologica e se mangiata con la buccia. 15) Miglio. I chicchi decorticati hanno un buon tenore di proteine e non hanno Glutine. 16) Orzo. Cereale nutriente, ricco di sali minerali. 17) Pesce. Ottimo per il contenuto di omega 3 che riduce il colesterolo nel sangue. 18) Piselli. Legumi ricchi di proteine, vitamine, sali minerali 19) Ribes. Poche calorie. Depurativo del sangue. Contiene antocianine che hanno potere antiossidante e protettivo nei confronti di malattie coronariche e tumori, hanno inoltre azione antinfiammatoria e antinfettiva. 20) Riso. Quello integrale è un'ottima fonte di oligoelementi soprattutto di selenio. 21) Semi di girasole, di zucca e di chia. In una dieta equilibrata non dovrebbero mancare. Quelli di girasole sono un vero integratore naturale di vitamine e sali minerali. 22) Tofu. Derivato della soia, che è un vegetale ottimo dal punto di vista nutrizionale, viene utilizzato come secondo piatto per il suo alto contenuto in proteine. É alternativo alla carne, consigliato a chi desidera non fare uso di prodotti animali e desidera ridurre l'apporto di colesterolo. 23) Uva. Frutto disintossicante perchè conserva anche quando è maturo un notevole contenuto di acidi organici che svolgono una benefica azione alcalinizzante sull'organismo. 24) Yogurt. A differenza del latte e dei suoi derivati, che sono sconsigliati in una dieta disintossicante, ha il merito di avere fermenti lattici che svolgono importanti azioni depurative e protettive. I comportamenti che devono essere evitati in quanto possono favorire/aggravare le intossicazioni sono: mangiare molto più del necessario (diventa evidente quando con l'attività fisica non si riesce a smaltire quanto ingerito). L'eccessivo accumulo di proteine prodotto da salumi, formaggi e carni rosse che non riesce ad essere smaltito e tali sostanze rimangono nel circolo sanguigno aumentandone l'azotemia e gli acidi urici. Le regole del Benessere. Introdurre gli alimenti nella dieta con la consapevolezza delle loro proprietà in modo da sfruttare al meglio le sostanze nutritive che contengono. Prima considerazione: Ridurre al minimo le calorie vuote. Tre categorie di cibi apportano molte calorie e poche sostanze nutritive vitali: lo zucchero, i cereali raffinati, i grassi. Lo zucchero favorisce carie, obesità e arteriosclerosi e non ha valore nutritivo. Si trova in quantità elevate anche in cibi non sospetti come nelle bevande gassate e il ketchup (una lattina di bibita gassata contiene l'equivalente di 7 cucchiaini di zucchero); quello integrale è meno dannoso di quello raffinato perchè contiene sali minerali ma contiene un eccesso di calorie. I cereali raffinati come farina e riso forniscono amidi con scarse quantità di fibre, proteine, sali minerali e vitamine. Molto meglio quindi sostituire le farine raffinate con quelle di tipo 1 e preferire il riso e gli altri cereali, in forma integrale e in chicco. I grassi sono essenziali per il nostro organismo. In particolare l'olio extra vergine di oliva è il condimento più adatto in quanto contiene in rapporto ottimale acido linoleico. Per mangiare sano è importante conoscere gli alimenti e privilegiare quelli antiossidanti e disintossicanti. Gli alimenti da preferire sono quelli più naturali che sono semplici, coltivati con pochi fertilizzanti chimici e con poche aggiunte di conservanti e additivi. Al primo posto dobbiamo mettere la frutta e la verdura, seguiti dai cereali, dai legumi, dal pesce e da alcuni latticini arricchiti con fermenti e altre sostanze benefiche per l'organismo. Non bisogna dimenticare che lo stato di benessere raggiunto si può mantenere con una periodica depurazione. Per disintossicare il nostro corpo ci vogliono mediamente 3-4 settimane e non è corretto reagire aggredendolo. La corretta scelta degli alimenti aiuta il nostro organismo a depurarsi. É importante adottare comportamenti molto corretti e salutari che possono giovare al corpo e allo spirito in modo da ritornare alla normalità seza particolari forzature. *Medico, presidente dell'associazione Più Vita in Salute SECONDA PARTE

lunedì 7 marzo 2022

Quasi 4,5 milioni con malattia renale cronica

La malattia renale cronica colpisce circa il 10% della popolazione adulta nel mondo e in Italia i pazienti che ne soffrono in forma media o grave sono quasi 4,5 milioni. Numeri in costante aumento a causa dell'invecchiamento della popolazione e che potrebbero crescere nei prossimi mesi come effetto 'rimbalzo' dopo lo stop subito dalle visite specialistiche durante la pandemia. Eppure, un italiano su due ammette di non sapere chi sia lo specialista dei reni (46%). A mettere in luce il gap conoscitivo su questa condizione sono i risultati della survey Bridge the knowledge gap, promossa dalla Società Italiana di Nefrologia (Sin) presentati in una conferenza stampa in vista della giornata mondiale del Rene che si celebra il 10 marzo. Dalla ricerca su un campione di oltre 1.000 italiani tra 18 e 70 anni emerge che solo il 13,4% pensa di sapere cos'è la malattia renale cronica, mentre poco meno della metà della popolazione (48.8%) ammette di averla solo sentita nominare. Ben 7 su 10 non hanno mai fatto visite specialistiche per il controllo dei reni. Pochissimi sanno che questi organi controllano ormoni specifici e che influenzano anche la pressione, così come il fatto che il loro funzionamento può risentire dell'utilizzo di alcuni farmaci. Solo il 38% sa che a curarli è il nefrologo, mentre moltissimi confondono questa figura con l'urologo. Veri e propri vuoti di conoscenze riguardano i giovani mentre non ci sono diversità tra regioni del nord e del sud. Questi dati, spiega Piergiorgio Messa, presidente Sin e professore ordinario di Nefrologia all'Università degli Studi di Milano, sono “in linea con quello del ritardo diagnostico che si registra per la malattia renale cronica, per cui è evidente che ci si preoccupa della salute dei reni non in un'ottica di prevenzione o di intervento precoce, ma quando ormai la malattia è in uno stadio avanzato tale da richiedere la dialisi o il trapianto. Le malattie renali danno raramente segnali riconoscibili e per questo vengono spesso scoperte per caso, in fase ormai avanzata, in occasione di esami svolti per altri motivi”.

Compagnia San Paolo accelera l'innovazione nella sanità

E' stato presentato il completamento del reparto di Nefrologia e Gastroenterologia all’Ospedale torinese Regina Margherita, sostenuto nell’ambito dell’iniziativa sperimentale “Hospeedal – Acceleriamo l’innovazione della sanità”. Un’iniziativa nata per favorire la collaborazione tra pubblico e privato nella realizzazione di progettualità complesse orientate alla riqualificazione di reparti ospedalieri, con particolare attenzione alla transizione digitale del sistema sanitario, al fine di sostenere l’innovazione e il miglioramento tecnologico volto alla qualità del servizio e al benessere del paziente. Per la prima edizione dell’iniziativa sperimentale, la Fondazione Compagnia di San Paolo ha selezionato gli interventi da supportare affinchè, partendo da un bisogno espresso dal sistema sanitario pubblico, fossero in grado di concorrere al raggiungimento dei seguenti obiettivi: incremento della capacità di trattare i pazienti e conseguente riduzione delle liste di attesa; creazione o rafforzamento di hub clinici e di competenze in grado di aumentare la capacità di attrazione della struttura e agire sul saldo tra mobilità attiva e passiva; aumento del livello di digitalizzazione e di capacità di trattamento dati (anche in riferimento a iniziative di telemedicina) dei reparti/servizi/processi. Hospeedal ha riguardato interventi su reparti ospedalieri pubblici operanti nell’ambito della salute delle donne (sia ostetrica, sia ginecologica) e dei bambini (nella fascia 0-18 anni) realizzati da fondazioni, associazioni e altri enti del Terzo settore che svolgono funzioni di supporto agli ospedali di aziende sanitarie della Regione Piemonte, sia attraverso lo svolgimento di una significativa azione di sensibilizzazione e responsabilizzazione della cittadinanza, sia tramite un’ampia attività di fundraising. “La Fondazione Compagnia di San Paolo - ha dichiarato Alberto Anfossi, il Segretario generale –sostiene azioni che permettano al sistema sanitario di introdurre nuovi modelli organizzativi, migliorando l’efficienza delle risorse e offrendo un’assistenza di alto livello, anche grazie all’innovazione tecnologica. Per tale ragione abbiamo selezionato, attraverso l’iniziativa sperimentale Hospeedal, il progetto promosso da Forma-Fondazione Ospedale Infantile Regina Margherita Onlus: con la creazione di un reparto congiunto di Nefrologia e Gastroenterologia - struttura di eccellenza in Piemonte dedicata alla cura dei bambini che necessitano di trapianti di rene, fegato e combinati rene-fegato- le competenze sono state unificate, ottimizzando le risorse sia umane sia tecnologiche, a beneficio di tutti gli operatori, ma soprattutto dei piccoli pazienti e delle loro famiglie”.

domenica 6 marzo 2022

I gravi danni della malattia cronica delle gengive

Dal diabete alla pressione alta, dall’artrite ai problemi cardiovascolari fino addirittura all’Alzheimer, al parto prematuro e al Covid in forma grave, la malattia cronica delle gengive, la parodontite, è collegata al rischio di sviluppare diverse malattie: “ci sono solide evidenze scientifiche che legano la parodontite a qualcosa come 50 diverse patologie” ha detto Francesco D’Aiuto, della University College London e della Società Italiana di Parodontologia e Implantologia (SIdP). Lo scrive l'Ansa, aggiungendo che molte malattie hanno una componente infiammatoria e la parodontite è caratterizzata da un processo infiammatorio gengivale cronico. diretta conseguenza di un infezione batterica. “Una associazione tra problemi cardiovascolari e diabete con la parodontite - ha spiegato D’Aiuto sulla rivista Nature - è ormai documentata particolarmente bene”. Lo stesso specialista ha precisato che sulla base di dati clinici raccolti finora si stima che la malattia delle gengive aumenti il rischio di malattia cardiaca futura del 10-15% (un aumento equivalente a quello associato ad altri fattori di rischio come lo stress, oppure il fumo passivo). L'Ansa riferisce inoltre che un lavoro pubblicato di recente sul Journal of Periodontology da Thomas Van Dyke del Forsyth Institute, in Massachusetts (Usa) evidenzia che soffrire di parodontite potrebbe addirittura raddoppiare il rischio di avere un infarto o un ictus o un altro evento cardiovascolare. E anche per il diabete diversi studi documentano ormai in modo esaustivo il nesso con la parodontite. Il collegamento è biunivoco, nel senso che una malattia favorisce l’altra. Le più recenti evidenze scientifiche, inoltre, negli ultimi anni hanno collegato la parodontite a condizioni quali l’Alzheimer e l’artrite reumatoide. “Alcuni studi stanno via via confermando un possibile legame di causa ed effetto tra parodontite e malattie e questo fa sperare in un futuro dove il controllo della salute parodontale diventi parte integrante delle cure mediche”, ha concluso D’Aiuto, sottolinenado che però molto resta da scoprire sui meccanismi in atto.

sabato 5 marzo 2022

I consigli dell'Oms per non rischiare di perdere l'udito

Oltre un miliardo di persone nel mondo di età compresa tra i 12 e i 35 anni rischia di perdere l'udito a causa dell'esposizione prolungata a musica e ad altri suoni ad alto volume. E' l'allarme lanciato dall'Oms (Organizzazione mondiale della Sanità), in occasione della Giornata mondiale dell'udito. L'Oms ha denunciato che i problemi di udito possono tradursi in conseguenze gravi sulla salute fisica e mentale, sull'istruzione e sulle prospettive occupazionali. Ma una larga parte dei casi di perdita dell'udito potrebbe essere evitata mettendo in atto alcune misure di prevenzione. Per questo, l'Oms ha elaborato nuove raccomandazioni, rivolte sia ai singoli che ai gestori di attività in cui viene riprodotta musica amplificata. “In situazioni come discoteche, bar, concerti ed eventi sportivi il rischio dipende anche dal fatto che non vengono offerte opzioni per un ascolto sicuro”, ha spiegato Bente Mikkelsen, direttore del Dipartimento Oms per le malattie non trasmissibili. Le nuove raccomandazioni mirano a preservare l'udito garantendo comunque un suono di alta qualità e un'esperienza di ascolto piacevole. L'Oms suggerisce ai gestori di locali pubblici un livello sonoro medio massimo di 100 decibel; il monitoraggio in tempo reale e la registrazione dei livelli sonori mediante apparecchiature calibrate da parte di personale designato; l'ottimizzazione dell'acustica del locale e dei sistemi audio; la messa a disposizione al pubblico di dispositivi di protezione personale dell'udito; la possibilità di accesso a zone tranquille per far riposare le orecchie; la formazione del personale e l'informazione. Alle singole persone, poi, l'Oms consiglia di mantenere basso il volume dei dispositivi audio personali; di utilizzare auricolari/cuffie ben adattati e, se possibile, in grado di eliminare il rumore; di indossare i tappi per le orecchie nei luoghi rumorosi; di sottoporsi a regolari controlli dell'udito.

venerdì 4 marzo 2022

Perché volano i consumi di legumi

Volano i consumi di legumi che, nell’ultimo decennio, sono aumentati del 47% - dai piselli ai fagioli, dai ceci alle fave fino alle lenticchie - sulla spinta di una vera e propria svolta green nelle scelte di acquisto dei consumatori. E’ quanto emerge da una analisi Coldiretti su dati Istat in occasione della Giornata mondiale dei legumi, istituita dall’Organizzazione delle Nazione Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao) come un’opportunità per aumentare la consapevolezza dei benefici dei legumi per la salute e per contribuire a sistemi alimentari sostenibili. La pandemia Covid ha accelerato la tendenza a mettere nel carrello della spesa cibi più salutari, riportando sulle tavole prodotti come i fagioli, che in passato erano chiamati non a caso “carne dei poveri”, perchè da sempre contribuiscono a garantire una corretta alimentazione anche a chi non può permettersi la carne. Sul fronte nutrizionale, infatti, i legumi sono un’ottima fonte di proteine e di fibre alimentari, utili, fra l'altro, per regolare le funzioni intestinali e per il controllo dei livelli di glucosio e colesterolo nel sangue. Contengono sali minerali, come ferro, calcio, potassio, fosforo e magnesio, vitamine del gruppo B e, quando sono freschi, anche vitamina C. “E dal punto di vista ambientale – ha sottolineato la Coldiretti – le piante di legumi hanno un importante ruolo nella difesa della fertilità dei suoli, grazie alla loro capacità di fissare l’azoto al terreno, consentendo così la riduzione dell’uso di concimi chimici e contribuendo alla difesa delle acque e dell’ambiente”. I legumi più diffusi in Italia sono i fagioli, i piselli, le lenticchie, i ceci e le fave, oltre alle cicerchie, i lupini e la soia. E il Belpaese può contare su molte produzioni tipiche di qualità riconosciute dall’Unione Europea come i fagioli di Rotonda, di Atina, di Sarconi, di Sorana, di Cuneo, vallata bellunese, oltre alle lenticchie di Castelluccio e a quelle di Altamura. Le coltivazioni nazionali di legumi sono diffuse su oltre 150mila ettari, ai quali se ne aggiungono 273mila seminati a soia; ma soffrono della pressione di importazioni di prodotti a basso costo e ridotta qualità, magari favorite dagli accordi commerciali. La produzione nazionale si è così drasticamente ridotta rispetto al passato, accentuando la dipendenza dall’estero, nonostante una ripresa degli ultimi anni. In piena pandemia da Covid, le importazioni di legumi in Italia hanno superato i 400 milioni di chili, in crescita del 2% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, con un balzo del 16% per i piselli. Il risultato è che tre piatti di fagioli, lenticchie e ceci su quattro che si consumano in Italia oggi, sono stranieri, provenienti soprattutto da Paesi come gli Stati Uniti e il Canada, dove vengono fatti seccare con l’utilizzo del glisofate in pre-raccolta, secondo modalità vietate in Italia. Infatti, oltre il 90% delle lenticchie consumate in Italia sono straniere, soprattutto americane e canadesi. E la dipendenza dalle importazioni è all’incirca della stessa percentuale anche per i fagioli, che arrivano in gran parte dall’Argentina e dal Nord America, mentre è del 70% per i piselli e di più del 50% per i ceci. Tra i grandi esportatori di legumi in Italia ci sono anche il Messico, diversi Paesi del Medio Oriente e la Turchia, attraverso la quale avvengono spesso triangolazioni. “Occorre assicurare che tutti i prodotti che entrano in Italia e nella Ue rispettino gli stessi criteri – sostiene la Coldiretti - garantendo che dietro gli alimenti, italiani e stranieri, in vendita sugli scaffali ci sia un analogo percorso di qualità che riguarda l’ambiente, il lavoro e la salute. Ma occorre anche rivedere il meccanismo degli accordi che favoriscono l’arrivo di prodotti stranieri sulle nostre tavole, garantendo che vengano applicati tre principi fondamentali: parità delle condizioni, efficacia dei controlli, reciprocità delle norme”. Con l’82% dei consumatori che, secondo l’indagine Coldiretti/Ixè, preferisce comprare prodotti italiani per sostenere l’occupazione e l’economia nazionale in un momento particolarmente difficile per il Paese è necessario – conclude Coldiretti – arrivare a una chiara indicazione di origine in etichetta che non è ancora obbligatoria per i legumi secchi o per quelli in scatola. Per non cadere nell’inganno del falso Made in Italy, perciò, è necessario privilegiare legumi che esplicitamente evidenziano l’origine nazionale in etichetta, come avviene per Dop e Igp.